III DI QUARESIMA o Domenica di Abramo - Gv 8, 31-59
Proviamo a immaginare se Gesù avesse risposto diversamente alle tentazioni di cui ci ha parlato il vangelo di Matteo.
Cosa sarebbe accaduto se il Signore avesse trasformato le pietre in pane? Cosa sarebbe successo se si fosse gettato dal pinnacolo del tempio? Non solo, ma come sarebbero cambiate le cose se anche negli altri momenti della sua vita, quando Gesù si è trovato davanti a due strade da percorrere, avesse deciso diversamente? Fino agli ultimi giorni, quando in piena angoscia nel giardino del Getsemani subisce la tentazione di non bere il calice…
Non ci sarebbe stato il Vangelo, non avremmo conosciuto Gesù… questo perché non siamo di fronte a un racconto edificante, oggi trattiamo la tentazione come se fosse una cosa di poco conto… Forse anche perché a ben guardare le prime due tentazioni tutto sommato non presentano niente di così grave, anzi sembrerebbero anche cose utili: trasformando le pietre in pane si sarebbe potuto risolvere il problema della fame. Un problema tra l’altro che torna con impressionante gravità per la carestia che riguarda paesi come il Sud Sudan, il nord della Nigeria, Somalia… cinque milioni di persone a rischio della fame.
E poi gettandosi dal tempio Gesù avrebbe dato prova dell’esistenza di Dio, così finalmente nessuno avrebbe più potuto mettere in discussione la fede!
La terza tentazione è diversa, perché quando il tentatore invita Gesù a mettersi ai suoi piedi e ad adorarlo, avvertiamo qualcosa di negativo, di sbagliato, da evitare. Non so se mai qualcuno di noi abbia avuto una tentazione del genere, forse uno malato di magia nera, ma normalmente nessun diavolo ci chiede di prostrarci ai suoi piedi… almeno apparentemente.
Dunque Gesù non risponde assecondando il tentatore, ma resistendo alla seduzione proposta consapevole che qui è in gioco non un momento, un’esperienza, un istante, qui si decide un progetto di umanità, qui si decide come essere uomini, come essere persone. Anche Gesù lungo tutta la sua vita ha dovuto decidere di volta in volta non solo che tipo di Messia diventare, ma soprattutto che tipo di uomo voleva essere.
Capiamo bene che se è stato così per Gesù, non a torto, le generazioni di discepoli che ci hanno preceduto hanno parlato della vita cristiana come di una lotta spirituale, di un combattimento spirituale. Cioè di una vita in cui non puoi fare a meno di scegliere, perché anche se non scegli, comunque ti poni di fatto in una posizione precisa, perché la lotta spirituale è un impegno inevitabile e pericoloso. È inevitabile perché non possiamo esimerci da questa lotta, dobbiamo prendere posizione. È pericoloso perché siamo immersi in una mentalità a volte opposta, a volte indifferente che ci disorienta, facendoci perdere il vero senso del vivere.
Insomma se vogliamo essere persone, uomini o donne, che fanno fiorire la propria vita non possiamo risparmiarci: la nostra voglia di vivere, la nostra felicità, la piena realizzazione di noi stessi nascono dall’essere ingaggiati fino in fondo in questo combattimento, come Gesù[1]. E in questo combattimento nessuno ha vita facile, nessuno.
Le tre tentazioni rimandano alle nostre relazioni fondamentali come persone, al rapporto con le cose (le cose sono pietre o pane?); al rapporto con Dio (Dio è una forza magica che risponde alle nostre paure o è un mistero irriducibile?); e infine alla relazione con gli altri (gli altri sono persone da dominare o da servire?).
Ecco è in questa irriducibile alternativa che viviamo la quaresima, che è un tempo particolare, ma è anche metafora della nostra condizione permanente nella vita. Non si riduce semplicemente a un tempo di penitenza fine a se stessa, non è una stagione triste di mortificazione, è l’occasione per far compiere a queste dimensioni della nostra vita che normalmente vengono sommerse dalla superficialità, dalla fretta, dalla pigrizia e che sono appunto i nostri rapporti con le cose, con Dio e con gli altri, un passaggio, una pasqua. Perché questo è l’orizzonte verso il quale camminiamo, verso il passaggio dalla schiavitù alla liberazione.
Ma vogliamo essere liberati o stiamo bene così? Chiediamo al Signore di vincere la superficialità, la fretta e la pigrizia o gli chiediamo di stare tranquilli? Cosa c’è da liberare nel mio rapporto con le cose, con Dio e con gli altri? Quali sono le schiavitù che in me, in noi chiedono liberazione?
