PENTECOSTE - Gv 14, 15-20


audio 23 maggio 2021

Vorrei riuscire a trasferivi la bellezza, l’importanza e la gioia di questa festa di Pentecoste, festa che in genere viene poco sentita, non viene spesso percepita come qualcosa che ci riguardi, anzi viene relegata ad un evento del passato.

In realtà, seguendo il testo degli Atti degli Apostoli incontriamo una certa insistenza, discreta ma ricorrente, del termine tutti che ricorre sia sulla bocca di Luca che scrive, sia da parte della gente che assiste. Chi sono questi tutti? Sono ovviamente i Dodici, ma anche le circa 120 persone (Atti, 1,16) che erano riunite con loro e, con loro attendevano in preghiera il dono dello Spirito che ora viene per tutti e su tutti, come aveva preannunciato Gioele (2,28-32). Cioè non solo su alcuni, ma su tutti, quindi non solo sui Dodici, come spesso diciamo e pensiamo e la stessa iconografia ripropone, inserendo semplicemente la figura di Maria, ma su tutta la comunità raccolta. Tutti ricevono questo dono.

Come a rinforzare ulteriormente il concetto, Luca annota anche che lo Spirito riempì tutta la casa dove sedevano! Quindi non solo la parte della casa dove stavano i Dodici, ma in tutta la casa: lo Spirito Santo non è esclusiva di qualcuno o prerogativa di alcuni, lo Spirito include, non esclude mai.

Perché riguarda tutti? Perché il mistero di Dio non è proprietà dei teologi, dei ministri, dei preti, delle persone di chiesa… non è un mistero per iniziati che devono percorrere chissà quali oscure prove per incontrarlo.

Anzi, le metafore con cui Luca racconta il dono dello Spirito sono accessibili a tutti: venne dal cielo un fragore, un suono, quasi un vento impetuoso, e poi la seconda: apparvero lingue come di fuoco che si posarono su ciascuno dei presenti. Vento e fuoco, due immagini potenti ed eloquenti che Luca attinge dal Primo testamento.

Il fuoco del roveto ardente che non si consuma e che aveva segnato la vita di Mosè, ora diventa un fuoco che arde nella fraternità cristiana, in tutta la comunità: Dio è un’energia incendiaria che accende i cuori dei discepoli e degli amici di Gesù e non li consuma, ma li dilata, li rende liberi dalle loro paure. Accende la vita, come fuoco, appunto.

E poi il vento, l’esperienza di Dio come vento. Notate la discrezione con cui Luca ricorre alle metafore: quasi un vento. Perché non c’è un vento sacro! Non è quel vento lì, scirocco o tramontana che fosse… quasi un vento. Analogamente le lingue sono come di fuoco. Perché non c’è un fuoco sacro, non c’è un recinto sacro.

Anche la metafora del vento, Luca la attinge dai profeti, da Elia, da Ezechiele… Quando Ezechiele ebbe la visione di un popolo ridotto a cimitero sterminato, fatto di ossa e di scheletri e Dio gli ordinò di invocare lo Spirito e il profeta ubbidisce… e nel sogno e nella visione assiste all’improbabile ricomporsi degli scheletri. Una metafora che fa dire a Dio: Così aprirò i vostri sepolcri, vi trarrò dalle vostre tombe (37,12).

Il dono dello Spirito di Dio a Pentecoste risuscita un popolo morto, apre le tombe, ma anche le menti e i cuori che talvolta sono proprio come tombe, fa fiorire la vita dove c’è la morte, la speranza dove c’è la disperazione, la gioia dove c’è il pianto.

Ma ci chiediamo: queste due metafore che cosa dicono? Qual è il messaggio di Pentecoste? Si realizzano le promesse di Gesù, l’abbiamo ascoltato dal Vangelo di Giovanni: Se mi amate, osserverete i miei comandamenti, io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito.

Se con la morte, la risurrezione e l’ascensione di Gesù si poteva pensare che tutto si fosse concluso, nel senso che era completato perché il disegno di salvezza era giunto a completamento, come aveva detto sulla croce: Tutto è compiuto (19,30), ora il dono dello Spirito viene a dirci che il Vangelo non è finito, come si poteva pensare. Certo come dice Gesù: tutto è compiuto, non manca davvero nulla, eppure è come se tutto dovesse ancora cominciare; tutto è accaduto, ma è come se tutto dovesse ancora accadere. E che cosa deve accadere?

Che lo Spirito di Dio riempiendo i cuori e le menti della comunità dei discepoli, uomini e donne, li rende capaci di parlare una lingua nuova, mai udita prima, una cosa mai vista sulla faccia della terra.

