III DOPO L’EPIFANIA - Mt 14, 13b-21
Le folle raggiungono Gesù nel deserto e così il deserto smette di essere tale, diviene popolato, si riempie del vociare, del chiamarsi, del cercarsi della gente, ma il rumore non cancella la fame.
È nel deserto che si avverte la fame. Quando il deserto è nell’anima, la fame è ancora più acuta, insistente, impellente.
E Gesù si commuove, sentì compassione, scrive Matteo. Senti ancora compassione per noi, Gesù? Siamo deserto, siamo vuoto, siamo tristi… ma che sia benedetto questo deserto, questo vuoto! Benedetto perché tu sei qui e provi compassione e guarisci, ti prendi cura di noi.
Penso a chi il deserto di freddo e di gelo lo sta vivendo a Bihac in Bosnia al confine con la Croazia, nel campo di Lipa… o su un gommone in mezzo al Mediterraneo.
E c’è chi si appella a Dio: ma vieni, fai qualcosa, intervieni! Ma da quando Dio ci dà il pane? Lui ci dà il grano, il frumento a noi tocca trasformarlo in pane.
Non abbiamo ancora imparato? Voi stessi date loro da mangiare! Dice Gesù ai discepoli. È un’altra economia, nel senso letterale del termine che è la legge della casa e cos’è la legge di casa se non che quello che hai tu è anche dell’altro, lo condividi, è comune. Quel poco o tanto che c’è basta per tutti.
È il significato vero della compassione, che non è il pietismo, non è far scivolare le cose dall’alto, ma è l’emozione che muove il cuore alla condivisione.
Dunque l’emozione diventa legge, legge di casa. Il potere delle emozioni è anche questo: spegnere per una volta la legge del calcolo, del tornaconto, dell’interesse. Restituire alla vita la gratuità di un gesto, di un’attenzione, di un amore.
Domenica scorsa il vino di Cana, oggi il pane e il pesce di Tabga. Tutte cose che si moltiplicano a partire dal poco, si accrescono dal niente, e questo avviene nel momento in cui Gesù, commosso, le dona e le mani dei discepoli o dei servi le distribuiscono.
Dov’è il miracolo?
Ogni volta che mangiamo, ogni volta che beviamo facciamo dei gesti che possono creare comunione e parlare di commensali che spartiscono quello che c’è.
Nelle case dei poveri questo è normale, appartiene all’ordine delle cose. Quell’ordine che mette prima l’altro, il più piccolo, il più vecchio. Il malato.
Nelle case degli altri chi prima arriva meglio sta. Si mangia da soli, si divora qualcosa, si fagocita tutto: il tempo, le cose, persino l’altro, l’altra e la loro vita.
Possiamo facilmente immaginare che anche Gesù abbia avuto fame, ma il movimento che avvertiva nello stomaco – come dice il verbo greco – non era quello dei succhi gastrici, ma quello della compassione, di chi mette davanti a tutto il dolore dell’altro, mette prima di tutto la fame dell’altro, il bisogno dell’altro. La compassione non è un’emozione facile.
Si scontra con la razionalità dei discepoli che dicono una cosa di buon senso: Non possiamo fare tutto noi, tocca agli altri! Non posso fare io tocca alla Caritas, mandiamoli alla mensa dei poveri lì qualcuno sicuramente si interessa di loro.
E le cose così non cambiano mai. Anzi le file dei poveri si allungano sempre di più come quelle che abbiamo visto accedere alle mense di Milano prima di Natale: file di persone che se ne tornano con il loro pacco con dentro un litro di latte, quattro yogurt, due scatolette di tonno, una confezione di Philadelphia e il pane che non può mancare.
E dobbiamo continuare a inventarci altre mense, altri pacchi… e meno male che ci sono.
Ma si può fare altro? Si può cambiare l’economia della casa comune? Se l’economia domestica mette prima il piccolo, l’anziano e il malato e le cose così funzionano… non possiamo pensare di cambiare l’ordine delle cose?
So che non è che possiamo proiettare questo modello su larga scala per quanto riguarda l’economia mondiale, né io sono un esperto per avanzare proposte credibili, ma possiamo credere che un cambiamento è possibile.
Il 21 novembre scorso circa duemila giovani fino ai 35 anni di età, provenienti da tutto il mondo, impegnati negli ambiti della ricerca, studenti e studiosi in Economia e altre discipline, dell’impresa, imprenditori, dirigenti e top manager, sono stati convocati ad Assisi da Papa Francesco per riflettere e fare proposte sull’Economia di Francesco.
Al termine dei lavori hanno lanciato un messaggio agli economisti, imprenditori, decisori politici, lavoratrici e lavoratori, cittadine e cittadini del mondo, per dire che “non si costruisce un mondo migliore senza una economia migliore e che l’economia è troppo importante per la vita dei popoli e dei poveri per non occuparcene tutti”[1].
