PENTECOSTE - Gv 14, 15-20
Con la festa di Pentecoste, giunti al termine della settimana di settimane, celebriamo la pienezza della Pasqua. Con la Pasqua di risurrezione abbiamo visto Gesù risorto da morte, sappiamo che è vivo e che la sua Parola continua a scaldare i nostri cuori come ha fatto con i due discepoli di Emmaus. A Pasqua Gesù ci ha consegnato il mandato di fare questo in memoria di lui, di spezzare il pane, come facciamo in ogni eucaristia.
Che cos’è dunque questa pienezza? C’è ancora una cosa che Dio vuole fare per noi. Ne abbiamo avuto l’annuncio dalle parole stesse di Gesù quando afferma al termine del passo evangelico di oggi: In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi…(v.20).
Se l’antica festa di Pentecoste era la gioia del raccolto, la pienezza della fatica della semina, della coltivazione, della cura dell’orzo e del grano… e poi per Israele aveva assunto il significato della pienezza della Torah, della Parola di Dio dopo la liberazione dalla schiavitù d’Egitto, ora Gesù annuncia una pienezza che arricchisce il significato della Pentecoste, perché Dio non si accontenta semplicemente di essere «sopra» tutte le cose come Creatore, nemmeno di essere insieme «con» noi come Redentore, ma vuole essere «dentro» di noi, vuole abitare l’umano.
È una cosa singolare. Dio non solo sta sopra, perché è creatore, non solo sta con, perché in Gesù Dio è il Salvatore che ti viene vicino, per salvare qualcuno devi avvicinarti, lasciare che la persona che sta per affogare si aggrappi a te e portarla a riva. Non solo questo, perché il nostro Dio vuole prendere dimora dentro di noi, in queste nostre vite… ed è stupefacente.
Ci bastava che fosse sopra di noi, ma anche il fatto che sia venuto a stare con noi è già tanto… che voglia anche essere «dentro» di noi, proprio come succede al respiro, questa è una pienezza che forse ancora dobbiamo ben apprezzare.
Perché vuole essere dentro di noi? Perché un corpo vive di ciò che respira. Pentecoste è il dono di un Dio che vuole essere ospitato in noi. Quindi Dio si dona per diventare nostra vita, perché abbiamo a vivere del suo modo di vivere. Il dialogo dello Spirito con noi avviene mediante le parole che risuonano alle nostre orecchie, e gli incontri e gli avvenimenti che segnano le nostre giornate. Lo Spirito mette tutte queste circostanze e occasioni in relazione con la persona di Gesù, i suoi gesti le sue parole. Ciò significa che ci è possibile trasformare noi stessi, il nostro cuore, la complessità e l’oscurità dei nostri pensieri, la contraddizione spesso presente nei nostri desideri in una vita appunto spirituale.
Il nostro cuore, illuminato dallo Spirito ci consente di vedere e conoscere ciò che avviene attorno a noi con la necessaria fermezza, con il dono cioè di non lasciarci condizionare, sviare, sedurre da ciò che vediamo e sentiamo, così da compiere scelte che sono inconciliabili con la sequela di Gesù e il suo modo di stare al mondo.
Se ci pensiamo bene questo è quanto di meno religioso istintivamente ci verrebbe da pensare. Noi pensiamo sempre che per far qualcosa di religioso si debba «salire», «ascendere», basti pensare ai nostri modelli di preghiera che salgono sempre, senza mai scendere… salire a un Dio che sta in mezzo alle nuvole!
Quando in realtà Dio è forse più laico di quello che noi immaginiamo. Perché lui vuole scendere in noi e donarci la sua vita, il suo modo di amare, di credere, di sperare e di abitare la terra.
Siamo noi che senza volerlo, forse, spontaneamente travestiamo Dio, nel senso che gli mettiamo addosso i vestiti della religione che sono i nostri vestiti. Lo rivestiamo così come più o meno siamo vestiti noi e lo rinchiudiamo negli schemi che ricalcano i potenti e i dominatori del mondo.
Oggi come i discepoli e le discepole che erano nel Cenacolo vogliamo anche noi lasciarci raggiungere da Dio, dallo Spirito di Dio che vuole abitare in noi. Che responsabilità!
Siamo pronti a ospitare Dio? Non si tratta soltanto di professare la nostra fede, non si tratta soltanto di servire Dio nel culto, nella liturgia, nei poveri… la pienezza della vita cristiana consiste nel dare ospitalità a Dio stesso. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi, dice Gesù (v.20).
I primi cristiani non avevano templi e per questo, ironia della sorte, erano accusati di ateismo! Perché per loro era importante ritrovarsi nelle case nella ferma convinzione che nel momento in cui accogliamo lo Spirito santo, ospitiamo lo Spirito di Dio, noi siamo resi il tempio di Dio. Al punto che Paolo sempre nella 1a Corinti, dice: Non sapete voi che il vostro corpo è il tempio dello Spirito santo? (6,19).
