III DI AVVENTO - Mt 11, 2-15
C’è una vena di delusione che attraversa la parola di Dio quest’oggi: c’è la delusione del Battista nei confronti del Cristo. Il rozzo profeta del deserto aveva annunciato un giudizio implacabile, come un fuoco purificatore, come una scure che sarebbe calata drasticamente sulle infedeltà e i peccati del popolo… e invece da quanto viene a sapere nel carcere ove è rinchiuso, Gesù non fa nulla di tutto questo.
C’è delusione anche tra le aspettative annunciate dal profeta Isaia e quanto viene constatato nella prima parte (che non si legge nella liturgia di oggi) del salmo 85. Il ritorno era stato preparato dai profeti che avevano annunciato una strada dritta che attraversando il deserto arrivasse in Israele, avevano annunciato l’abbattimento dei colli e il riempimento delle valli così che l’avanzata delle tribù fosse più spedita!
Arrivati nella terra però non fu così facile ritornare in possesso delle case, della terra… altra gente aveva preso il loro posto, altre tradizioni, altre culture, altre abitudini. E quindi la gente tornata povera, viveva povera con tutto quello che ne conseguiva… la delusione fu grande, l’incertezza del futuro favoriva l’arrangiarsi e il diffondersi di piccole o gravi scorrettezze, imbrogli, furti, rapine, ingiustizie, idolatrie…
Il salmista è tuttavia ostinato nello sperare nella promessa di Dio e osa annunciare come in quadro ideale, che Misericordia e verità si incontreranno / giustizia e pace si baceranno / verità germoglierà dalla terra / giustizia si affaccerà dal cielo.
Ma anche noi ora siamo qui a registrare la nostra delusione: tutto ciò non è avvenuto.
Anche oggi Misericordia e verità sono ben distanti: il desiderio di vendetta e di farsi giustizia da sé è diventato ormai normale, anzi ci armiamo di più, investiamo molto sulla nostra difesa… e poi pensiamo al nostro sistema carcerario ancora fondato in gran parte sulla punizione, per cui alla verità fa riscontro non il cambiamento della persona, il suo rigenerarsi, ma il castigo, la condanna.
Ancora oggi Giustizia e pace si prendono a schiaffi. Basta guardare in quante piazze del mondo oggi la gente cerca la giustizia, il rispetto dei diritti umani in Bolivia, in Brasile, a Hong Kong, in Ecuador… e incontrano la brutale repressione delle polizie e dei soldati.
Abbiamo di che essere delusi: i profeti hanno sperato e noi con loro, anche Giovanni Battista attendeva un cambiamento decisivo con la venuta del Cristo… e invece!
Gesù condensa in sé stesso questa promessa: in lui e non in assoluto la verità e l’amore stanno insieme; in lui e non in assoluto la giustizia e la pace combaciano.
Come avviene questo? La risposta del Cristo è la narrazione di quello che lui sta facendo e che va compiendo. Gesù non ha una dottrina da applicare in assoluto, come una ricetta ideologica tra le tante che la storia ci ha trasmesso.
Gesù in prima persona si prende cura dei ciechi, degli zoppi, dei lebbrosi, dei sordi, dei morti, dei poveri!
Ogni qualvolta compiamo un gesto di cura, di prossimità, di attenzione e di tenerezza ora con un povero, ora con un malato, ora con uno scartato si compie la promessa di Dio. E se siamo in tanti a compierlo un gesto così, ecco che diventa un “regno”, si compie il regno di Dio, perché Dio è lì.
Siamo dunque rimandati a quella che il filosofo argentino Miguel Benasayag chiama l’azione ristretta[1], vale a dire quell’azione che possiamo compiere qui e ora e che appare relegata in un istante della storia, ma in realtà quell’azione ristretta a quella circostanza è foriera di futuro, di universale cambiamento, sia pure non in maniera così evidente e comprensibile nell’immediatezza.
Il “vangelo”, la buona notizia è questa concretezza, quella che Gesù compie è una teologia della tenerezza che agisce sempre nel gesto della cura fatta con le mani, con le carezze, con i baci, con un invito a tavola…
È necessario lottare con fermezza e tenacia contro ogni forma di ingiustizia e oppressione, smascherando tutti i meccanismi sociali che le generano. Ma non basta a cambiare il mondo.
C’è qualcosa che non può essere risolto dalla riforma più profonda, nemmeno dalla rivoluzione più radicale: l’affetto che manca a tante persone, la solitudine, l’isolamento, il vuoto interiore, il disinteresse… come le curi se non con quella che papa Francesco chiama la “rivoluzione della tenerezza” [2]?
