EPIFANIA DEL SIGNORE - Mt 2, 1-12


(Is 60, 1-6; Tt 2, 11-2; Mt 2, 1-12)

La consuetudine di annunciare la data della Pasqua aveva l’intento di avvertire i candidati al battesimo della ormai prossima celebrazione della loro iniziazione cristiana. Infatti, così come ancora accade oggi, nella notte di Pasqua gli adulti dopo un intenso periodo di preparazione ricevono il battesimo e la cresima e partecipano per la prima volta all’eucaristia.

Per noi che siamo cristiani d’antica data, ascoltare oggi l’annuncio della Pasqua può avere significati e stimoli diversi. Penso anzitutto al fatto che avendo appena celebrato il Natale di questo bambino, veniamo immediatamente proiettati sul finale della sua vita. Anche se a leggere con attenzione il racconto di Matteo, ci rendiamo conto che già nella tensione tra Erode e i Magi si prepara quel conflitto che di lì a poco più di trent’anni, si consumerà sulla croce di Gesù. Non solo ma sulla croce troveremo scritto il motivo della condanna che già oggi tanto turba Erode: Dov’è nato il re dei Giudei?

E come oggi nella festa dell’Epifania sono degli stranieri, dei cercatori a riconoscere in una Madre e nel suo Bambino il traguardo del loro indagare, così sotto la croce sarà un centurione pagano, un forestiero, a riconoscere dal modo in cui sa morire che quel crocifisso è davvero il figlio di Dio!

Il mistero della nascita di Gesù e il mistero della sua pasqua si illuminano reciprocamente, al punto che non possiamo comprendere l’uno senza l’altro. Come scriveva don Serenthà nella preghiera che abbiamo messo al presepe:

“Il legno del presepio e’ duro, come legno di croce.

Il freddo ti punge, quasi corona di spine.

L’odio dei potenti ti spia e ti teme.

Fuga affannosa nella notte.

Sangue innocente di coetanei, presagio del tuo sangue.

Lamento di madri desolate, eco del pianto di tua Madre.

Quanti segni di morte, Signore, in questa tua nascita.

Comincia così il tuo cammino tra noi,

la tua ostinata decisione di essere Dio, non di sembrarlo”.

Se noi osserviamo i magi del vangelo di Matteo purificandoli dall’immaginario artistico e leggendario che li ha fatti diventare dei re, che li ha fatti diventare tre – ma tre sono solo i doni –, che li ha resi uno bianco, l’altro giallo e l’altro nero (o ancora di età diverse), le cui reliquie sono sparse tra Colonia e Milano… Se non sprechiamo le nostre intelligenze nel soddisfare una curiosità inutile per verificare se proprio in quel periodo fosse passata, come voleva Keplero – uno dei padri dell’astronomia moderna – una «supernova», una stella nella quale doveva essere avvenuta una colossale esplosione…

Allora, superato il rischio di leggere questa pagina come leggiamo le favole e la osserviamo dalla prospettiva della Pasqua, possiamo dire: ecco questo è lo spettacolo dell’epifania!

Che cos’è «epifania» oggi? Se dovessimo rendere questo termine arcaico in un linguaggio moderno, dovremmo dire: epifania è appunto «uno spettacolo». Lo spettacolo di Dio che sta in braccio a una donna così come un bambino fa con sua Madre. L’icona della Madre di Dio si presenta a noi come lo spettacolo di ciò che vedono i sapienti al termine del loro cercare: vedono un bambino seduto sulle ginocchia di sua madre e in quest’unica realtà riconoscono il dono di Dio e il dono dell’uomo.

Mi ritorna in mente di quando capitava da bambino che per gioco il papà mi prendesse sulle sue spalle e io potevo così vedere un orizzonte diverso da quello cui ero abituato, potevo guardare gli altri dall’alto in basso: che gioia!

