DOMENICA DELLE PALME messa nel giorno - Gv 11, 55-12, 11
C’è una cosa importante da fare sempre, in ogni situazione, ma soprattutto oggi c’è una cosa necessaria da fare ed è quella di custodire l’amicizia con Gesù. Ce lo insegnano Maria, sua sorella Marta e Lazzaro, ce lo chiede Gesù stesso.
Ce lo insegna Marta che col suo servire sembra fare un lavoro meno nobile di quello della sorella, ma a forza di astrarre il Vangelo e di parlare in astratto di valori, ci dimentichiamo la concretezza del servire, del metterci al servizio. Il verbo della ‘diaconia’ è il verbo di chi fa lavori umili, apparecchia, cucina, lava i piatti, spazza per terra… è il verbo di chi fa il “lavoro sporco”, quello che non si vede fare, ma che noti se è stato fatto, ed è un servizio fondamentale perché si possa stare bene insieme.
L’amicizia è anche mettersi al servizio dell’altro per farlo stare bene, vuol dire creare le condizioni perché l’altro possa essere contento, mettendoci del proprio. Marta col suo servire custodisce Gesù, lo tiene caro, lo accoglie con affetto e amore.
Maria ci insegna a custodire l’amicizia di Gesù con un gesto di portata storica come scrive il vangelo di Marco: «Dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto» (14,9).
Maria fa una cosa unica, di quelle che si fanno una volta nella vita: mettere sui piedi di Gesù un unguento di vero nardo, non mischiato con altro, in gran quantità, circa 330 grammi: un valore che dice la misura di un amore senza misura. Anche l’unzione sui piedi non ha paralleli nella letteratura giudaica. Il gesto suscita sorpresa tra i convitati: è ozioso disputare sul senso che Maria ha potuto attribuirgli, come anche il fatto che asciughi i piedi con i suoi capelli e che il profumo riempia tutta la casa… è se vogliamo un’esagerazione, tutto parla di un amore esagerato.
Maria col suo gesto vuol dire a Gesù che gli vuole proprio bene. Anche nell’amicizia occorre che non diamo sempre per scontato che vogliamo bene a un amico, a un’amica. Occorre dirglielo con un gesto, una parola. È importante dire a qualcuno: ti voglio bene e non darlo per scontato, perché tanto lo sa già.
Il gesto di Maria ci interroga, ci provoca personalmente e profondamente: ma come ama Gesù questa donna, di quale amore è capace?
Di quale amore amo io il Signore? Quali gesti compiamo noi per dire il nostro amore per lui? Siamo disposti a pagare di persona, a donare qualcosa di prezioso per lui?
Comunque se è vero che l’amore esagerato riempie di profumo la casa, dobbiamo anche riconoscere che c’è chi invece ha da ridire. La casa di Betania non è un’oasi del Wwf, non ci stupisce il fatto che incontriamo tensioni e incomprensioni e che Giuda ci risulti da subito antipatico per il suo intervento a sproposito, vorrebbe dare l’impressione di interessarsi dei poveri, in realtà –per Giovanni- è interessato al denaro.
Ma non criminalizziamo Giuda perché, come diceva don Primo Mazzolari, Giuda è nostro fratello, esprime quella parte di noi che preferiremmo non vedere, che subisce il fascino del calcolo, del tornaconto, dell’interesse e che anche nelle amicizie tante volte spinge a costruire legami per la paura di restare soli e isolati.
Giuda viene smascherato da un’amicizia generosa e affettuosa. La sua è la reazione propria di chi trova motivi meschini per non coinvolgersi, per proteggersi, perché amare ha un prezzo, costa sempre. Potremmo anche dire che Giuda si motivato da un sano principio di realtà: non è forse vero che con quel denaro si poteva fare tanto bene?
Potremmo anche trovarci a dare ragione a Giuda. Ma ci sono momenti in cui l’amicizia per Cristo va tenuta in alto, va custodita come bene principale, come qualcosa di cui non si può fare a meno per andare avanti.
È questo quello che ci chiede Cristo oggi con le parole lapidarie: I poveri li avete sempre con voi, ma non sempre avete me.
