V DI AVVENTO - Gv 1, 6-8. 15-18


(Gal 3,23-28; Gv 1, 6-8.15-18)

Anche oggi come sempre avete risposto al mio invito che conclude la lettura Vangelo «Parola del Signore», dicendo: «Lode a te o Cristo», anche se in realtà Gesù qui ancora non ha parlato, non ha detto nulla.  Perché allora abbiamo acclamato, come tutte le domeniche, che questa parola per noi è autorevole al punto da affermare che è «Parola del Signore»? Si parla di Giovanni il Battista, o meglio di Giovanni il Testimone, come ama definirlo il Quarto vangelo e di fronte alla sua testimonianza diciamo: è parola del Signore!

Sì perché l’incontro con Cristo è sempre mediato da un Battista, da un Testimone. Pensiamo alla nostra esperienza personale: quante persone sono state per noi testimoni di una fede bella, semplice, cristallina al punto da farla nostra?  Pensiamo a tutti coloro che nell’arco della nostra esistenza ci hanno indicato la Luce, il Cristo e lo hanno fatto non tanto e non solo a parole, ma testimoniando questo amore dalla mattina quando si alzavano con un pensiero e una preghiera rivolta a Lui e poi con innumerevoli atteggiamenti e gesti che lungo la giornata e fino a sera parlavano di Dio, parlavano dell’amore, e così ci hanno narrato la fede.

Ad essere onesti e sinceri dobbiamo anche dire con le parole di Paolo ai Galati che tante persone invece più che essere introdotti a una fede libera e liberante sono state soggiogate a una legge. Quante persone che oggi abbandonano la fede, o meglio sarebbe dire la Chiesa, lo fanno per liberarsi da una tirannia? Perché sono cresciute con un rapporto con Dio non da figli amati e liberi, ma con la paura degli schiavi, soggiogati dal timore del castigo e della punizione.

Ma Dio nessuno lo ha mai visto, dice Giovanni, solo il Figlio lo racconta, lo narra, ne fa l’esegesi. E lo mostra nella sua relazione di Figlio, non di schiavo della paura, ma di Figlio amato. Noi oggi possiamo dire che tutti coloro che hanno contribuito a testimoniare una fede così da figli amati per la quale siamo ancora qui… ecco questi testimoni sono «parola del Signore», sono un dono di Dio e sarà importante allora fare quello che ha fatto Giovanni l’Evangelista, che all’alba dei suoi cent’anni, voltandosi indietro riconosce che se è stato possibile per lui incontrare Cristo, lo è stato grazie anche a quel profeta che urlava nel deserto e che indicava un altro. Se lui ha potuto seguire il Signore e ricevere il suo amore è stato grazie a quel testimone che continuava a dire: Guardate a lui, cercate un altro. Non sono io, non sono io!

E come l’Evangelista anche noi, in questa eucaristia, vogliamo ringraziare il Signore per i vari testimoni, i vari Battista che nella nostra storia ci hanno aiutato a incontrare Gesù. Non voglio sembrare irriverente, ma papa Francesco cosa è per tanta gente oggi se non proprio il Testimone visibile e credibile del Cristo? Non voglio «ridurre» il papa al Battista, ma se la sua affabilità, il suo modo di indicare il Vangelo affascina è anche perché siamo stanchi delle gerarchie ingessate nei loro paludamenti, se oggi molti tornano a fidarsi di Cristo è perché c’è un testimone che non è di intralcio, di ostacolo o addirittura di scandalo, ma è, come lo è stato Giovanni, capace di dare testimonianza alla luce.

L’evangelista Giovanni, quando deve ricordare il Battista, non fa come i Sinottici che raccontano della sua famiglia, del suo modo di vestire… Dice semplicemente: «Giovanni doveva dare testimonianza alla luce». È testimone, non si identifica con il Cristo, non confonde le cose: «Vengo come testimone per dare testimonianza alla luce». Il Battista anzitutto dice chi non è. E questa operazione di umile decentramento è importante anche per noi, per ciascuno di noi e per la chiesa stessa. Il Battista, spostando l’attenzione da sé e rimandando al Cristo, ci dice che la condizione essenziale è anzitutto una spoliazione di tutte quelle sovrastrutture, titoli, ruoli e funzioni che spesso ci costringono a indossare maschere di ipocrisia.