Parlare di tenerezza è abbastanza inusuale nel lessico religioso, è quasi uno shock, perché allude a un sentimento sentito di solito come sdolcinato e perfino effeminato. Ma la tenerezza è la caratteristica dell’amore tenero e fedele degli sposi e in particolare della madre. È un movimento intimo, causato da un fremito di amore che diventa commozione, com-passione, capacità di soffrire con chi soffre.
Tenerezza esprime l’amore meglio del termine misericordia, che pure dice un cuore per i miseri, ma che rischiamo di confondere con un sentimento di pietà paternalistico che va dall’alto in basso.
Gesù con la cura della tenerezza che manifesta con i ciechi, i sordi, i muti, gli zoppi, i poveri… dice che ama la nostra debolezza perché non c’è nessuna condizione di sofferenza capace di cancellare la nostra condizione di figli amati, Dio ci ama comunque come figli.
Proprio questa parola che il mondo ha cancellato, questo affetto che la società ha espulso è necessario come risponde Gesù al Battista: la tenerezza per chi fa fatica, per chi rimane indietro, la tenerezza nei confronti di chi non vede più futuro…
L’imbarbarimento del nostro mondo ha radici lontane nel tempo, ma la globalizzazione le fa giungere fino a noi, anestetizzandoci nei confronti della sofferenza che noi, magari senza accorgercene, produciamo. Non solo. Anche le relazioni interpersonali stanno via via degenerando: non abbiamo mai tempo… ma in realtà perché l’altro non ci interessa, temiamo d’incontrarlo per non essere disturbati, se saluti qualcuno che non conosci vieni guardato con sospetto… perché è previsto che ognuno tiri dritto per la sua strada. Non abbiamo più tempo di guardarci attorno, abbiamo perfino paura di doverci fermare.
Eppure chi non ha provato la gioia di un sorriso, di un saluto gratuito, generoso. L’altro, nel disegno creatore, non è un estraneo o un nemico da cui guardarci, ma un fratello, una sorella con cui condividere la vita, una gioia, una preoccupazione… Quando questo bisogno reciproco viene frustrato, il cuore umano si svuota e si riempie di tristezza e nasce in noi una durezza di cuore fatta di freddezza e rigidità nei sentimenti. Si comincia così a difendersi dall’altro e a chiudere non solo le porte, ma a costruire muri e barriere.
Proviamo a pensare quanto sia importante per un anziano, per un malato la tenerezza con cui siamo capaci di stargli accanto. Con la durezza non si capisce l’ammalato e tantomeno l’anziano. La tenerezza è la chiave per capirlo, ed è anche una medicina preziosa per la sua guarigione. La tenerezza passa dal cuore alle mani, passa attraverso un “toccare” le ferite pieno di rispetto e di amore.
Abbiamo il coraggio di accogliere e accompagnare con tenerezza le situazioni difficili e i problemi di chi ci sta accanto o preferiamo soluzioni impersonali, magari efficienti, ma prive del calore del Vangelo?
Con tenerezza siamo chiamati a trattare anche la terra, il creato. La terra va trattata con tenerezza, dice papa Francesco, per non causarle ferite, per non rovinare l’opera uscita dalle mani del Creatore. Quando ciò non avviene, la terra smette di essere fonte di vita per la famiglia umana. E questo è ciò che accade in non poche regioni del nostro pianeta, dove l’acqua è inquinata, i rifiuti si accumulano, la deforestazione avanza, l’aria è viziata e il suolo acidificato[3].
Il mondo ha bisogno di tenerezza perché la vita oggi è diventata per molti una dura fatica, perché i rapporti si sono fatti “senza pietà”, senza prossimità, senza affetto e perché con la sola giustizia non si esce dai conflitti.
Non dobbiamo aver paura di essere teneri, di intenerirci toccando nei poveri la “carne di Cristo[4]”, di lasciarci impressionare e commuovere dalle sofferenze altrui.
Oggi c’è bisogno di tenerezza per ricostruire la società del nostro mondo e non cadere nel cinismo. Senza misericordia, tenerezza ed empatia non c’è futuro per il mondo.
Ci dedichiamo alle opere che faceva Gesù? E se non le facciamo, che costiamo facendo nel mondo?
Pe riprendere le parole di risposta di Gesù al battista: Cosa sta “vedendo e udendo” la gente nella Chiesa di Cristo?
(Is 35,1-10; Sal 84/85; Mt 11, 2-15)
[1] Contro il niente – abc dell’impegno, Feltrinelli
[2] Papa Francesco, Evangelii gaudium 88
[3] 13 dicembre 2018
[4] Evangelii gaudium 24