II DOPO PENTECOSTE - Mt 6, 25-33
Dopo aver vissuto con l’intensità della Pasqua una concentrazione cristologica durata cinquanta giorni, oggi la parola di Dio ci invita a guardare e a osservare la vita, il creato, la natura in questa luce nuova della risurrezione, della rinascita.
È già importante e necessario saper contemplare l’ambiente e il creato con sguardo riconoscente, come abbiamo pregato con il salmo 135: Ha creato i cieli con sapienza, ha disteso la terra sulle acque, ha fatto il sole per governare il giorno, la luna e le stelle per governare la notte… ma la parola di Dio ci invita ad avere uno sguardo che alla luce della morte e risurrezione di Gesù, sappia vedere dentro il grande dono della natura le leggi, l’ordinamento e l’orientamento di questo grande movimento cosmico che abitiamo.
Il libro del Siracide ci ripropone la domanda delle domande: da dove viene questa meraviglia che ci circonda e che ruolo abbiamo noi in tutto questo? Che è un atteggiamento diverso dalle pagine più note della Genesi dove la questione delle origini del mondo non viene messa in discussione, problematizzata, ma data per certa. In sei giorni l’Eterno ha creato e fatto le cose… e tutto ciò era molto bello e buono.
Il Siracide, che deve invece confrontarsi con la cultura e la filosofia greca del tempo, problematizza la questione e pur dicendo: Colui che vive in eterno ha creato l’intero universo… poi si domanda: Chi può esplorare le sue grandezze? Che cos’è l’uomo? A cosa può servire? Quando l’uomo ha finito, allora comincia, quando finisce allora rimane perplesso.
Che è un invito a coltivare la ricerca, l’indagine, a lasciarsi guidare dalle domande e a rifuggire il semplice atteggiamento di chi, quando non sa rispondere, mette lì il nome di Dio Creatore e Onnipotente, usa l’Eterno come un’etichetta e gli sembra aver risolto tutto.
I dati più recenti ci dicono che “la nostra casa”, il nostro universo ha un’età di circa 14 miliardi di anni, ci dicono altresì che noi siamo una minima parte delle 200.000 galassie che gli scienziati hanno catalogato. È evidente che queste scoperte scientifiche non sono facili da conciliare con l’assoluto di Dio creatore!
Lasciandoci guidare dal Siracide impariamo una duplice prospettiva da cui guardare le cose. Prendiamo ad esempio la superficie del sole. Quello che da lontano appare come l’astro tranquillo che illumina le nostre giornate, visto da vicino diventa un sistema complesso e caotico, fatto di innumerevoli esplosioni termonucleari, moti convettivi, oscillazioni periodiche di masse spaventose e flussi di plasma proiettati tutt’intorno da imponenti campi magnetici.
La saggezza biblica ci insegna ad avere questo duplice sguardo: contempliamo come in un colpo d’occhio tutta la bellezza dell’universo, almeno quella che riusciamo a percepire e che ci permette di riconoscere con gratitudine che tutto è dono di Dio, viene da lui… Tuttavia sapere come questo sia avvenuto è tutto da scoprire, perché è nostro compito indagare, domandarci e cercare di scandagliare sempre più le profondità di questo dono, di studiare le regole che lo governano, le dinamiche che lo intessono e, in definitiva, la direzione verso la quale si muove.
Ed è quello che fa Paolo nella lettera ai Romani, perché alla luce del Risorto legge la traiettoria della storia del mondo come una creazione che attende di essere liberata dalla corruzione per entrare nella libertà dei figli di Dio!
A pensarci bene, è una vera e propria novità, perché la religione e la filosofia insistevano sul fatto che l’essere umano è formato da due principi, uno materiale e l’altro spirituale, quest’ultimo direttamente legato a uno straordinario atto di creazione da parte di Dio: è il dualismo che ha accompagnato anche il cristianesimo per secoli.
Paolo ci dice che la materia tende verso la vita, verso la complessità, verso la coscienza e verso la spiritualità. C’è una discontinuità fra il materiale e lo spirituale, fra l’animale e l’umano, ma non una rottura. Pietre, piante, animali, esseri umani… sono in continuità viva. Qualcosa di molto diverso dalla visione tradizionale atomizzata, frammentata, segnata dal dualismo, dove la dimensione spirituale era considerata totalmente altra dal mondo materiale.