Lo spettacolo dell’epifania è invece Dio, lui che sta in alto, che si fa bambino e che proprio così ci prende per mano e ci fa tornare a guardare la vita dal basso per camminare con lui, per vivere come lui, per amare come lui, per metterci a servizio gli uni degli altri, come lui.

Quando Matteo scrive il suo vangelo aveva davanti una comunità di discepoli impauriti e confusi che si aspettavano i risultati della loro fede e invece dovevano fare i conti con persecuzioni, abbandoni e sfiducia. Una comunità immersa, per dirla con Isaia, in una nebbia che impediva di vedere un futuro, dove sembrava ancora una volta che l’Erode di turno l’avesse vinta.

Matteo risponde rileggendo la nascita di Gesù alla luce dell’Esodo e della sua pasqua appunto. L’opposizione tra Erode e Gesù è analoga all’opposizione Egitto e Israele, tra Mosè e il faraone. Ma il Signore non chiede a Mosè di rovesciare il faraone e di prendere il potere in Egitto per liberare Israele dalla schiavitù. Il Signore dice: fidati di me! Esci e vai verso la terra che io ti darò. Tu cammina e fidati. Tu cerca e sappi vedere i segni della fedeltà di Dio!

Non possiamo non riconoscere nel racconto di Matteo una certa ironia: se il faraone redivivo è Erode e con lui i suoi cortigiani, che cosa serve per turbarli?

Tutta Gerusalemme è turbata, letteralmente “messa sotto sopra”, dall’annuncio che il messia è nato a pochi chilometri da lì. Basta un bambino per inquietare l’arroganza del potere, un’arroganza che non si mette nemmeno in cammino, ma rimane chiusa nei suoi palazzi. Chi invece si mette in cammino e cerca ed è disponibile a dare fiducia al futuro, sono dei forestieri che non conoscono nemmeno le Scritture: loro arrivano a contemplare lo spettacolo dell’epifania.

Lo spettacolo di questi scienziati o pensatori che fossero, che al termine della loro ricerca non incontrano un’idea, una religione, una filosofia, ma un bambino, Gesù in casa con sua madre Maria.

E cosa fai tu intelligente di fronte a questo spettacolo? Si prostrarono e lo adorarono (lett. portarono la mano alla bocca inviando baci!). Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra.

I magi hanno un’intelligenza che li ha messi in cammino e in ricerca, sotto la guida di una stella, ma hanno anche un cuore che sa amare e che sa donare. Questi personaggi misteriosi, di cui non incontreremo mai più traccia nei vangeli, con la loro ricerca intelligente nella notte, con il loro cuore che sa donare, mi hanno fatto pensare alle parole con cui Hetty Illesum, una ragazza ebrea deportata in un campo di concentramento dove morì a 29 anni, attraversò la notte di quell’esperienza: «Devo essere il cuore pensante della baracca».

Nella baracca del nostro tempo, nell’incerto andare della nostra società c’è quanto mai bisogno di «cuori pensanti». E penso ai cuori pensanti che incontro o che ho avuto modo di conoscere, siano essi credenti o meno, cattolici o no, che hanno vissuto appunto la vita così, con passione e intelligenza pur in mezzo alle nebbie del non senso e della sofferenza.

Ma penso anche alle innumerevoli persone che nel mondo, in ogni parte della terra, nei tempi recenti o nei secoli passati, attraverso la scienza, la ricerca, lo studio attraverso questa ineludibile spinta umana a indagare senza stancarsi, hanno dato sapore alla loro vita e alla vita di chi in qualche modo ha partecipato della loro fatica.

Fermiamoci a contemplare, ad adorare questo Gesù che sta al centro, in braccio a Maria, vivendo il suo essere Messia in maniera dimessa, nascosta, contrastata.

Ecco l’epifania: l’incontro di cuori pensanti non con un superuomo, un potente, ma con un Dio bambino seduto sulle ginocchia di sua Madre. Qui è tutta una comunità cristiana che si interroga, che si domanda su come continuare a cercare e credere e su come avere il coraggio di donarsi.