COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI - Gv 5, 21-29


Ci vuole un certo coraggio per ascoltare la pagina delle Beatitudini nel giorno in cui con tutta la Chiesa rinnoviamo la comunione con i nostri cari defunti!

Ognuno di noi porta nel cuore il dolore per la morte o del compagno o della compagna di una vita, o del papà o della mamma, o di un parente caro, di un amico o addirittura di un figlio o di una figlia troppo presto sottratti al nostro affetto, e come sarebbe possibile guardarci in volto e dirci: sai che Gesù dice che sono beati coloro che sono nel pianto perchè saranno consolati?

Umanamente parrebbe addirittura irrispettoso. E io credo che nemmeno noi cristiani non dovremmo imporre troppo precipitosamente parole o gesti che vogliano placare l’angoscia della perdita, perchè anche il dolore ha una sua dignità, anche le lacrime che versiamo quando muore qualcuno che amiamo sono importanti e ci aiutano a tenere viva la nostra condizione creature, di chi non controlla tutto, di chi non ha tutto sotto i propri piedi… per questo, anche per noi credenti, occorre saper rispettare i tempi e i silenzi del dolore.

La celebrazione di questa sera però ha un valore aggiunto al dolore che ciascuno di noi si porta nel cuore, perchè con la nostra preghiera anzitutto spezziamo quell’isolamento tipico del soffrire ed esprimiamo quella comunione che c’è tra coloro che ci hanno preceduto nel regno di Dio.

I nostri cari non sono sperduti in un luogo impersonale o in una condizione  di solitudine ma, come dice Giovanni nell’Apocalisse, abitano la «Gerusalemme nuova», una Gerusalemme che non è nuova perchè si è rifatta il look, ma è una Gerusalemme inedita. Infatti è una città che «scende dal cielo, da Dio»: perchè è un puro dono suo.

Ed è consolante che dal trono del giudizio che è in Gerusalemme non si odano parole di condanna, di esclusione, ma parole di consolazione: egli sarà il Dio con loro, il loro Dio e asciugherà ogni lacrima, ogni lacrima, dai loro occhi e non vi sarà più la morte.

I nostri cari abitano la nuova Gerusalemme, vivono cioè la città della risurrezione, dove la cittadinanza di risorti viene donata direttamente da Dio, ed è una cittadinanza di vita, quella vita che viene dal Cristo, l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine.

Crediamo che il Signore della vita, colui che ci ha donato al vita, la cosa più bella che abbiamo, non ci lasci in balìa del nulla, del vuoto e dell’oscurità, ma la vita continua con lui, in lui e per lui nella Gerusalemme nuova.

Ma l’essere qui insieme a celebrare l’eucaristia mentre ricordiamo i nostri cari, oltre a metterci in comunione con loro, ci permette di vivere anche noi una comunione che viene dal fatto stesso di soffrire insieme, dalla constatazione di essere partecipi tutti della medesima condizione umana di fragilità, di precarietà.

In questa comunione ci si affianca il Cristo: anch’egli ha pianto, ha sofferto per la morte di un amico, per il dolore che lo attorniava, per l’infelicità di tanti malati… e da lui ascoltiamo questa sera una parola coraggiosa.

Sì ci vuole davvero coraggio per ascoltare le Beatitudini.

E sono fermamente convinto che se per ogni momento della nostra vita possiamo recepire almeno una delle Beatitudini come più vera per noi, questa sera accogliamo così la beatitudine della consolazione: Beati quelli che sono nel pianto perchè saranno consolati.

Ci sono momenti, situazioni in cui si ha la netta sensazione di aver toccato il fondo e di non aver più le necessarie, minime, energie per poter risalire.

Ci sono momenti in cui ci si ritrova come prostrati dal dolore, dall’assenza di giustizia, dall’indifferenza, dall’invidia e dalla calunnia che ci circondano…

In queste situazioni limite si fa strada nel cuore la paura che non esista Dio, che ci abbia dimenticato, come in una notte oscura e senza luna, nel pozzo profondo della propria anima si anticipa l’esperienza della morte che assume la forma di un vero e proprio inferno.

Gesù è la voce che risuona dentro il nostro pianto non per insegnarci ad evitare il dolore, o una filosofia del male di vivere, o una tecnica per essere superiori e cinici… ma per dirci: tu sei beato quando piangi perchè Dio ti consolerà.

Come dire che dentro il dolore, dentro quel pozzo di abiezione e di solitudine che stai sperimentando, lì c’è la vita. Non è fuori, ma dentro nelle tue preghiere difficili, nei tuoi pensieri sgangherati che non approdano a nulla; la tua vita che si lamenta verso Dio è come il suono del flauto che canta:

«Da quando mi han tagliato dal canneto,

il mio lamento fa gémere l’uomo e la donna».

Non vi scandalizzo se vi dico che questi versi sono di una poesia di Rûmî, un mistico islamico (1207-1273), che dice di come ogni essere umano sia come quel flauto tagliato dal canneto che ogni volta che suona canta il lamento della sua separazione:

Cerco un cuore straziato dalla separazione

per versarvi il dolore del desiderio.

Colui che è lontano dalla propria fonte

aspira all’istante in cui le sarà di nuovo riunito.

Siamo anche noi lontani dalla nostra fonte e per quanto esorcizziamo la morte e la rendiamo semplicemente uno spettacolo che riguarda gli altri, nella nostra condizione come saremmo sciocchi a non esprimere proprio come quel flauto le nostre note di dolore per la nostalgia del ritorno a Dio.

Lo esprime superbamente una grande voce della poesia contemporanea, Alda Merini, che proprio ieri ha conosciuto l’alba di Dio:

Sorella morte,

cui affido le mie mani

stanche di preghiere e di voci.

Le mie dita sono flauti

per il Signore,

zufoli per gli angeli.

Io nascondo le mie dita

ma pochi vedono

che ogni alba di Dio

nasce anche dalle mie mani

e che io, uomo infelice,

sono lo spartiacque del crocifisso.

Ora la nostra preghiera come voce di flauto si innalza all’Eterno per tutti i nostri cari, per i nostri parenti e amici, per i Sacramentini che ci hanno preceduto nella fede e nella carità, e in particolare per le sorelle e i fratelli della comunità che sono morti in quest’anno, per dire che desideriamo e attendiamo di incontrarci con loro.

Mentre scorre il lungo elenco dei nomi e nel cuore si riaffacciano i volti di chi abbiamo amato, la nostra preghiera è anche per le vittime delle calamità e delle sciagure, per tutte le vittime della violenza, delle guerre e delle ingiustizie di questo nostro tempo inquieto.

Così le note della nostra preghiera si uniscono a quelle di chi è già nell’alba di Dio.