VI DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Lc 17, 7-10


Abbiamo ascoltato le storie di tre semplici lavoratori, così intendo la parola di Dio proposta in questa liturgia.

Anzitutto Giobbe (1,13-21), figura mitica certamente nota per la pazienza proverbiale che ci ha trasmesso, ma vorrei attirare la vostra attenzione su quanto fosse stato un bravo lavoratore. La lista delle sue disgrazie è impressionante, ma se la guardiamo dal punto di vista del suo lavoro, si parla di mandrie di buoi e dei loro mandriani; delle greggi di pecore e dei loro pastori; stuoli di cammelli e i loro guardiani… e poi i figli e le figlie. Insomma tutto fa pensare a una famiglia laboriosa, onesta, rispettosa… che si meritava il meglio dalla vita.

Invece ecco che in un giorno solo si scatena la tragedia: è chiaramente una finzione letteraria, ma è appunto impressionante che nel giro di poche ore succeda che tutto il lavoro di una vita vada perduto.

Eppure questo lavoratore sa stare al suo posto, non accampa pretese, affronta la situazione che è al di sopra di ogni immaginazione senza fare la vittima, senza dare la colpa a qualcuno o accusare il destino. Discute con Dio, si arrabbia con lui… per rendersi conto già fin dal primo capitolo che: Nudo uscii dal grembo di mia madre, nudo vi ritornerò.

Insomma, dice Giobbe, ho fatto la mia parte, ho fatto il mio dovere, ho realizzato quello che avevo in cuore, e anche se tutto questo va perduto alla fine ciò che rimane, dopo una vita di sacrifici e di fatica, è la mia fiducia in Dio.

Paolo è l’altra figura di semplice lavoratore che insegna al giovane e impaziente Timoteo di imparare la pazienza del contadino che sia che piova o che ci sia il sole, grandini o ci sia rugiada… sa attendere fedelmente, con pazienza e con cura la maturazione del suo lavoro.

Struggente la conclusione della pagina di oggi quando Paolo scrive a Timoteo: Presentati a Dio come un lavoratore che non deve vergognarsi, che dispensa rettamente la parola (2Tm 2, 6-15).

Un lavoratore che non abbia a vergognarsi quando si troverà faccia a faccia con Dio, il suo vero datore di lavoro!

Così anche Gesù nel vangelo (Lc 17,7-10) ci parla del lavoro dei servi, un altro tipo di lavoro, diverso da quello di Giobbe e di Timoteo, ma che non autorizza a tradurre quell’infelice aggettivo che fa sì che i servi debbano sentirsi inutili. Il servo non è affatto inutile: cosa farebbe il padrone senza il servo? Ha bisogno di lui e del suo lavoro. E che diamine: basta con questa spiritualità mortifera di un’umiliazione finta e falsa. Com’è vero che tradurre è sempre un po’ tradire.

Gesù ci considera come bravi lavoratori che fanno quello che devono fare. Non è questione di “utilità”, Dio non assume questi criteri molto mondani, e poi che cosa è utile davanti a Dio? Forse che l’Eterno venga a controllare i profitti della sua azienda che è la chiesa?

A quello ci pensano già alcuni cardinali… E costoro non si ritengono assolutamente inutili, anzi. Fanno i loro utili. Noi che amiamo la Chiesa siamo stanchi di questo continuo stillicidio di scandali che ne sfigurano il volto.

Siamo consapevoli che la Chiesa non è solo questo, ci sono schiere numerose di onesti lavoratori, anzi c’è una sproporzione abissale tra la montagna di bene che la Chiesa riversa sull’umanità – a cominciare da quella fragile e ferita, con innumerevoli testimonianze di quotidiana dedizione, sino ai casi estremi di cristiani che pagano con la vita – e gli errori e le colpe di qualche suo rappresentante.

Fa bene papa Francesco a cacciare questi mercanti dal tempio. Può anche darsi che i mercanti e i cambiavalute e i loro fratelli e nipoti a Gerusalemme fossero onestissimi e ligi alle regole dagli stessi sacerdoti stabilite per il tempio, ma Gesù ha fatto benissimo a cacciarli e benissimo fa papa Francesco a cacciarli anche lui.

Ma una qualche riflessione si impone e non solo sulla moralità e sulla attitudine al lavoro onesto dei suoi ministri, ma sul contesto e sul quadro di riferimento che costituiscono il terreno favorevole perché questi come altri scandali avvengano.