Dodici le richieste che a nome dei giovani e dei poveri della Terra ci hanno lasciato in consegna.
- le grandi potenze mondiali e le grandi istituzioni economico – finanziarie rallentino la loro corsaper lasciare respirare la Terra. Il COVID ci ha fatto rallentare, senza averlo scelto. Quando il COVID sarà passato, dobbiamo scegliere di rallentare la corsa sfrenata che sta asfissiando la terra e i più deboli;
- venga attivata una comunione mondiale delle tecnologiepiù avanzate perché anche nei paesi a basso reddito si possano realizzare produzioni sostenibili; si superi la povertà energetica – fonte di disparità economica, sociale e culturale – per realizzare la giustizia climatica;
- il tema della custodia dei beni comuni(specialmente quelli globali quali l’atmosfera, le foreste, gli oceani, la terra, le risorse naturali, gli ecosistemi tutti, la biodiversità, le sementi) sia posto al centro delle agende dei governi e degli insegnamenti nelle scuole, università, business school di tutto il mondo;
- mai più si usino le ideologie economicheper offendere e scartare i poveri, gli ammalati, le minoranze e svantaggiati di ogni tipo, perché il primo aiuto alla loro indigenza è il rispetto e la stima delle loro persone: la povertà non è maledizione, è solo sventura, e responsabilità di chi povero non è;
- che il diritto al lavoro dignitoso per tutti, i diritti della famiglia e tutti i diritti umani vengano rispettati nella vita di ogni azienda, per ciascuna lavoratrice e ciascun lavoratore, garantiti dalle politiche sociali di ogni Paese e riconosciuti a livello mondiale con una carta condivisa che scoraggi scelte aziendali dovute al solo profitto e basate sullo sfruttamento dei minori e dei più svantaggiati;
- vengano immediatamente aboliti i paradisi fiscaliin tutto il mondo perché il denaro depositato in un paradiso fiscale è denaro sottratto al nostro presente e al nostro futuro e perché un nuovo patto fiscale sarà la prima risposta al mondo post-COVID;
- si dia vita a nuove istituzioni finanziariemondiali e si riformino, in senso democratico e inclusivo, quelle esistenti (Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale) perché aiutino il mondo a risollevarsi dalle povertà, dagli squilibri prodotti dalla pandemia; si premi e si incoraggi la finanza sostenibile ed etica, e si scoraggi con apposita tassazione la finanza altamente speculativa e predatoria
- le imprese e le banche, soprattutto le grandi e globalizzate, introducano un comitatoetico indipendente nella loro governance con veto in materia di ambiente, giustizia e impatto sui più poveri;
- le istituzioni nazionali e internazionali prevedano premi a sostegno degli imprenditori innovatori nell’ambito della sostenibilità ambientale, sociale, spirituale e, non ultima, managerialeperché solo ripensando la gestione delle persone dentro le imprese, sarà possibile una sostenibilità globale dell’economia;
- gli Stati, le grandi imprese e le istituzioni internazionali si prendano cura di una istruzione di qualitàper ogni bambina e bambino del mondo, perché il capitale umano è il primo capitale di ogni umanesimo;
- le organizzazioni economiche e le istituzioni civili non si diano pace finché le lavoratricinon abbiano le stesse opportunità dei lavoratori, perché imprese e luoghi di lavoro senza una adeguata presenza del talento femminile non sono luoghi pienamente e autenticamente umani e felici;
- chiediamo infine l’impegno di tutti perché si avvicini il tempo profetizzato da Isaia: “Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra” (Is 2, 4).
Noi giovani non tolleriamo più che si sottraggono risorse alla scuola, alla sanità, al nostro presente e futuro per costruire armi e per alimentare le guerre necessarie a venderle. Vorremmo raccontare ai nostri figli che il mondo in guerra è finito per sempre.
Chiudono il messaggio dicendo: “Voi adulti che avete in mano le redini dell’economia e delle imprese, avete fatto molto per noi giovani, ma potete fare di più. Il nostro tempo è troppo difficile per non chiedere l’impossibile. Abbiamo fiducia in voi e per questo vi chiediamo molto. Ma se chiedessimo di meno, non chiederemmo abbastanza”.
Utopia? Forse, ma se avviamo qualche processo, il cambiamento verrà… altrimenti saremo condannati a vivere nell’ordine di un’economia iniqua, disumana e insostenibile.
Crediamo alla logica evangelica di Cana e di Tabga che è l’economia di Francesco: cominciamo a commuoverci per i poveri che incontriamo, condividiamo il poco che abbiamo e il processo di cambiamento condurrà a un’economia giusta, sostenibile e inclusiva.
(Mt 14,13-21)