PENTECOSTE - Gv 14, 15-20


audio 28 mag 2023

Non vi lascerò orfani! Dice Gesù. Ma potremmo noi fare a meno di lui? Potremmo mai stare al mondo senza la sua amicizia e la sua parola? Senza compiere quei segni che lui amava compiere, senza lo spezzare il pane, senza la cura del samaritano?

Non solo noi non potremmo stare senza di lui ma, senza apparire arrogante, voglio dire che nemmeno il mondo oggi potrebbe fare a meno del Vangelo. La nostra umanità così disincantata e ipertecnologica, così social e cinica… non può fare a meno di Cristo.

Ma, ci domandiamo, come è possibile oggi non fare a meno di Cristo? Rispondo semplicemente dicendo: come non era possibile allora fare a meno di lui. La comunità degli apostoli e dei discepoli chiusi nel cenacolo – come la racconta Luca – la dice lunga dello stato d’animo di uomini e donne che stanno vivendo una grande delusione e un’enorme paura.

Chi siamo noi, sembrano chiedersi, poco più di un centinaio di persone per affrontare l’impero, senza di Lui, senza Gesù? Potremo mai immaginare di fare qualcosa senza il suo carisma? Perché un conto è avere lui come riferimento, come punto fermo, una roccia, altra cosa è restare soli!

La sensazione è che quello che rimane dopo la Pasqua, sia un grande, immenso vuoto. Un grande, immenso silenzio. Per Giovanni questo silenzio è durato il tempo della croce: secondo lui già mentre moriva Gesù ha donato il suo spirito.

Leggiamo infatti in 19,30: Chinato il capo, consegnò lo spirito. Che non è il drammatico spirare o esalare l’ultimo respiro, quindi qualcosa che avviene passivamente senza che lui lo voglia. Ma dice che Gesù consegnò, vale a dire il gesto attivo di chi fa un dono. Nella morte Gesù fa il dono di cui i discepoli hanno bisogno, del suo soffio, del suo spirito, che la morte non può spegnere.

Per Luca, invece, l’esperienza di vuoto e di un lungo silenzio è durata almeno cinquanta giorni, nel senso di un tempo pieno, ma incompleto. Un tempo in cui i discepoli compresero che non bastavano a sé stessi. Non potevano contare sul proprio coraggio, sulle proprie capacità, non potevano fare affidamento su una qualche strategia pastorale.

A Pentecoste, mentre gli ebrei celebrano la festa del dono della Torah, della legge, quasi come in una nuova teofania come già avvenne sul Sinai, viene il dono dello Spirito, si realizza la promessa di Gesù: non vi lascio orfani. Lo Spirito è un dono difficile da descrivere a qualcuno è parso come vento, ad altri come fuoco… la cosa più bella è che nessuno può vantarne il monopolio.

Tutti sono destinatari del dono dello Spirito: uomini e donne, giovani e anziani… non è un dono individuale, perché riguarda tutti, coinvolge tutti, senza distinzioni.

Paolo lo dice chiaramente: vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito (12,4). Per questa nostra umanità così attenta all’individuo, alla singolarità che pure è importante e vera, Gesù fa dono dello Spirito a tutti, poi dipende da te se accoglierlo o meno.

Però diciamocelo: non crediamo proprio che questo sia dono per tutti e in tutti: oggi per la chiesa che siamo in questo tempo, è molto importante il carisma dell’uno o dell’altro. Per la chiesa che siamo in questo tempo è importante il ministero del prete, del vescovo, del papa… ma il ruolo non esaurisce lo Spirito. Potremmo mai noi imbrigliare i doni di Dio nelle nostre strutture? O costringerlo nelle nostre categorie e organizzazioni?

Lo Spirito è come il vento: non puoi imbottigliare il vento, non lo puoi limitare nei confini di un popolo, nemmeno nelle cariche di un’istituzione.

Lo Spirito è libero di andare in chi vuole e come vuole.

Lo Spirito è come il fuoco: non è un’idea, è un incendio del cuore e della mente. Brucia le scorie della paura e riscalda chi ti si avvicina.

Lo Spirito arde di suo.

Lo Spirito parla tutte le lingue del mondo. Il Vangelo è un alfabeto di vita per tutti e per tutte le culture. Certo nasce e cresce in un contesto storico e geografico, ma la parola del Vangelo non è quella stampata in un rotolo o in un libro, è quella che lo Spirito rende viva e pertinente in ogni tempo.

Lo Spirito non ha bisogno di interpreti.

Ma soprattutto osserviamo il dono che lo Spirito fa alla comunità di Gesù, a una comunità di falliti, di disorientati e di incapaci… nonostante tutto non smettono di amare, vivono il loro fallimento con amore. Si rendono conto di aver dubitato, di non essere stati all’altezza, di aver accampato mille scuse, di non averlo capito… eppure lo amano. Come potrebbero stare senza Gesù? Cosa farebbero senza di lui?

Lo Spirito è un dono a caro prezzo, non è un regalo riciclato, è costato il prezzo della croce: Gesù ha fatto dono di sé fino alla fine, consegnando all’ultimo anche il suo spirito, perché noi ne ricevessimo l’effusione, la grazia, la pienezza.

Invochiamo lo Spirito di Dio su di noi, sulla chiesa, sul paese, sull’umanità, affinché come ha operato a Gerusalemme nella prima Pentecoste, così possa trasformare anche noi tutti, i nostri fallimenti, le nostre tristezze, le nostre solitudini e le faccia fiorire in una nuova umanità.

(At 2,1-11; 1Cor 12,1-11; Gv 14,15-20)