La via più semplice potrebbe essere quella di rimettere mano a qualche pratica di pietà, di fare qualche fioretto e rinuncia, ma ascoltiamo le sorprendenti parole di Isaia che nella prima lettura dice:
6Non è piuttosto questo il digiuno che voglio:
sciogliere le catene inique,
togliere i legami del giogo,
rimandare liberi gli oppressi
e spezzare ogni giogo?
È l’Eterno che parla e queste parole sono una requisitoria di Dio contro il popolo e non solo contro un individuo, contro tutta una chiesa diremmo noi, un tipo di società, un modello di umanità per denunciare non l’assenza alla messa la domenica, non il non dire le preghiere, ma il vero digiuno, si chiede Isaia, è sciogliere le catene inique, i legami del giogo…
Quali sono per noi le catene inique di cui parla il profeta? Abbiamo legami che sono vitali, ma ci sono legami che incatenano, il targum parla di catene di empietà come possono essere ad esempio le nostre dipendenze! Quante forme di dipendenze ci schiacciano.
Ciascuno di noi, chi più chi meno, è soggiogato da tante cose, da tante forze che ci costringono a vivere in un certo modo piuttosto che in un altro. L’immagine del giogo fa pensare alla condizione delle bestie che devono stare ore e ore curvate sotto il peso imposto senza altra prospettiva di futuro che quella che sono costretti a vedere.
Oggi non subiamo il giogo delle bestie, ma quello più pervasivo e strisciante che non mostra la sua violenza. Un esempio è quello che potremmo riassumere nell’algoritmo di facebook. L’algoritmo sceglie per noi i contenuti che più ci interessano. Ogni volta che ci colleghiamo su facebook una complessa formula con più di 100.000 variabili sceglie per noi le storie o notizie da mostrarci, mettendole in ordine secondo regole ben definite il cui unico scopo è quello di selezionare i contenuti che più ci interessano, con una graduatoria di importanza.
Alla fine ci intrecciamo con chi la pensa sempre come noi e ci parliamo e diventiamo amici solo con chi la pensa allo stesso modo, non solo, ma gli altri, quelli che stanno dalla parte opposta diventano nemici, avversari…
Isaia alla sua gente che è appena ritornata dalla drammatica esperienza di schiavitù in Babilonia, ricorda che ci sono gioghi meno visibili, più raffinati, ma capaci di rendere le persone sempre più schiave di se stesse e sempre meno sensibili all’altro, al diverso, allo straniero… Che cosa cerchi col digiuno e la preghiera? non sono esercizi per mortificare e affliggere te stesso, ma per sentire l’afflizione dell’altro.
Il digiuno, dice Isaia
7Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato,
nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto,
nel vestire uno che vedi nudo,
senza trascurare i tuoi parenti?
“La giusta relazione con le persone, scrive papa Francesco nel messaggio per la quaresima, consiste nel riconoscerne con gratitudine il valore. Anche il povero alla porta del ricco non è un fastidioso ingombro, ma un appello a convertirsi e a cambiare vita. Ogni vita che ci viene incontro è un dono e merita accoglienza, rispetto, amore”.
8Allora la tua luce sorgerà come l’aurora,
la tua ferita si rimarginerà presto…
9Allora invocherai e il Signore ti risponderà…
Se toglierai di mezzo a te l’oppressione,
il puntare il dito e il parlare empio,
10se aprirai il tuo cuore all’affamato,
se sazierai l’afflitto di cuore,
allora brillerà fra le tenebre la tua luce…
Allora… se sazi la fame dell’altro, Dio sazierà la tua fame!
L’esodo possibile e necessario ancora per noi oggi è quello di uscire dall’individualismo per costruire la giustizia. Se condividiamo il pane, non ci sarà più fame. Se accogliamo, costruiamo la città del futuro. Ecco perché Gesù non asseconda le tentazioni, non risponde come vorrebbe il tentatore, ma mette in gioco se stesso. Ed è quello che siamo chiamati a fare anche noi.
“Quand’ero giovane volevo cambiare il mondo diventato maturo tentavo di cambiar me stesso, ma da vecchio combatto perché il mondo non cambi me” (Enzo Bianchi).
(Is 58, 4-12; Mt 4, 1-11)
[1] CF C. M. Martini, Il sole dentro. Le nostre fragilità e la forza di Dio, PIEMME