Si credeva che la sfera spirituale appartenesse a un altro mondo, il mondo celeste o, come anche lo si chiamava, soprannaturale. Si dava volentieri per scontato un dualismo, una separazione radicale, fra i due ambiti.
Per questo una persona religiosa, o spirituale, era una persona che si teneva lontana dalle cose materiali, dagli interessi corporei e umani, e considerava soltanto i valori incorporei, sovrannaturali, spirituali, che la religione ci diceva appartenere al cielo, non a questo mondo.
È ovvio che questo tipo di spiritualità aveva come primo risultato di allontanarci interiormente da questo mondo, alimentava pregiudizi negativi contro di esso (il mondo come nemico dell’anima!), dirigeva il nostro sguardo al cielo e ci distraeva dai problemi del mondo e della Terra.
Un dualismo di questo genere aveva e ha ancora oggi ricadute importanti nel nostro rapporto con l’ambiente, come esordiva nell’enciclica Laudato sì’ papa Francesco (24 maggio 2015): «Nostra sorella madre terra protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che “geme e soffre le doglie del parto” (Rm 8,22)» (n.2).
Questa denuncia di papa Francesco ci rende consapevoli di essere assai lontani dallo spirito di Francesco d’Assisi, quello spirito di unificazione dell’essere umano, unità di materia e spirito, di anima e corpo, di persona e ambiente che gli ha permesso di innalzare il Cantico delle creature.
È doveroso anche ricordare che Francesco non era in un momento bucolico di contemplazione poetica, piuttosto giaceva ammalato su un lettuccio di san Damiano (1224), la chiesetta diroccata dove una ventina d’anni prima aveva ricevuto dal Cristo crocifisso il messaggio che aveva cambiato la sua vita e dove erano adesso insediate Chiara e le sue sorelle.
Anche la malattia che gli colpisce gli occhi – il tracoma preso cinque anni prima in Egitto, alla crociata – viene da lui vissuta in questa profonda unità nel suo sentirsi parte del cosmo, del creato che appunto va verso la liberazione dei figli di Dio.
Come possiamo noi cercare una profonda unificazione delle nostre vite, del nostro modo di abitare, di lavorare, di mangiare, di vestire… di consumare, di usare le cose, di rispettare l’ambiente?
Nel vangelo Gesù ci chiede di fare una trasformazione, di cambiare il modo di vedere le cose e la vita. Anzitutto nel guardare gli uccelli del cielo e i fiori del campo impariamo a detronizzarci, cioè a scendere dalla deificazione in cui ci siamo situati al punto da esserci alienati dal creato.
Si tratta di superare l’antropocentrismo, di smettere di guardare tutto in funzione dell’interesse dell’essere umano, prendendo in considerazione la centralità della vita, il «biocentrismo», il valore centrale che ogni vita possiede, per il quale tutte le forme di vita hanno valore in se stesse.
Con questa consapevolezza sarà possibile smettere la preoccupazione e l’affanno per uno stile di vita che non metta al primo posto l’io con le sue esigenze, ma che si comprenda dentro un ambiente da custodire, dentro il creato da amare, capace così di assumere scelte di responsabilità, vale a dire di consumare meno in termini di energia e materiali, riciclando di più, non solo per quanto riguarda i rifiuti, ma anche abiti e oggetti, e informandosi prima di fare un acquisto per sostenere le aziende che rispettano i diritti dei lavoratori e l’ambiente.
Il consumo responsabile prevede che accanto al prezzo e alla qualità del bene si valuti anche la sua qualità sociale. Cioè che non inquini l’ambiente e che non sia legato allo sfruttamento del lavoro minorile, alla vendita delle armi, a frodi finanziarie o contraffazione dei marchi.
In sintesi mi sembra che il messaggio della parola di Dio di oggi ci dica: anzitutto cerchiamo di avere uno sguardo contemplativo e riconoscente di fronte alle cose, al creato, all’ambiente e ai doni di Dio.
Questa riconoscenza non ci deve impedire di interrogarci sulle leggi che governano il cosmo e di conoscere sempre di più le misteriose profondità del creato, di indagare il “come” del mondo.
Infine, alla luce del Risorto, si impone ai discepoli di Cristo una grave responsabilità nello scegliere i nostri stili di vita, nel non dare nulla per scontato, nel non andare avanti con abitudini ormai consolidate… perché è nostra responsabilità lasciare il mondo migliore di come lo abbiamo trovato.
(Sir 18,1-2.4-9.10-13; Rm 8,18-25; Mt 6, 25-33)