V DI AVVENTO - Gv 3, 23-32a


audio 12 dic 2021

Possiamo ben immaginare i discepoli del Battista mentre vanno a spiare le mosse di Gesù per poi tornare dal loro capo a dirgli: “Guarda Giovanni che «quello là» – notate non nominano mai Gesù – colui che è stato con te per un po’ di tempo e al quale hai dato testimonianza, ebbene «quello là» sta facendo più seguaci di te, tanta gente gli va dietro!”.

Siamo di fronte all’ennesima esperienza di gelosia, di invidia, di divisione che segna la nostra vita e che quando riguarda la fede e la religione diventa una situazione ancor più penosa e triste. Non ci aspetteremmo questi sentimenti da persone spirituali che hanno deciso di seguire un ruvido predicatore del deserto che parla di conversione e invece eccoli qui a riproporre le stesse logiche di sempre: Ma guarda che ingrato quello là, prima ti ha sfruttato e adesso ti porta via il pubblico!

Stiamo parlando di noi, sono i nostri sentimenti intimi e profondi e sono proprio questi a muovere le gambe e la bocca: parlar male, dividere, sospettare, condannare, giudicare… non c’è niente di nuovo. Il mondo è pieno, le chiese ne sono strabordanti.

Giovanni Battista come poteva reagire a una situazione del genere?

Anzitutto Giovanni poteva sfruttare questa situazione di presunta rivalità – ed è l’atteggiamento più diffuso anche da parte nostra -, perché avere un fronte comune contro qualcuno, avere un nemico comune è un’opportunità da sfruttare. Si sa che proiettare il male su un nemico esterno favorisce la coesione interna maggiore del gruppo. Quindi Giovanni in qualche modo poteva volgere la questione a suo favore.

Oppure poteva fare loro una bella lavata di capo, poteva sferzarli con una sfuriata e tuonare come lui sapeva fare per rimbrottare i loro difetti perché «certe cose non si dicono, certe cose non si fanno»! Avrebbe usato così il suo carisma per tenerli soggiogati: i seguaci devono sempre temere il capo e questa poteva essere un’occasione preziosa.

Invece il Battista apre un’altra possibilità, difficile da prevedere e che solo la divina follia di quel giovane profeta poteva pensare, ed è quella dell’amicizia. Sì dell’amicizia, come dice lo stesso Precursore. A chi gli parla di invidia e di gelosie, Giovanni risponde: l’amico dello sposo esulta di gioia alla voce dello sposo e la sua gioia è piena.

Non poteva esserci contrasto più forte: al livore, all’invidia, alla gelosia risponde con l’amicizia e la gioia.

Ora quella tra Gesù e Giovanni doveva essere un’amicizia proprio speciale. Primo perché Giovanni non era –come si suole dire – un compagnone, anzi, era piuttosto incline al digiuno, era un asceta. A Gesù invece piaceva proprio stare a tavola con gli amici. Molti dei suoi incontri decisivi avvengono intorno a un banchetto.

Gli esegeti concordano col fatto che probabilmente al di là del fugace incontro al Giordano, Gesù pare che per qualche tempo sia stato discepolo di Giovanni… quindi la rabbia dei discepoli di Giovanni era alle stelle.

Inoltre Giovanni era coetaneo di Gesù, entrambi giovani trentenni pieni di speranze, di sogni di futuro: lo sta a indicare anche il fatto che avessero un certo seguito, pur nelle loro diversità. Basti pensare che Giovanni invitava la gente a raggiungerlo nel deserto e in riva al fiume Giordano; Gesù invece lo vedremo camminare e andare per le strade a incontrare le persone, lo vedremo attraversare villaggi e città… Giovanni predicava penitenza e rigore; Gesù amore e misericordia… e potremmo andare avanti nell’evidenziare le differenze tra i due, tant’è che il vangelo di Giovanni lascia percepire che verso il termine del primo secolo permanessero ancora delle tensioni tra i rispettivi discepoli.

Ma la cosa che più di tutte ci sorprende è che il Battista di fronte alle gelosie e invidie del suo gruppo, sposti l’accento del discorso appunto sull’amicizia, definendosi: Io sono l’amico dello sposo.

