III DI PASQUA - Gv 14, 1-11a


(At 16, 22-34; Col 1, 24-29; Gv 14, 1-11a)

Approfittiamo, per così dire, di questo tempo di Pasqua per dare più spazio e più ascolto alla prima lettura che come vedete non è presa dal Primo testamento, ma dal Nuovo e più precisamente dagli Atti degli Apostoli.

Questo titolo del secondo libro di Luca «Atti degli Apostoli» potrebbe trarci in inganno, infatti Luca non descrive tutto quello che i Dodici hanno fatto dopo la risurrezione di Gesù, piuttosto la sua preoccupazione è quella di testimoniare il percorso che il Vangelo compie a partire da Gerusalemme fino a Roma, attraverso l’azione di Pietro e di Paolo.

Infatti nella prima parte del libro (capp. 1-15) racconta come il Vangelo si radica saldamente in Gerusalemme, e poi nella seconda parte descrive la sua estensione nelle diverse province orientali per arrivare a Roma, cuore dell’impero, ed è a questo punto che si arresta il racconto.

La preoccupazione di Luca è volta a mostrare il grande e irresistibile progredire non tanto della missione dei singoli apostoli, quanto della parola di Dio nel mondo.

In questa prospettiva nella prima lettura di oggi, intercettiamo un passaggio significativo di questo itinerario: il Vangelo arriva in Europa. Infatti Paolo e Sila dopo aver lasciato Troade (antico sito di Troia, in Turchia) approdano in Grecia a Filippi, dove si fermano dall’autunno del 48 all’estate del 49 (secondo viaggio). Filippi era una colonia romana (1) , ma la cosa interessante è che questa è la prima città europea ad accogliere l’annuncio del vangelo.

A questa comunità di Filippi, che avrà una certa importanza , Paolo rimarrà molto legato e affezionato, ad essa indirizzò una delle sue lettere più appassionate, la Lettera ai Filippesi (2).

Cosa faceva Paolo quando arrivava in una nuova città, una città cioè che non aveva mai sentito parlare di Gesù? Anzitutto si rivolgeva agli ebrei che vi risiedevano, cominciava cioè ad annunciare il compimento della promessa di Dio fatta ad Abramo, a Mosè … nel Cristo.

Accanto a questo, Paolo non escludeva le occasioni che la vita gli metteva innanzi, come abbiamo ascoltato nel brano degli Atti di oggi, dove incontriamo gli apostoli in carcere per l’ennesima volta. Sembra essere questa la costante del destino dei discepoli di Gesù, domenica scorsa abbiamo lasciato Pietro e Giovanni in carcere a Gerusalemme, oggi incontriamo Paolo e Sila prima bastonati e poi imprigionati a Filippi. Ma cosa hanno fatto di male? Perché la folla insorge e li conduce dai magistrati della città? Non hanno commesso alcun reato, semplicemente è successo che annunciando Gesù e il suo Vangelo, hanno compromesso i lauti incassi dei signori di una schiava che faceva l’indovina, la quale con questa attività procurava molto guadagno ai suoi padroni.

Quando Paolo smaschera questo modo di fare, che faceva leva sull’ignoranza della gente alla quale la presunta indovina spremeva denaro per arricchire i suoi padroni, viene strattonato e condotto dai magistrati e poi, insieme a Sila, rinchiuso in carcere.

Questo è l’inizio del Vangelo in Europa, nella società pagana, un esordio lontano dai toni trionfalistici e arroganti della religione di stato. Paolo non predica una nuova religione, una nuova morale, una filosofia o una sapienza vincente, Paolo annuncia Gesù, il Vangelo di Cristo, che è l’incontro con un Vivente che ti cambia la vita, che mette in discussione abitudini, modi di pensare, modi di arricchirsi … come quelli appunto della schiava e dei suoi padroni!

Ed è questo anche l’annuncio al carceriere. Osserviamo come concentra in una richiesta essenziale e diretta la sua predicazione: Credi nel Signore Gesù e sarai salvo tu e tutta la tua famiglia! Difatti, dopo una breve catechesi, vengono subito tutti battezzati. Niente di più e niente di meno.

