III DI PASQUA - Gv 14, 1-11a
Non sia turbato il vostro cuore! letteralmente: non abbiate un cuore che turbina, cioè che gira a vuoto, che si agita come un mare in tempesta («Me tarassesto», Gv 14,1-11a)! Non è un invito quello di Gesù, ma un imperativo: non abbiate il cuore scosso.
Eppure anche noi come gli apostoli abbiamo tanti motivi per preoccuparci, abbiamo pensieri che ci turbano e il nostro cuore è come quello di Pietro che era a dir poco sconvolto dalle parole di Gesù che aveva appena annunciato il tradimento di uno di loro, e poi aveva aggiunto: Dove vado io voi non potete venire (13,33). Pietro a questo punto aveva chiesto preoccupato: Signore dove vai? Posso venire con te? (13,36).
Che è una domanda che ha un suo senso se posta anche dopo la pasqua, perché è come se la comunità dei discepoli chiedesse: Ma dove sei andato? Come mai non sei qui con noi? Come mai non ti vediamo più?
E Gesù: Non deve essere turbato il vostro cuore!
Invece lo incalzano perché non capiscono cosa stia succedendo. La seconda domanda viene posta dal mitico Tommaso, anche lui col cuore sconvolto: Signore non sappiamo dove vai, come possiamo conoscere la via? Difficile non dargli ragione, anche questa volta.
Ma sconvolto è anche il cuore di Filippo che pone la terza domanda: Mostraci il Padre e ci basta! Una domanda sconcertante sulla bocca di un buon ebreo: dovrebbe sapere che Dio non si può vedere, e quando vedi Dio è perché sei morto!
Al cuore sconvolto degli apostoli (seguirà una quarta domanda, da parte di Giuda, non l’Iscariota: Signore come è che devi manifestarti a noi e non al mondo? v.22), Gesù risponde con l’imperativo ad avere fiducia e lo ripete due volte: abbiate fede in Dio e abbiate fede in me.
Ora fede in ebraico si dice ‘emunā che significa stabilità, certezza, solidità. Donde viene il nostro «Amen», acclamazione che proclamiamo spesso al termine delle preghiere per dire che quello che abbiamo detto è certo, è vero, ma allo stesso tempo questo vero è riconosciuto come valido e perciò vincolante per colui che pronuncia l’amen. Al cuore scombussolato dei suoi, Gesù risponde con l’indicativo: avete fede! State saldi.
Ora ciò che per noi dà stabilità è soprattutto la casa, abitare sotto un tetto, quando torniamo a casa ci sentiamo protetti e al sicuro, tant’è che chiamiamo migranti coloro che non hanno casa, che lasciano le loro terre e non hanno stabilità… Gesù afferma che possiamo trovare stabilità nella casa del Padre, ma non usa il termine greco che indica l’edificio (oikoj), piuttosto quello che dice la dimora (oikia), per sottolineare non tanto la costruzione, ma l’intimità, le relazioni, i rapporti che abitano la dimora umana (come in inglese house e home).
Infatti la via, l’indirizzo per questa casa non ha un numero civico, ma è una persona, è Gesù. La via per arrivare alla relazione col Padre è Gesù, il suo Vangelo, la sua storia, la sua vita.
E come ogni relazione, anche quella con Dio è una relazione dinamica, in quanto Dio non lo possiedi come possiedi, se ce l’hai, il tuo appartamento, la tua casa o le tue cose… Fidarti di Dio è porre in lui la tua stabilità, ma sapendo che questa stabilità non è possesso. Per noi stabilità significa possedere, è evidente come il possedere una casa. Ma anche il possesso delle idee, di un’identità, di un pensiero… noi cerchiamo in questo modo la stabilità.
La stabilità in Dio non è mai possesso, Gesù è la via per stare nella fede del Padre, Gesù è la via per la stabilità in Dio, ed è una stabilità dinamica, mai acquisita una volta per tutte. Sempre in movimento, ma non agitata, non sconvolta come è il cuore degli apostoli che vorrebbero trattenere Gesù.
Purtroppo per noi ripetere queste parole di Gesù è diventato ormai una filastrocca: «Io sono la via, la verità e la vita». Proviamo allora a comprenderle quasi per contrasto.
