V DI QUARESIMA o Domenica di Lazzaro - Gv 11, 1-53
Possiamo aiutarci di fronte ad una pagina così complessa e intensa a partire dalla comprensione dei diversi piani di lettura.
Anzitutto il piano, quello più macroscopico, che deriva proprio dalle parole conclusive e che ci danno il registro dell’alta tensione politica-religiosa tra Gesù e le autorità del suo tempo. Il sinedrio decide di uccidere il Signore facendosi forte della ragion di stato: è meglio che muoia uno solo per il popolo e non vada in rovina la nazione intera! È un piano questo assai diverso e distante da quello più caldo e affettuoso dell’amicizia che lega Gesù Marta, Maria e Lazzaro.
La casa di Betania rappresenta il mondo degli affetti, dei legami, è la casa dell’amicizia. Per contro i capi dei sacerdoti e i farisei si riuniscono nel palazzo del potere dove si trama, si ordisce e si decretano le cose che sembrano contare davvero, perché lì si decide addirittura il futuro di una vita. Con la sentenza di morte questo livello cinico e ottuso, sembra il piano che conta davvero, che pare definitivo.
Poi abbiamo una seconda prospettiva di lettura che ci può illuminare è il rapporto tra questa famiglia di amici e il gruppo dei discepoli. Da una parte abbiamo i discepoli che hanno lasciato tutto per Gesù: la casa, il lavoro, gli affetti appunto, e che non si dimostrano gran che entusiasti quando il Signore decide, due giorni dopo aver saputo della malattia di Lazzaro, di andare a Betania. Per ben tre volte, notate, oppongono una qualche resistenza all’intenzione di Gesù. Al v. 8: ma come volevano lapidarti e di vuoi andare ancora? Al v. 12: se Lazzaro dorme, prima o poi si sveglierà! Infine al v.16, Tommaso rassegnato dice: andiamo anche noi a morire con lui!
È importante non dimenticare che tra coloro che si decidono a seguire Gesù non ci sono solamente quelli che hanno lasciato tutto come i Dodici, ma ci sono anche persone e famiglie che pur continuando a fare la vita di ogni giorno, a fare il proprio lavoro e a mandare avanti la casa, sono amici del Signore.
Non c’è un unico modo di seguire concretamente Gesù. Nel vangelo di oggi incontriamo anche una famiglia di amici, la cui casa è abitata dalla morte e dall’assenza: la morte di un fratello e l’assenza di un amico.
Ed è a questo proposito che possiamo fermarci su un terzo piano di lettura, perché è entrando dentro la relazione con questi amici che conosciamo il volto umano, direi anche emotivo di Gesù. Gesù si sente così legato, così amico e libero da potersi permettere di piangere.
Cosa che il Signore fa raramente (Lc 19, 41), addirittura qui Giovanni ricorre a un verbo per dire il pianto di Gesù (e)da/krusen) diverso da quello che aveva usato per descrivere il pianto di Maria (vv. 31.33), ed è il pianto irrefrenabile del dolore, dell’impotenza umana di fronte all’ineluttabile.
Il lettore attento rimane stupito perché all’inizio della narrazione Gesù sembrava avere la situazione sotto controllo, non aveva commentato così la decisione di andare dall’amico: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate» (v.15)?
Gesù afferma di essere contento che è lo stesso verbo dell’annuncio dell’angelo a Maria: Rallegrati, gioisci! Gesù è contento, è felice perché conosce il disegno del Padre che non abbandona i suoi figli nella morte, ma al tempo stesso piange, anzi è sconvolto come un mare in burrasca.
È un Gesù umano che sentiamo molto vicino: chi di noi non si ritrova nel turbamento e nelle lacrime di Gesù? Gesù se la prende con le forze occulte del male e sembra dire: non è giusto, non va bene così! Le sue lacrime nascono dal cuore ferito e dimostrano che egli non si vergogna di questo senso di ribellione profondamente umano. Sono lacrime che gridano al Padre una spiegazione, che gli domandano dov’era mentre l’amico soffriva e danno credito alle nostre domande, ai nostri perché, alle nostre angosce, all’accanimento nei confronti di gente già tartassata e provata dalla vita. Le lacrime di Gesù sono un dono per noi: ci danno il diritto di piangere senza la vergogna di perdere il controllo della nostra immagine vincente e sicura.
In questo contesto avviene il miracolo. Più che di resurrezione, che sarà la novità della domenica di Pasqua, Lazzaro che torna a vivere e conoscerà poi ancora la morte, è metafora di una esistenza imbrigliata e imbavagliata che torna a fiorire!
Se al termine del nostro itinerario quaresimale incontriamo Lazzaro che torna a vivere, è per dire a ciascuno di noi che grazie all’affetto di Gesù, alla sua amicizia, alla relazione con lui, possiamo far fiorire la nostra vita, possiamo tirare fuori la nostra vita da tutte quelle tombe e quei sepolcri dove ci siamo cacciati o dove ci hanno rinchiuso.
C’è la risurrezione finale, lo confessa anche Marta davanti a Gesù, ma c’è una risurrezione possibile ogni giorno grazie all’amicizia di Cristo. E qui il discorso si fa ancora più preciso.
Gesù ci fa riflettere: chi è il più forte? Chi può togliere la vita o chi la dà? È più forte l’uomo che uccide o la donna che genera? È più forte il peccato o la misericordia? È più potente l’onestà o la prepotenza? Siamo sottoposti ogni giorno all’evidenza dell’arrogante, del corrotto. Sembra che i furbi e i superbi l’abbiano sempre vinta … anche la memoria di ieri delle vittime della mafia che è stata celebrata nella nostra città ci ha ricordato che la violenza e l’ingiustizia sembrano farla da padroni. Ma con lo sguardo di Gesù sulle cose, impariamo a sorridere dinanzi ai palloni gonfiati che abitano il mondo, pare sempre con maggior frequenza, perché «più in alto la scimmia sale e più mostra il sedere» (Montaigne)! Il primo piano di lettura viene dunque profondamente scardinato nella sua presunta definitività.
Infine vorrei richiamare la vostra attenzione al comando finale del Signore che potrebbe anche sorprenderci, perché dopo aver chiamato Lazzaro ad uscire dal sepolcro, dice ai suoi: «Liberatelo e lasciatelo andare». Poteva lacerare le bende in un solo colpo, così come poteva spezzare le catene della morte una volta per sempre … invece chiede ai suoi amici, chiede a noi di collaborare alla liberazione della vita.
Quei discepoli che non volevano andare a Betania, vengono invece coinvolti nella missione di liberare la vita così frequentemente impacciata, avvolta in bende che la rinchiudono. Proviamo a pensare quante e quali bende tengono prigioniere tante vite: la paura, i sensi di colpa, lo scoraggiamento… Quante facce tristi, quante facce di gomma vediamo intorno a noi, quante vite fasciate e irrigidite incontriamo nelle vie della città.
Con l’amicizia e l’affetto, con la relazione e la cura, con la compassione e la pazienza il Signore ci domanda di aiutarle a liberarsi dalle bende nelle quali la loro vita si svuota in un lento decomporsi.
Nell’Eucaristia Gesù ci dona la sua amicizia perché non c’è amore più grande di chi dà la vita per gli amici. Per questo lo preghiamo insieme:
Signore noi crediamo che la tua amicizia ci libera, che il tuo affetto ci scioglie dalle bende della paura, rendici donne e uomini capaci di liberare la vita.
(Gv 11, 1-53)