V DI QUARESIMA o Domenica di Lazzaro - Gv 11, 1-53
Come abbiamo appena sentito dal vangelo di Giovanni esiste un rapporto strettissimo tra il ritorno alla vita di Lazzaro e la condanna a morte di Gesù: le autorità di Gerusalemme prendono la decisione di eliminare il Cristo proprio dopo aver saputo del ritorno alla vita di Lazzaro. È uno dei grandi paradossi della storia di Gesù: colui che porta la vita viene messo a morte (Gv 11,1-53).
Vogliamo cercare di capire cosa voglia dire questo Vangelo a noi oggi che di morte sentiamo parlare quotidianamente, entra nelle nostre case, nei nostri affetti, irrompe con la violenza devastante di cui è capace.
Dunque questo momento è cruciale nella vita di Gesù, ma è una tappa cruciale anche per la fede cristiana. Spinoza, filosofo razionalista del XVII secolo, confidò agli amici che se fosse riuscito a credere nella risurrezione di Lazzaro, avrebbe mandato all’aria tutto il suo sistema filosofico e avrebbe accettato la fede cristiana, semplicemente. Questo per dire che Spinoza intuiva che in questo fatto di Lazzaro ci fosse una discriminante capace di sconvolgere una certa idea di Dio legata alla natura, per farne nascere una nuova.
Quindi è un momento cruciale per Gesù, ma lo è anche per chi è lì, per i discepoli e quindi anche per noi tutti.
È anzitutto un momento cruciale per Gesù, proprio dal punto di vista personale, perché Lazzaro è un caro amico e quando giunge sulla sua tomba si commuove intensamente. Questo aspetto amicale mette in luce la piena umanità del Cristo, tanto più singolare che questo avviene dopo il cap. 10 di Giovanni, nel quale Gesù ha fatto una delle affermazioni teologiche più solenni: «Io e il Padre siamo una cosa sola» (10,30). Dopo aver affermato la sua divinità, nel capitolo 11 il Signore rivela tutta la sua umanità. Possiamo dire che secondo l’esperienza di Giovanni più divinità non significa affatto meno umanità. Anzi, la piena divinità si manifesta come piena umanità, declinata nella forma degli affetti e dell’amicizia, come a dire che essere pienamente divino significa essere realmente umano. Così Dio entra nella questione decisiva del problema della morte, non come un deus ex machina, ma con umanità.
Le lacrime del Signore sono un segno tangibile della sua umanità. Gesù piange «con» e «come» Maria e gli altri amici, le sue lacrime non sono diverse da quelle di chiunque di noi dinanzi a un lutto e a un dolore.
Ma è proprio come si fa con un amico che prima Marta, e poi anche Maria, si rivolge a Gesù con parole di rimprovero: Se tu fossi stato qui le cose sarebbero andate diversamente. Se tu avessi avuto un poco più di attenzione come la si deve a un amico… Parole che dicono una fede delusa, una fede che aveva delle aspettative che sono rimaste tali.
Entrambe le sorelle, amiche di Gesù, sono rimaste deluse, come succede a noi quando la delusione accompagna la vita di fede: preghiere non esaudite, attese che non si realizzano, speranze frustrate. Certo non è una fede perduta, come capita a chi dopo un lutto o una morte decide di non credere più in Dio, no qui Marta dice tutta la sua delusione per l’intempestività di Gesù, perché poteva arrivare prima…ma non perde la fede, infatti afferma: So che risorgerà nell’ultimo giorno.
Le parole del Cristo a questo punto sono fortissime: Io sono la risurrezione e la vita, chi crede in me anche se muore vivrà; chiunque vive e crede in me non morirà in eterno.
Vi invito a porre la vostra attenzione su due cose: anzitutto il cambio del tempo, Gesù sostituisce il futuro col presente: «Io sono». Qui si tratta di sapere chi è Dio: è un Dio del futuro, del dopo la morte di cui non si sa se agisca o se non agisca… oppure è un Dio del qui e adesso, efficace, attivo. Dio è reale e all’opera già adesso o lo sarà soltanto più tardi, quando sarà troppo tardi?
È solo un al di là o è anche un al di qua? Marta è una credente come noi che crediamo nell’aldilà, anche se non sappiamo bene cosa sia la realtà di Dio… filosofi come Spinoza, appunto, lo identificano con la natura, col cosmo … (Deus sive natura, Dio ovvero la Natura).
Questo è il primo punto e poi Marta dice di credere «che» Lazzaro risusciterà nell’ultimo giorno. Marta crede «che» qualcosa accadrà. Gesù le risponde: Io sono la risurrezione e la vita, non si tratta di credere «che» succederà qualcosa, ma si passa da una fede come sapere, a una fede come coinvolgimento con la persona di Gesù, si tratta di credere «in» Gesù. La risurrezione prima di essere un fatto, è una persona. Che cosa vuol dire rinascere? Significa entrare in comunione con questa persona.
Infatti notate Gesù dice Io sono la risurrezione e la vita, ovvero mette la risurrezione prima della vita. Noi pensiamo normalmente che prima viene la vita e dopo arriva la risurrezione e così accade, ma ci sono dei sepolcri, delle tombe nelle quali le persone sono sepolte oggi, adesso. Con altre parole il filosofo danese Kierkegaard nel suo libro La malattia mortale, meglio tradotto con La malattia per la morte, diceva che la malattia per la morte è quella che crede nella morte, invece che in Dio. La disperazione è più mortale della morte! La disperazione è la morte senza ritorno.