Cosa vuol dire il Signore? Come dobbiamo intendere il fatto che i poveri li avremo sempre con noi? Sembrerebbe un’affermazione rassegnata e cinica, una costatazione che vale per ogni stagione della storia: se ci sono i poveri, ci sono le ingiustizie e di conseguenza ci saranno sempre violenza e guerra, odio e vendetta. Parrebbe essere il principio di realtà. Quello che fa dire a tanti della necessità della guerra: da che mondo è mondo ci sono le guerre, l’uomo combatte per il denaro, il potere, la terra. Si direbbe è una cosa del tutto inevitabile. Questo il principio di realtà.
Nella seconda parte Gesù afferma: Non sempre avete me. Cosa vuol dire? In prima battuta sembrerebbe rimandare al fatto che tra pochi giorni verrà messo in croce, ma è anche vero che in altri passi Gesù risorto, come nel vangelo di Matteo, dice ai discepoli: Io sono sempre con voi, tutti i giorni fino alla fine del mondo (Mt 28,20).
Come è possibile che dica che non sempre è con noi e al tempo stesso che sarà sempre con noi? Gesù si contraddice?
C’è modo e modo di stare con noi. Mi piace pensare che Gesù non cerchi di affermare una presenza scontata, ma che in qualche modo il suo esserci, il suo stare in mezzo alla vita e alla storia del mondo, sia affidato a noi, alla nostra capacità di tenere viva l’amicizia con lui.
Gesù sollecita di fronte al realismo della storia, il principio di responsabilità: fate di tutto per avermi con voi. Tocca a voi investire in me come ha fatto Maria, tocca a voi mettervi al servizio come Marta.
Se rimaniamo ancorati solamente al principio di realtà diventiamo cinici e rassegnati, come Giuda. Mentre Gesù ci invita ad assumere il principio di responsabilità nel tenere vivo il Vangelo, nel custodire l’amicizia con lui oggi, qui, come Maria e come Marta.
C’è un simbolo con cui torniamo a casa oggi e che racconta bene cosa significhi e cosa comporti quest’amicizia con Gesù, il simbolo dell’ulivo, segno di pace e di fraternità, di amicizia e di lealtà. Ma è soprattutto il simbolo di Cristo stesso. D’altronde il termine Cristo in greco e Messia ebraico, significano letteralmente Unto, vale a dire uno che è stato scelto per gli altri, al servizio degli altri.
Così noi ereditiamo questo nome cristiani, che significa appunto amici di colui che è stato Unto, amici del Cristo al servizio della pace, al servizio della fraternità umana.
Il frutto dell’ulivo, raccolto e portato alla spremitura, è l’olio che sta a dirci come sia illusorio immaginare un’amicizia senza il nostro coinvolgerci e il nostro venire macinati, proprio come ha fatto Cristo.
Ora noi che vogliamo essere amici del Signore, impariamo quell’amicizia che papa Francesco nell’enciclica “Fratelli tutti” chiama “amicizia sociale”, vale a dire quel legame che non rimane chiuso tra noi cristiani, come in una setta o in un club esclusivo, ma che ci rende cittadini attivi che hanno a cuore la coesione sociale e non si rassegnano al principio di realtà, e tantomeno acconsentono alla furbizia del calcolo di parte, come Giuda.
L’amicizia sociale è dei cittadini che non si lasciano guidare degli egoismi, né personali, nazionali e nemmeno ecclesiali, ma che lavorano per il bene comune.
Pensate a una stabilità internazionale che non venga più fondata su un falso senso di sicurezza, sulla minaccia della distruzione reciproca o di totale annientamento, ma sull’amicizia con i popoli vicini.
L’amicizia sociale crea una sana convivenza e apre le strade là dove l’esasperazione distrugge i ponti (FT 222-224).
Cominciamo dunque noi stessi a vivere l’amicizia come ci testimoniano Lazzaro, Marta e Maria e Gesù stesso. Un’amicizia capace di servizio e non di calcolo, di dono e non di ripiegamento su sé stessi, un’amicizia sociale che si fa discreta e perché no, a volte anche silenziosa in una società continuamente stordita dalle mille parole.
(Gv 12, 1-11)