Cosa significa per un giovane oggi affermare che Gesù è la via? Mi viene in mente un’immagine antica, ma sempre attuale, che è quella del labirinto. A me sembra che oggi camminiamo come in un labirinto, nel senso che abbiamo l’impressione di girare a vuoto. Siamo dentro un labirinto di idee, di tecnologia, di novità, di «eventi»… quanto va di moda partecipare a un «evento», ma il ripetersi sempre nuovo di eventi non è come girare da una stanza all’altra in un labirinto? Ogni volta sembra di aver trovato la strada giusta, la risposta definitiva e invece è un inganno. Subito arriva la novità che soppianta la precedente. sempre più rinchiusi nelle gabbie dell’emozionale e del superficiale? Ci sarà un filo rosso che ci fa ritrovare un senso in questo irrefrenabile andare? Ecco il labirinto è il contrario della via, non perché non si cammini, ma perché pur camminando, anzi correndo, non si arriva da nessuna parte.
Gesù dice di essere la verità. Ora il contrario della verità non è sempre e soltanto la falsità, mi pare di scorgerlo oggi piuttosto in un’altra figura quella della Sfinge, in quel volto impenetrabile che materializza l’enigmaticità fondamentale del mondo, della vita, della storia. A chi di noi non piace risolvere gli indovinelli, ma la verità della vita non è un indovinello, un enigma cerebrale, astratto, come una sfinge che rivela e non rivela, che sembra essere ora dalla tua parte, ma che poi non lo è, anzi ti divora!
Gesù non è venuto a spiegare l’enigmaticità della vita, ma la sua parola è verità. Quando introduce i discorsi più solenni Gesù afferma: in verità, in verità vi dico… letteralmente: Amen, amen. È lui la solida verità.
Infine Gesù si presenta come vita, una vita che si dona, infatti sceglie come segno il pane di vita, per dire che si dona, non è una vita che prende per sé che è l’immagine del virus, del parassita che vive prosciugando le energie, le forze di un altro, fino a prendergli la vita. No, Gesù te la dona. Oggi c’è chi come Caino che crede che «mors tua vita mea» e così uno prende la vita dell’altro e lo vediamo nella violenza della persecuzione e dell’odio… Ma senza arrivare a queste forme estreme, riconosciamo che c’è anche chi si prende la tua vita spremendoti dodici ore al giorno e poi ti butta via quando non servi più. Oppure c’è che si prende la vita ingannandoti col gioco d’azzardo, e ti rende dipendente da un totem che ti prosciuga le risorse e che ti toglie la vita…
Oggi abbiamo più che mai c’è bisogno di vedere concretamente nel volto delle persone e nelle loro vite che Gesù è via, verità e vita. Perché «La parola di Dio non la si porta in capo al mondo in una valigetta: la si porta in sé, la si porta su di sé. Non la si ripone in un angolo di se stessi, nella propria memoria, come ben sistemata sul ripiano di un armadio… Questa parola, la sua tendenza vivente, è di farsi carne, di farsi carne in noi» (Magdeleine Delbrêl, Noi delle strade p. 73s).
La pagina degli Atti (16,22-34) ci ha raccontato di Paolo e Sila che hanno appena attraversato il Bosforo e sono arrivati a Filippi, prima città greca ed europea a ricevere il Vangelo e come risultato vengono bastonati e messi in prigione, perché con l’annuncio del Vangelo hanno smascherato i padroni di una schiava che faceva l’indovina permettendo ai suoi proprietari di guadagnare soldi sull’ignoranza della gente.
Questo è l’inizio del Vangelo in Europa, un esordio lontano dai toni trionfalistici e arroganti della religione di stato. Paolo non predica una nuova religione, una nuova morale, una filosofia o una sapienza vincente, Paolo annuncia Gesù, il Vangelo di Cristo, l’incontro con un Vivente che ti cambia la vita, che mette in discussione abitudini, modi di pensare, modi di arricchirsi … come quelli appunto della schiava e dei suoi padroni!
Ed è questo anche l’annuncio al loro carceriere. Osserviamo come concentra in una richiesta essenziale e diretta la sua predicazione: Credi nel Signore Gesù e sarai salvo tu e tutta la tua famiglia! Difatti, dopo aver proclamato la parola del Signore, vengono subito tutti battezzati. Niente di più e niente di meno.
Noi che veniamo da una storia recente di società occidentale cristiana un poco trionfalistica, non dobbiamo dimenticare che la corsa del Vangelo che irrompe in Europa per la prima volta, si misura nient’affatto con le condizioni ideali che tanto ci piacerebbe incontrare, ma con le bastonate e la prigione!
Pensiamo ai cristiani di ogni confessione, ai credenti di ogni religione che vengono perseguitati e che ancora oggi sono a rischio della vita per la loro fede.
Oggi anche per noi credere significa saper dire il nostro Amen pur con un cuore agitato e preoccupato come un mare in burrasca di fronte ai tanti problemi e alle tante paure per il futuro, dire il nostro Amen significa saperci fidare, affidarci a Dio, saperci consegnare con totale abbandono.