IV DI AVVENTO - Lc 19, 28-38
(Is 4,2-5; Lc 19, 28-38)
Con la narrazione dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme la liturgia di avvento ci aiuta a ricordare che la città degli uomini, di cui Gerusalemme è simbolo e cifra di riferimento, è visitata dall’Eterno.
Il Signore continua ancora ad entrare nella città, nella vita dell’uomo, così come continua ancora ad entrare nella nostra città, nei nostri quartieri, percorre le nostre vie. E vi entra in un modo che mi sembra di riconoscere nella pagina di Luca secondo almeno tre caratteristiche.
La prima è data dalla determinazione con cui Gesù cammina davanti a tutti salendo a Gerusalemme, come recita il primo versetto del vangelo di oggi. Gesù sale «davanti a tutti», solo. Ma questo non lo scoraggia, non lo porta a cercare di adattarsi alla situazione. Più si avvicina a Gerusalemme, più cresce la sua solitudine, tuttavia rimane fermo nella volontà del Padre e nella sua relazione con Dio, trova la forza di tenere la schiena diritta e la coscienza libera mettendo così in evidenzia il motivo per cui è venuto: per aprire una strada, per dare inizio a un cammino che altri potranno percorrere, ma dietro a lui, non davanti a lui.
E poi, nonostante i discepoli cerchino di organizzare un ingresso solenne, come quando si accoglie un re o un imperatore stendendogli i mantelli sulla strada, la decisione del Cristo è quella di cavalcare un puledro e non un cavallo come un condottiero o un generale d’armata, un puledro come gli antichi patriarchi e pastori del popolo. Gesù dà pieno compimento alle parole dei profeti, come scriveva Zaccaria: «Dite alla figlia di Sion: Ecco il tuo re viene a te mite, seduto su un’asina, con un puledro figlio di bestia da soma» (9,9).
Gesù entra in città da persona mite, non promette di risolvere tutti i problemi della città, non distribuisce illusioni. Ma con il tratto mite del suo cuore egli si carica del male del mondo, si fa carico del male che Gerusalemme di lì a poco riverserà su di lui e lo porta su di sé, vincendo il male con il bene.
Infine, un terzo aspetto mi colpisce di questo ingresso del Signore e che è una costante del suo modo di essere: Gesù abita la città percorrendone le strade. Certo frequenta il tempio e va in sinagoga, ma è sulla strada che il Signore incontra molte persone, è sulla strada che ascolta le domande e compie i segni. Gesù abita la città e le sue strade dal giorno del suo ingresso fino alla sera di Pasqua quando percorrerà un altro tratto di strada con i due discepoli di Emmaus.
Proviamo a rileggere questi tre aspetti per la nostra vita oggi, per noi che abitiamo le convulsioni di questa nostra città, di questo nostro Paese, per noi che vogliamo vivere da discepoli del Vangelo qui in questo tempo.
L’immagine di Gesù che cammina decisamente verso Gerusalemme, anche se solo davanti a tutti, mi ha suscitato la domanda: ma chi è oggi che nella città è chiamato a dare testimonianza di questo cammino dietro al Signore?
Noi abbiamo magnifici documenti del Concilio che proclamano la dignità della vocazione laica, delle dichiarazioni sul ruolo delle donne nella vita e nella missione della chiesa e tuttavia si ha l’impressione che le cose non cambino. Di fatto succede persino che la Chiesa appaia ancor più clericale che in passato.
Forse fissando lo sguardo sul modello di laico per eccellenza che è Gesù – perché il Signore non appartiene alla dinastia sacerdotale, non è un levita e nemmeno uno scriba – anche i nostri laici possono trovare il coraggio e la forza di mantenere la schiena dritta e la coscienza libera nei confronti dei diversi faraoni di oggi e dei tanti piccoli insolenti e prepotenti egiziani dei nostri giorni difficili.
La storia della città dell’uomo è segnata da figure di laici cristiani che hanno servito fedelmente il Vangelo al prezzo anche di incomprensioni e di ostracismi. Ricordo la felice espressione di Vittorio Bachelet, già vicepresidente del CSM, nella quale diceva che ai laici non viene chiesto di fare un’economia «cristiana«, una politica «cristiana», una letteratura «cristiana», ma di fare bene, con il massimo di intelligenza, di cultura, di efficacia, tutto dalla letteratura all’arte, dall’amministrazione all’economia, dalla politica alla giustizia… È in questo modo, era sua ferma convinzione, che noi entriamo nel piano di Dio.
E poi osservando l’atteggiamento del Signore nell’entrare in Gerusalemme mi colpisce il suo modo assai mite, di quella mitezza che ancora oggi viene giudicata debolezza, inferiorità, perché specialmente quando si parla di valori, più uno grida e più si fa sentire, più crede di essere forte e sicuro.
Ma in realtà, molte volte il grido di chi vuole difendere la verità o la presunta verità che dice di possedere, non è altro che la più palese manifestazione della sua incertezza e delle paure che lo abitano.
Gesù non grida, non esibisce la sua forza, non ne ha bisogno e così ci insegna una cosa che è stata ripresa dal Concilio, soprattutto nella Gaudium et spes (quarta scheda). Il Concilio rivolgendosi non soltanto ai fedeli, ma a tutti gli uomini – infatti nel titolo non si legge “messaggio della Chiesa al mondo contemporaneo”, bensì “la Chiesa nel mondo contemporaneo” – afferma che la Chiesa non si pone davanti al mondo per giudicarlo in una posizione di separata superiorità, ma comprende se stessa come una realtà solidale con il mondo, in atteggiamento di dialogo.
Nella GS non troviamo quelle nette e a volte apocalittiche condanne del mondo moderno che si leggono in numerosi documenti ufficiali della Chiesa dei due secoli precedenti e insegna a riconoscere gli aspetti buoni e positivi del “progresso” e della modernità. Quando poi si tratta di vederne gli aspetti negativi la Chiesa non vede la colpa solo negli altri, ma sa riconoscere la corresponsabilità propria e dei cristiani. Credo che questa mitezza oggi sia la base per il dialogo nella città, nella convivenza civile.
Infine, mi sono chiesto: cosa ha da dire a noi lo stare di Gesù sulle strade e sulle piazze della città? Le nostre strade sono in genere percorse in tutta fretta, sono anche il luogo della chiacchiera vuota, del rumore infinito… a volte sono luogo dove dare libero spazio alla protesta e per alcuni anche per liberare la propria violenza e aggressività.
Alda Merini in un suo testo ben sintetizza con crudo realismo la condizione delle strade di Milano: Nelle strade nevrotiche della città, gli uomini si rincorrono mangiandosi l’un l’altro. Triste osservare le zanne saettare dietro il loro prossimo, la precisione meccanica dei loro egoismi.
Proprio in questi giorni è stata inaugurata una nuova piazza in fondo a corso Como e percorrendo questa piazza e le vie adiacenti avvertivo il bisogno enorme che c’è oggi di spazi per incontrarsi, per avere un dialogo libero da interessi, un luogo non solo per comprare e vendere, ma per dire la passione per il bene comune, per ricreare quel tessuto che è anzitutto una trama di socialità e dove si possono porre anche le domande importanti della vita.
Per questo preghiamo insieme il Signore di aiutarci a percorrere le strade e le piazze della città come faceva lui, con un cuore libero da interessi, capaci di ascolto per condividere e per crescere in umanità.