Non c’è nulla di automatico, di magico, ci deve essere sempre la nostra disponibilità, come dice bene l’Apocalisse: Ecco, io sto alla porta e busso: se uno mi apre, io entrerò, cenerò con lui ed egli con me (3,20).
E cosa succede appunto quando una comunità accoglie il dono dello Spirito? Cosa cambia quando una persona vive dello Spirito di Dio? Diventa una persona libera.
Luca lo racconta negli Atti con l’immagine biblica dello Spirito che soffia come vento. Il vento è la cosa più libera che ci sia. L’acqua scende, ma è legata alla sorgente, il fuoco brucia libero, ma dipende dal ceppo di legna… la cosa più libera è il vento. Lo Spirito santo è Dio in libertà e i suoi effetti si manifestano subito in quei discepoli che prima erano chiusi nel Cenacolo per paura, e che, una volta accolto lo Spirito, diventano liberi come il vento.
Certo, c’è anche la libertà del male, c’è la libertà di Caino di uccidere Abele, come quella di Pilato di liberare Barabba e di uccidere Gesù. L’uomo è pericoloso perché è libero sì, perché è anche libero di uccidere, di rubare… Infatti diceva un mistico indiano: «Tutto il mondo aspira alla libertà, e tuttavia ciascuna creatura è innamorata delle proprie catene».
Non per niente nella preghiera del Padre Nostro, il Signore ci insegna a chiedere di essere liberati dal male. Chiediamo a Dio di liberaci dalla libertà di fare il male, e di darci la libertà di fare il bene! Di imparare a respirare del dono dello Spirito di Dio, dello Spirito santo.
Se guardi il mondo con il respiro di Dio non hai più paura. La fede non nasce dalla paura. La religione sì, nasce dalla paura come diceva il poeta latino Lucrezio: la paura ha generato gli dèi. In realtà, Gesù non ha mai avuto paura, nemmeno nel Getsemani. La sua fede non è nata dalla paura e neanche la nostra, perché Dov’è lo spirito di Dio lì c’è libertà (2Cor 3,17). Dove c’è lo Spirito, lì c’è libertà dal male e in positivo c’è libertà di credere, di sperare e di amare. Questa è una libertà sconfinata, letteralmente senza confini! Non sei mai tanto libero come quando ami.
Ed è eloquente la scena dei discepoli che escono dal Cenacolo: escono liberi di credere a Dio, di sperare nel regno di Dio e di amare le persone che incontrano, qualsiasi sia la loro provenienza.
Infatti, il dono dello Spirito fa guardare con occhi diversi il prossimo che non viene visto più come un estraneo, un concorrente, e tantomeno un nemico. Prima si sentivano assediati nel Cenacolo e poi vedono con occhi diversi coloro che temevano come nemici e con i quali si itendono benissimo. Cos’è accaduto? Che tutti parlano la stessa lingua come a Babele? Luca non dice che alla fine tutti parlavano la stessa lingua, ma che tutti compresero nel loro proprio idioma l’identico messaggio.
Tutti capiscono e nessuno conosce questa lingua.
Dio parla una lingua che nessuno ha mai sentito, ma che tutti capiscono!
Quando lasci spazio allo Spirito i nostri linguaggi cambiano, i nostri discorsi cambiano. È la conversione del linguaggio, è parlare un linguaggio altro.
Ieri sera al teatro Dal Verme, abbiamo vissuto la Preghiera ecumenica di Pentecoste: quando le chiese smettono di parlare delle loro cose, di quello che fanno loro, di ciò che quella chiesa dice e quell’altra fa e ogni chiesa pubblicizza le sue cose, e invece parlano delle grandi cose che Dio continua a fare, allora si dà l’unità nella diversità.
Non si tratta di nascondere o ignorare i confini umani, fisici, psicologici, culturali e confessionali, perché se si ignorano le diversità può diventare, come è avvenuto nella storia, una tragedia.
La coscienza della diversità non è altro che la coscienza del limite e dunque la comunicazione è resa possibile solo se si è pienamente consapevoli del proprio essere parziali.
Abbiamo bisogno continuamente di respirare il dono dello Spirito, quello Spirito che il Signore ha promesso rimarrà con noi, come compagno di strada che non ci abbandona.
«Per quanto noi si possa commettere errori, quando anche vivessimo tempi di disaffezione al Vangelo, lo Spirito in noi, è Gesù che ce lo assicura, non smetterà mai di parlarci. Ancora da Lui ci verrà il dono di riconoscere, nei fatti che segnano la nostra storia personale, e negli avvenimenti e nelle sensibilità presenti nel nostro tempo, le scelte nuove» (G. Giudici).
Soffia Spirito Santo su questa comunità, su ciascuno di noi, affinché conosciamo e viviamo nella libertà dei figli e delle figlie di Dio.
(At 2, 1-11; 1 Cor 12, 1-11; Gv 14, 15-20)