Giuseppe Lazzati, uomo fedelissimo alla Chiesa, quando si trovò di fronte a una situazione assimilabile a questa, allora fu lo scandalo dello IOR, con la discrezione e la misura dettate dall’affetto che egli portava alla Chiesa, si interrogava appunto sul dover tematizzare la radice di tali contro testimonianze. E lui giustamente metteva il dito sul sovraccarico di strutture e di apparati – accennava alla diplomazia, agli ambasciatori, alle nunziature in giro per il mondo – che appesantiscono la vita della Chiesa istituzione. Con tutto ciò che essi si portano dietro, come i costi esorbitanti e l’esigenza di reperirli, ma anche le ambizioni “mondane” di “carriere ecclesiastiche” [1].

Lazzati si chiedeva se tutto questo sovraccarico strutturale fosse strettamente necessario alla missione della Chiesa. O se, per parafrasare, lo studioso della comunicazione McLuhan, il mezzo non finisse per nuocere al messaggio. Forse un retaggio del potere temporale della Chiesa, della Santa Sede quale Stato troppo simile agli altri Stati, del quale oggi non si vede la ragione.

La questione dunque è strutturale e per questo dopo aver cacciato i mercanti dal tempio, si rende necessario riprendere il discorso aperto dal Concilio sulla riforma del governo nella Chiesa. Proviamo a pensare se abbia ancora senso o quale funzione teologica abbia oggi l’istituzione del senato cardinalizio? (Sarebbe sufficiente leggere la storia del cardinalato e gli studi su cardinalato e collegialità del prof. Giuseppe Alberigo della scuola di Bologna)[2].

Non è questione di cardinali bravi o cardinali disonesti, oggi il discorso è altro perché ne va di mezzo non una modalità istituzionale di governo, ma un’idea teologica della Chiesa nel momento di una profonda crisi che esige senza indugi e senza ritardi di aprire con coraggio la via della collegialità, della sinodalità con i laici e in particolare la riflessione sul ruolo delle donne.

Chiediamoci: chi ascolta oggi la voce di tanti onesti e semplici lavoratori che nella Chiesa sono ridotti al rango di esecutori? I fedeli laici, per far sentire il loro pensiero, le loro esigenze, le loro proposte, quali spazi e quali strumenti hanno, che non siano formali e per niente sostanziali?

C’è una seconda riflessione. Oggi ricordiamo san Francesco d’Assisi cui il papa ha voluto proprio “ri-chiamarsi” per un sogno Chiesa povera e dei poveri e fraterna e infatti ha voluto firmare proprio ad Assisi la sua terza lettera enciclica dal titolo “Fratelli tutti”.

Francesco d’Assisi chiese ai suoi frati, fratelli, che ovunque fossero e ovunque andassero, non prendessero denaro poiché non dobbiamo avere né attribuire al denaro maggiore utilità che ai sassi. E il diavolo vuole accecare quelli che li desiderano e li stimano più dei sassi (Regola non bollata, VIII, 28, del 1221).

Dunque se alcuni pastori sono accecati dal denaro, che ne sarà di noi?

Teniamoci saldi al Vangelo. Come semplici lavoratori. Per essere una Chiesa povera, dobbiamo essere semplici servi, semplici lavoratori. Ma di che lavoro si parla?

Se Gesù avesse voluto indicare un lavoro religioso, di culto, di chiesa, del tempio… avrebbe fatto l’esempio del sacerdote e del levita; se avesse voluto parlare del lavoro come la catechesi, la predicazione… avrebbe fatto l’esempio di uno scriba o di un rabbino… Invece ha preso ad esempio un servo che deve lavorare il campo e pascolare il gregge… dunque il lavoro che sembra avere in mente Gesù è quello ordinario, il lavoro di ciascuno di noi.

Oggi diremmo: che tu sia il responsabile ultimo dell’impresa o l’impiegato appena assunto, che tu lavori in casa, a scuola o in ospedale o in un Paese in via di sviluppo… fai il tuo dovere, fai quello che devi fare, sii un semplice lavoratore.

Semplice non significa stupido però, semplice non vuol dire che subisci in silenzio, che sei sottomesso… perché nel momento in cui non facciamo la nostra parte anche a servizio della Chiesa, non facciamo un buon servizio al Vangelo.

Non credo che serva fondare un sindacato dei lavoratori del Vangelo, una sorta di sindacato dei laici nella Chiesa… ma se fosse necessario perché no? Anche questo potrebbe essere importante se ci sta a cuore la Chiesa e se ci sta a cuore poterci presentare un giorno al nostro comune datore di lavoro come un lavoratore che non deve vergognarsi.

[1] Franco Monaco, Becciu: rammarico e interrogativi, in http://www.settimananews.it/

[2] Raniero La Valle, in notizieda@chiesadituttichiesadeipoveri.it