C’è una «morte mortale», se così possiamo dire, che pervade tutta l’esistenza e la storia umana: c’è la morte dell’amore, della speranza, della fiducia, dell’amicizia, della solidarietà… Non c’è quindi solo la morte fisica per la quale Marta diceva di credere nella risurrezione finale. Gesù parla della sua morte, ma in realtà parla anche della morte dei suoi assassini, dei suoi accusatori.
Se pensiamo alla nostra vita, quante realtà di morte accompagnano i nostri giorni? Quanta morte c’è nella vita di ciascuno di noi, per non dire in quella della nostra società, della nostra storia?
Quando si dice che Dio vince la morte, non si intende solo che vince la morte fisica, che già non è cosa di poco conto, ma anche tutte le ombre che la morte getta sulla storia e sull’esistenza degli uomini. I vari tipi di morte presenti nella nostra vita sono in realtà delle aggressioni, delle diminuzioni della vita. Ecco perché Gesù mette prima la risurrezione e poi la vita come punto di partenza. In fondo la vita è lo svolgimento della risurrezione e non la risurrezione l’epilogo della vita.
Da questa prospettiva il miracolo può avvenire ancora oggi. Anche oggi Gesù dice a ciascuno di noi: Vieni fuori! Risorgi, credi nella mia parola! Il venire fuori è ciò che si fa nascendo e noi camminiamo verso la Pasqua per rinascere, per quel battesimo che significa anche per noi uscire fuori dal sepolcro, lasciarlo alle spalle e vivere.
È stata questa l’esperienza del popolo ebraico ricordata dalla prima lettura: Eravamo schiavi del faraone e il Signore ci fece uscire dall’Egitto (Dt 4,20-25). Quindi c’è sempre l’esperienza di essere portati fuori, Dio ci fa uscire dalle schiavitù, ci libera dai faraoni che ci dominano.
La differenza sta nella risposta dell’uomo, perché nella prima alleanza la risposta consisteva nell’osservanza della Legge, come dice il Dt: Allora il Signore ci ordinò di mettere in pratica tutte le leggi… così da essere sempre felici e conservati in vita! Infatti questo capitolo viene subito dopo il decalogo: se Dio ti ha liberato, allora tu osserva i comandamenti e vivrai. Ma di fatto l’osservanza della Legge è insufficiente, non basta, perché diventa facilmente ipocrisia e lo vediamo appunto nella decisione dei capi di uccidere, di chiudere in un sepolcro l’autore della vita.
In quella che Gesù chiama la nuova alleanza, la risposta è diversa, non basta l’osservanza della Legge, il che non vuol dire che i comandamenti non contino più nulla, ma per risuscitare e vivere non basta il decalogo, occorre fidarsi di Gesù, occorre che Lazzaro dal profondo del sepolcro dove è stato rinchiuso ascolti la parola di Cristo che lo chiama alla vita.
Infine, non possiamo non notare che il ritorno di Lazzaro alla vita è accompagnato dal gesto che Gesù chiede agli amici, anzi al doppio gesto che chiede loro di fare: Togliete la pietra e slegatelo! Se Lazzaro torna alla vita è perché crede nella parola di Gesù, ma Gesù che ha una parola così potente da entrare nel sepolcro poteva benissimo fare un gesto eclatante e ribaltare la pietra del sepolcro, come di fatto ribalterà la sua, invece chiede invece che siano i suoi amici a farlo!
Per dire come è importante quell’umanità che sembrava perduta nella morte. Non rinasci da solo, con le tue forze, rinasci grazie alla parola di Gesù, ma non rinasci mai da solo, rinasci nella qualità delle relazioni umane, nei tuoi amici, nella risurrezione delle tue relazioni.
Magari è capitato anche a noi che qualche amico ci abbia tolto il macigno che ci pesava sul cuore… o che noi siamo stati capaci di sollevare una persona cara schiacciata dal peso della sua storia, del suo peccato, o che l’abbiamo aiutata a sciogliere quelle bende di morte che sono i vizi, le perversioni, le cattiverie.
Tre cose ci dona la parola di Dio, dunque. Anzitutto davvero non basta credere in un Dio generico nel quale abbiamo magari ingabbiato il mondo, la natura… come fece Spinoza, crediamo nel Vangelo, prestiamo fede alla parola di Gesù, ci fidiamo di Lui e non di un’idea.
Non basta poi nemmeno credere che un giorno risorgeremo, perché Gesù ci dice che già oggi possiamo rialzarci dalla nostra tristezza, dalle nostre chiusure, dalle nostre paure e ritrovare il gusto della vita. Con lui la vita rifiorisce.
E il Signore ci dice anche che non basta nemmeno credere da soli, abbiamo bisogno di amici che se c’è bisogno piangano con noi e noi con loro. Amici che se c’è da spostare una pietra dal cuore, sono lì e se c’è bisogno di noi, noi ci siamo. Se c’è da togliere qualche benda, qualche faraone che ci tiranneggia… ci aiutiamo insieme.
Sì, il Signore ci libera e solo lui è capace di questo, ma non lo fa senza di noi. È davvero intrigante il nostro Dio: è capace di risuscitare i morti, ma poi ha bisogno degli amici.