Cosa dice Giovanni definendosi come l’amico di Gesù e riconoscendo in Gesù lo sposo? Sicuramente zittisce tutte le chiacchiere che i suoi vanno facendo, ma definisce anche il suo rapporto intimo con Gesù e inoltre annuncia che ora qui sta accadendo qualcosa di grande: Israele sapeva che Dio, come avevano detto i profeti, avrebbe preso in sposa il popolo di Israele nonostante le sue infedeltà. Ebbene questo è il momento dell’amore tra Dio e l’umanità.

L’amico dello sposo non reclama per sé la festa, ma vive l’amicizia come un servizio all’amico che ha una missione straordinaria. Per questo è felice, è nella gioia. Alla rabbia, all’invidia, al rancore, al pettegolezzo cosa oppone Giovanni? La gioia che viene da un’amicizia che rende servizio all’amico: Lui deve crescere e io diminuire!

Forse oggi abbiamo bisogno proprio di una chiesa così, non solo una chiesa gerarchica strutturalmente organizzata – perché questo è ciò che più appare -, ma una comunità di amici del Signore che sia al servizio del suo amore per l’umanità.

Purtroppo ancora oggi succede che, come ai tempi del Battista, i discepoli stiano a litigare se quello che fa uno non sia migliore di quello che fa l’altro… «il mio gruppo, la mia parrocchia è migliore della tua…, il mio movimento è migliore del tuo…».

Magari uno personalmente si mette al servizio, dona la sua vita, la questione è che poi la struttura lo divora e così finisce per essere al servizio non più dello Sposo, ma dell’organizzazione. Infatti, il Battista ci insegna a capire quando siamo sulla strada giusta se siamo contenti, se siamo felici. Il segreto della gioia è vivere per servire.

Nella loro diversità Giovanni e Gesù vivono un’amicizia che diventa paradigma per le nostre amicizie: entrambi sono diversi per temperamento, per atteggiamento di fronte alla vita… sono più le cose che li rendono diversi di quelle che sembrano unirli, ma è così importante ciò che li unisce che il resto viene integrato mirabilmente, e ciò che li unisce è appunto il mettere la vita al servizio.

Giovanni dice di essere al servizio del Cristo e Gesù nell’ultima cena rivolgendosi ai discepoli dirà: Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici (15,13).

Sono parole per noi, parole che riviviamo in ogni eucaristia, così che quando celebriamo la domenica ci basta ricordare questo pensiero di Gesù per avvertire la bellezza di essere considerati amici, nonostante le nostre incostanze, le nostre paure, le nostre infedeltà.

L’amicizia di Gesù è una relazione in cui posso riposarmi perché non temo di essere giudicato, nella sua amicizia trovo riposo, serenità e abbandono. Non è vero che non sia esigente, ma l’amicizia di Gesù dice la verità e rende liberi e soprattutto più umani.

In settimana vi invito a riprendere in mano il salmo 145 che descrive come e di cosa è capace questo amico.

Purtroppo è stato omesso il primo versetto: «il Signore che ha fatto cielo e terra», cui segue un elenco di undici attenzioni di Dio, così che abbiamo dodici azioni dell’amicizia di Dio: «il Signore rimane fedele per sempre, rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati… ridona la vista ai ciechi, rialza chi è caduto…». Sono dodici azioni di Dio che dicono di cosa sia capace l’amicizia di Gesù con la nostra umanità.

Di conseguenza dicono anche la missione degli amici dello Sposo oggi: ancora adesso sono queste le cose principali da fare per vivere nella gioia e lontani dalle gelosie, per non lasciarci prendere dalle invidie, dalle gelosie, dal narcisismo: proteggere i forestieri, sostenere gli orfani e le vedove, dare il pane agli affamati, portare una coperta a chi ha freddo…

Anzi, dovremmo imparare a considerare proprio loro quali amici che ci prendono per mano e che ci guidano all’incontro con Cristo. Se Gesù ha fatto dei poveri, dei malati, dei peccatori i suoi amici, dove potremo incontrarlo se non lì, dove sono loro?

(Is 30, 18-26b; Sal 145; Gv 3, 23-32a)