C’era bisogno di una nuova lingua, come se non bastassero le 6/7.000 lingue diverse che si parlano oggi nel mondo!?

A Pentecoste succede questo fatto più unico che raro: appare una lingua che tutti capiscono senza bisogno di studiarla. Esiste davvero una lingua così universale che tutti, ma proprio tutti possono capire?

Potrebbe essere la lingua della fede? No, perché molti non credono in Dio, e poi comunque le fedi sono diverse, talvolta in disaccordo.

Potrebbe essere la lingua della musica? Certo la musica è un linguaggio universale che parla a tutti, forse il più universale che ci sia, ma non tutti amano lo stesso genere di musica e i generi musicali sono tanti e i gusti diversi, spesso opposti. E potremmo dire lo stesso dell’arte in genere…

Potrebbe essere allora la lingua della scienza? La scienza affascina le nostre menti, intriga e gode di grande prestigio, ma quando diventa specialistica e specifica, allora il linguaggio della scienza risulta incomprensibile ai più.

Sarà forse il linguaggio della filosofia, o della teologia? Ma anche qui oltre ad essere talvolta incomprensibili, sono spesso idee, astrazioni, concetti che non sono alla portata di tutti.

C’è una sola lingua universale che tutti comprendono, ed è quella che Gesù stesso ha usato nella sua vita, la lingua delle grandi opere di Dio, come dicono le folle che sono venute a Gerusalemme da ogni parte del mondo allora conosciuto ed è la lingua dell’amore.

Perché è così poco praticata questa lingua che tutti capiscono? Perché, come diceva Gesù: per il dilagare dell’iniquità l’amore di molti si raffredderà (Mt 24,12). Noi siamo in questo tempo sospeso in cui l’umanità ancora non parla l’unica lingua universale, la lingua dello Spirito, la lingua dell’amore. Neppure noi che vorremmo essere discepoli e amici di Gesù, la parliamo veramente, neppure noi l’abbiamo imparata dopo tanti secoli, balbettiamo qualcosa…

Siamo ancora nel tempo sospeso, in cui tutto è compiuto e tutto deve sempre ricominciare, per questo continuiamo a invocare il dono di Dio, perché, non dobbiamo dimenticare che le grandi opere di Dio, tutto il bene che Dio fa per noi, lo compie, sempre attraverso le opere di altri uomini.

Ora è vero che il nostro mondo occidentale è stato evangelizzato da tanti secoli ed è stato per lungo tempo il teatro delle attività della Chiesa, al punto da essere impregnato dallo spirito del cristianesimo, anche se magari oggi fa fatica a ricordarselo, ma quale sarà lo spirito del cristianesimo che verrà? Siamo in declino, siamo sempre di meno, l’irrilevanza della fede è sorprendente come vada prendendo sempre più piede… Noi stessi forse siamo tentati da questa irrilevanza. Cosa facciamo?

La Pentecoste con il dono dello Spirito viene a dirci di non preoccuparci delle nostre cose, delle nostre strutture, delle nostre organizzazioni, di come la chiesa sopravvivrà a questo tempo, perché questo non dipende da noi, tantomeno da essa. Questo non vuol dire che ci rassegniamo al declino, ma se crediamo allo Spirito di Cristo, sappiamo che cambieranno le forme per essere Chiesa, verranno fuori altri mezzi e modi per agire…

Se pensiamo attentamente alla sua origine il cristianesimo non aveva grandi cose da offrire a chi si affacciava alla comunità, al di fuori del battesimo e della Cena del Signore, la vita dei primi cristiani consisteva nel non conformarsi alla mentalità del mondo (Rm 12,2), ad amarsi gli uni gli altri (13,8) e a portare speranza ai pagani, con l’annuncio del Vangelo.

Questo programma dovrebbe bastare a mantenere la vita della Chiesa anche in questa fase attuale della sua esistenza, nella quale magari va perdendo una certa visibilità e un certo peso nel mondo, ma sarebbe ben più grave se perdesse la sua virulenza evangelica.

Invochiamo lo Spirito che come vento ci doni di continuare a seminare il Vangelo come il vento fa con il polline e i semi.

Invochiamo lo Spirito che come fuoco bruci le nostre mediocrità e paure, e ci doni un cuore che non si abbatta con il dilagare del male.

Invochiamo lo Spirito che arriva prima di noi, senza di noi e nonostante noi in tutti coloro che hanno già aperto dei cantieri, anche al di fuori dei canali istituzionali, perché abbiamo ad unire a loro i nostri sforzi e il nostro impegno per rendere più umano il nostro mondo, per continuare le opere di Dio.

(At 2,1-13; Gv 14, 15-20)