Non è forse questa la svolta di cui ha bisogno il cristianesimo attuale, l’autocorrezione decisiva? Occorre che torniamo semplicemente a Gesù Cristo, ossia che ci concentriamo con più autenticità e con più fedeltà sulla persona di Gesù Cristo e sul suo progetto del Regno di Dio, è lui la via, la verità e la vita. Dopo venti secoli di cristianesimo, la Chiesa ha bisogno di un cuore nuovo per generare in maniera nuova la fede perenne in Gesù Cristo, anche in una cultura che non la favorisce.

Guardiamo Paolo, anche in carcere non smette di annunciare la parola del Signore sia al carceriere e poi a tutti quelli della sua famiglia.

Dunque, la corsa del Vangelo che irrompe in Europa per la prima volta, si misura nient’affatto con le condizioni ideali che tanto ci piacerebbe incontrare, ma con le bastonate e la prigione.

Possiamo comprendere allora il passaggio con cui esordisce nella seconda lettura di oggi, quando con un linguaggio deliberatamente provocatorio, Paolo dice d’essere lieto nelle sofferenze che sopporta per il Vangelo. Addirittura afferma di dare «Compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne».

Un’espressione che potrebbe suonare ambigua, quasi che Paolo debba aggiungere qualcosa alla passione di Cristo, come se Gesù non avesse sofferto a sufficienza. Tutt’altro, Paolo è consapevole che annunciare il Vangelo comporta anche il soffrire così come Cristo ha patito per il Vangelo. Partecipare al modo di vivere di Gesù, significa anche condividerne la persecuzione, l’incomprensione, come appunto gli succede a Filippi.

Gli apostoli avrebbero potuto fuggire dal carcere quella notte, ma per il loro carceriere sarebbe stata la fine: questi avrebbe pagato con la sua stessa vita la fuga dei prigionieri, infatti era pronto a compiere il gesto estremo di togliersi la vita.

Questo ci fa pensare a quanto accade oggi anche nel nostro paese, con il triste crescendo dei suicidi di imprenditori e di lavoratori che di fronte alla crisi economica delle loro aziende non vedono altra via d’uscita che quella del suicidio.

La questione va vista con grande rispetto e discernimento per la sofferenza di coloro che giungono a un gesto così drammatico, ma impone anche a noi degli interrogativi, se non abbiamo da imparare dal coraggio di Paolo anzitutto nel tornare ad annunciare l’essenziale della nostra fede: Credi nel Signore Gesù e sarai salvo tu e tutta la tua famiglia! Occorre tornare a un annuncio dell’essenziale.

Ma quell’annuncio è stato credibile perché Paolo e Sila sono rimasti lì, non hanno pensato di portare a casa la pelle perché questo avrebbe causato problemi al loro carceriere. E proprio da quel prezzo è nata una chiesa, una comunità cristiana!

Ci ha preso l’abitudine a dire che Cristo è la via, la verità e la vita… come dice Gesù nel vangelo di Giovanni. Parole che sono diventate per molti quasi una filastrocca, ripetuta senza convinzione, ed è una tendenza anche un po’ grottesca. Ogni parola cristiana diventa come una filastrocca, quando viene pronunciata da una tribuna pubblica, quando diventa spettacolo, e ignora invece il prezzo pagato dal Cristo.

Ma tutti possiamo far sì che la Chiesa sia un po’ più di Gesù e che il suo volto sia più simile al suo, se siamo disposti a fare la nostra parte fino in fondo.

 

[1] Filippi divenne colonia romana in seguito alla famosa battaglia (ottobre 42 a.C.), tra le truppe di Ottaviano e Antonio e quelle di Bruto e Cassio, uccisori di Giulio Cesare che furono sconfitti. Ottaviano, divenuto successivamente Augusto eresse appunto Filippi al rango di colonia.

L’espressione popolare «Ci rivedremo a Filippi» oggi forse meno usata d’un tempo, sta a dire che prima o poi si arriva alla resa dei conti, e deriva dalla frase che lo spettro di Giulio cesare rivolge a Bruto, come racconta Plutarco e ripresa poi nel IV atto del Giulio Cesare di  William Shakespeare.

[2] Anche Ignazio d’Antiochia e Policarpo di Smirne indirizzarono a questa chiesa locale alcuni dei loro scritti.