Ricordiamo l’invito di qualche domenica fa ad entrare nel deserto? Non per nulla il Battista sta nel deserto: per indicare che l’incontro col Signore che viene, esige che noi abitiamo uno spazio dove le finzioni sono abolite, dove l’uomo può stare per quello che è, spogliato appunto di tutte le maschere che anche gli altri ci chiedono di indossare. E questo è vero per ciascuno di noi, a livello personale, perché alla domanda: «Ma tu chi sei?», potremmo rispondere: «Sono un adulto, sono giovane, padre, nonno, madre, figlio, dottore, operaio, insegnante, donna, uomo… ». Ci definiamo in genere in funzione del riconoscimento che gli altri ci danno e di cui la società ci riveste. Il Battista ci dice che se vogliamo riconoscere il Signore dobbiamo entrare nel deserto, nella verità di noi stessi e riconoscerci per quello che siamo davanti a Dio, cioè figli. Il che poi significa comunque essere genitore, professionista, pensionato… ma prima ancora figli di Dio.

E qui accade il passaggio successivo, vale a dire che a nostra volta possiamo essere testimoni per altri. La chiesa stessa ha per sua natura questa funzione: non deve predicare se stessa, ma deve aiutare tutti a fissare lo sguardo sul Cristo. Una delle urgenze maggiori del ministero della Chiesa è appunto questa: fissare lo sguardo di tutti sul Signore che deve venire, e non su se stessa. Si tratta di un’urgenza di sempre, certo; ma si tratta di un’urgenza maggiore proprio ai nostri giorni, in questo tempo nel quale l’attenzione ai risultati, al numero delle presenze, alla quantità degli articoli dedicati dai giornali alle diverse iniziative… minaccia di diventare il criterio supremo del successo. Il Signore aiuti la sua Chiesa a volgere l’attenzione oltre se stessa, a Colui che deve venire.  Paolo VI che aveva il senso acuto del mistero della trascendenza, diceva: «Questa chiesa che continuamente cerca il suo Cristo». Io non sono il Cristo, anche se sono il papa, il vescovo, il prete… ma io sono appena uno che cerca Cristo. Io non sono la luce, sono mandato a dare testimonianza alla luce. E se noi cediamo alla tentazione di coprire, di rivestire, di addobbare il vangelo con tante altre cose, ci penserà la storia a ricondurci attraverso percorsi dolorosi e ripidi alla spoliazione, alla semplicità.

Diceva Nelson Mandela: «Siamo tutti nati per risplendere… siamo nati per rendere manifesta la gloria di Dio che è dentro di noi. Non solo in alcuni di noi: è in ognuno di noi». Dobbiamo liberare la luce del Vangelo che teniamo chiusa nelle nostre paure, nella religione della legge, perché è ancora oggi quella del Vangelo è una luce che, appunto come ha testimoniato Mandela, può liberare l’uomo dalle schiavitù. Potremmo dire che anche Mandela, questo ultimo grande liberatore del XX secolo come è stato definito, è stato un po’ come il Battista per il suo popolo e non solo, nel tener testa agli interessi dei potenti e alle loro ingiustizie. Disse Mandela durante il suo processo del 1964: «Io ho combattuto contro il dominio dei bianchi e ho combattuto contro il dominio dei neri. Ho accarezzato e nutrito l’ideale di una società libera e democratica, nella quale tutti possano vivere in armonia e con pari opportunità… questo è un ideale per il quale sono disposto a dare la mia vita».

Non potremo liberare l’uomo dalla paura e dalla schiavitù della legge, se noi stessi non siamo stati liberati dalla Parola che salva. La stessa religione non potrà liberare l’uomo dalla schiavitù della Legge se non è riflesso della luce del Vangelo, della vita del Cristo che ci restituisce la dignità dei figli di Dio. Chiediamo al Signore di poter contribuire alla liberazione della nostra umanità, senza mai smettere di liberare a nostra volta la luce che è in ognuno di noi.