I DI QUARESIMA o Domenica all’Inizio di Quaresima - Mt 4, 1-11


(Mt 4, 1-11)

Probabilmente per molti di noi la quaresima è iniziata da un po’ di tempo, in un certo senso la crisi ha imposto una sobrietà senza che la potessimo scegliere e decidere; per forza di cose ci siamo trovati costretti a rivedere e a ridimensionare alcuni nostri comportamenti e abitudini.

Infatti non è tanto sulle cose che possiamo fare in questa quaresima che vorrei invitarvi a riflettere, piuttosto vorrei concentrarmi su un atteggiamento che riscontriamo in Gesù, proprio quando egli si trova in un momento di grande crisi. Osserviamo come Cristo risponde al tentatore, a questo «fratello oscuro» – come lo chiamava Turoldo – per il quale ciascuno di noi è nella condizione non di fare il bene che vuole, ma di fare il male che non vuole, come dice Paolo.

Ebbene, il Cristo risponde al tentatore ripetendo per tre volte: «Sta scritto!» cui fa seguire la citazione di tre passi della Scrittura (Deuteronomio). Se Gesù arriva a rispondere per tre volte in condizioni così intense ed estreme «Sta scritto», significa che dal suo cuore esce ciò che c’è di più prezioso: la relazione con il Padre nutrita e sostenuta dall’ascolto della sua Parola è questa la sua forza nella tentazione.

Mi sembra che già da qui ci venga un invito forte a vivere questo tempo soprattutto con la decisione di dare finalmente alla parola di Dio una certa egemonia su tutte le altre nostre cose, su tutte le nostre devozioni e preghiere.

Le radici della crisi di fede che attraversa il nostro tempo non sono tanto dovute a un mondo che è indifferente, freddo, lontano, se non addirittura ostile, questa è una costante della storia umana, le radici della crisi sono soprattutto intra moenia.

Lo diceva bene Dossetti: «La causa primaria è nel fatto che né il cristiano comune, né il cristiano costituito in responsabilità e funzioni di assistenza e di costruzione della comunità, abitualmente si abbevera abbastanza alla fonte che non solo lo deve nutrire e alimentare ma che, ancor prima, lo genera, perché è l’unico “seme incorruttibile” a cui incessantemente egli deve far riferimento».

Da questa considerazione vi rivolgo l’invito a vivere questi quaranta giorni come occasione in cui coltivare l’atteggiamento che ha permesso a Gesù di vincere la tentazione, ovvero nel dare una certa egemonia alla Parola di Dio nella nostra vita quotidiana.

Possiamo decidere di seguire le letture della liturgia del giorno, oppure di leggere di seguito tutto un vangelo, o di riprendere lungo la settimana le letture della domenica… L’importante è sottomettere alla Scrittura i nostri cuori, i desideri, le decisioni, i comportamenti e i pensieri della nostra vita.

La Bibbia è parola di Dio in parola umana, è parola di Dio quindi di un vivente, anzi di colui che è il Vivente per eccellenza. Ascoltarla significa allacciare un rapporto di comunicazione con Dio che la pronuncia, una comunicazione che per sua natura tende a diventare un rapporto di amore, di intimità, di alleanza, di appartenenza reciproca. La quaresima vista così, più che un impegno, è un dono, un’occasione.

L’alternativa è che la parola di Dio non sia più il seme incorruttibile che genera il popolo cristiano. E così andiamo incontro a una decadenza della vita spirituale, finiamo per entrare in uno stato grave di astenia e di disorientabilità permanente come oggi accade.

Occorrono comunità cristiane che vivano a qualsiasi costo l’egemonia del Vangelo, che la vivano come esperienza personale, ma anche in condivisione.

La nostra missione non si confonde con la propaganda, ma dipende dalla qualità umana e cristiana di comunità formate intorno alla parola di Dio. Comunità dove le persone hanno imparato a essere libere e responsabili, umili e coraggiose insieme, sciolte e capaci di parresia, immuni da ogni settarismo e da ogni risentimento.

Ma invitandovi a vivere la quaresima sotto l’egemonia della Parola, mi rendo conto delle numerose obiezioni e difficoltà che possiamo riscontrare anche dentro di noi.

La prima obiezione è l’idea che la Bibbia sia difficile, anzi difficilissima e che per affrontarla occorra conoscere l’ebraico, il greco… che si debba essere esperti di teologia, di archeologia, e conoscere la storia, esercitandosi in metodologie complesse, al punto che la Bibbia ha sempre goduto di un grande rispetto negli ambienti cattolici, ma che questo rispetto si è manifestato, come è stato detto argutamente (P. Claudel, 1948), nello starne lontani.

Ma lo scopo della lettura della Bibbia non è arricchire l’interpretazione filologica di un versetto, di scomporre la frase come farebbe un orologiaio stolto capace sì di smontare pezzo per pezzo l’orologio, ma incapace poi di ritrovarne l’insieme per farlo funzionare. Se Dio ci viene incontro con la sua Parola è per nutrire il pensiero, purificare il desiderio, arricchire la memoria, irrobustire la speranza, consolidare la consolazione, giudicare l’azione e per questo non occorre essere specialisti.

Dobbiamo ricordare quello che ci è stato detto il giorno del nostro battesimo e che ripetiamo ogni volta su un nostro bambino: Il Signore Gesù che fece udire i sordi e parlare i muti, ti conceda di ascoltare presto la sua parola e di professare la tua fede, a lode e gloria di Dio Padre. Se il rito ha un senso, esso abilita il battezzato all’ascolto della parola di Dio.

C’è anche un secondo ostacolo che viene ben descritto da quanto abbiamo ascoltato oggi nel vangelo di Matteo e cioè sono le nostre condizioni interiori. Le tre tentazioni cui è sottoposto anche Gesù, sono come tre grandi diaframmi che ostacolano la nostra assiduità con la parola del Signore.

La prima tentazione è quella che ci fa pensare che ciò che conta di più nella vita siano le cose. Trasformare le pietre in pane vuol dire fare da padrone sulle cose del mondo. Mi verrebbe da dire che è la tentazione del giovane, di chi si sente invincibile ed è meno disponibile ad ascoltare in genere, tanto meno la Scrittura.

La seconda tentazione è quella che riduce la fede a una religiosità magica, fatta di superstizione che domanda continuamente segni, anziché l’obbedienza alla Parola. Potremmo dire è la tentazione dell’età anziana, di chi si misura con la vecchiaia, con la fragilità…

Infine, la terza tentazione è quella di credere che il potere – in tutte le sue forme, sia esso il potere del denaro, del sesso o dell’ideologia – sia ciò che conta davvero. Mi parrebbe la tentazione dell’età adulta che considera la Parola di Dio poco efficace ad affrontare le responsabilità del mondo, perché fragile e debole.

È ovvio che in realtà queste tre tentazioni attraversano le varie età della vita, ma quello che voglio dire è che non c’è vita cristiana senza questa lotta spirituale come la chiamano i Padri, infatti, come ci insegna Gesù nel Padre nostro, non chiediamo di essere esentati dalla tentazione, perché in realtà la tentazione è necessaria e sollecita la nostra intelligenza e la nostra libertà, piuttosto preghiamo di non essere abbandonati alla tentazione per saperla superare nella misura in cui impariamo da lui ad avere il cuore traboccante della sua Parola.