IV DOPO L’EPIFANIA - Mt 8, 23-27


(Ml 3, 1-4; Lc 2, 22-40)

La presentazione al tempio di Gesù, chiamata anche festa della Candelora perché in questo giorno si possono benedire le candele simbolo di Cristo «luce per illuminare le genti», come abbiamo sentito dire dal vecchio Simeone, era prescritta dalla Legge giudaica per i primogeniti maschi.

La presentazione al tempio era anche l’occasione per la purificazione della mamma, in questo caso di Maria, perché secondo l’usanza ebraica – ma non solo – una donna era considerata impura per un periodo di 40 giorni dopo il parto. Infatti il Levitico prescrive: «7Questa è la legge che riguarda la donna, quando partorisce un maschio o una femmina. 8Se non ha mezzi per offrire un agnello, prenderà due tortore o due colombi: uno per l’olocausto e l’altro per il sacrificio per il peccato. Il sacerdote compirà il rito espiatorio per lei ed ella sarà pura”» (12, 7-8).

Gesù, con Maria e Giuseppe che appunto non sono ricchi e quindi consegnano al sacerdote di turno due giovani colombi, si assoggetta alle norme, sottostà alla tradizione… e così si avvera la parola del profeta Malachia che abbiamo ascoltato nella prima lettura: «Ecco io manderò un mio messaggero … e subito entrerà nel suo tempio il Signore».

Noi ci saremmo aspettati che quel giorno nel tempio avessero parlato i sacerdoti o i leviti, insomma i competenti in materia, invece il vangelo di Luca ci dice che a parlare sono due anziani, un uomo e una donna.

Due laici riconoscono nel bambino il dono di Dio.

Il primo è Simeone, uomo giusto e pio, in realtà dovremmo dire: giusto e schivo. Stare sempre nel tempio comporta i suoi rischi, non è che significhi automaticamente essere santi. È come lo stare sempre in chiesa, nel gruppo o nel movimento: o diventi santo oppure dai il peggio di te, perché cresci nell’ipocrisia, nell’invidia, nel pregiudizio, vivi di pettegolezzi… ecco stare nel tempio ed essere, come Simeone, giusto e schivo non è affatto scontato.

Invece di questo anziano si dice per tre volte che agisce, parla e si muove nello Spirito. Perché è vero, viviamo sempre dello spirito, dipende da quale. Se è lo spirito di Dio, lo spirito dell’amore o lo spirito dell’egoismo, dell’interesse…

Quando vivi nello Spirito giusto ti trovi tra le braccia Dio stesso.

Non a caso la chiesa ortodossa chiama la celebrazione di oggi, la «festa dell’Incontro». Chi è il Signore? è colui che ci viene incontro, è colui che si consegna nelle braccia degli uomini. Dio è uno che si consegna a noi nelle nostre mani, come faremo tra poco nell’eucaristia: prendete e mangiate questo è il mio corpo consegnato per voi!

Questo fa Dio: si mette nelle braccia, si consegna nelle nostre mani. Dono inatteso. E quando hai Dio tra le braccia puoi chiudere gli occhi e concludere la vita. Se no che vita è? Il senso della nostra vita è l’abbraccio con lui. Allora puoi dire finalmente: ora licenzia il tuo servo Signore!

È la preghiera della compieta, prima di addormentarci è la nostra preghiera. Al mattino iniziamo con il Benedictus: lodiamo il Signore e lo benediciamo, facciamo la nostra berakah… alla sera invece cantiamo con Maria il Magnificat perché lungo la giornata il Signore ha fatto grandi cose con noi suoi servi. Infine, prima di chiudere gli occhi ci abbandoniamo nelle braccia del Signore con le parole di Simeone. dicendo: Ora lascia Signore che il tuo servo vada in pace… e la cosa bella e nuova è che possono dirlo tutti, tutte le genti possono affidarsi a un Dio che si abbassa per amore.

È bella questa figura laica di anziano che vive di preghiera senza essere sacerdote, capace di vedere il dono di Dio, ma anche il bisogno di consolazione della sua gente. In questo giusto vediamo incarnata la spiritualità autentica di Israele.

E poi c’è la seconda figura, quella di Anna (grazia di Dio), figlia di Fanuele (volto di Dio) della tribù di Aser (felicità). Questa donna ha per grazia la felicità di vedere il volto di Dio. Ma ciò che ci sorprende è il suo essere profetessa!

È come se il Signore si prendesse gioco del nostro maschilismo che prevede che solo il primogenito maschio sia presentato a lui, perché il Signore parla attraverso una profetessa e non è la prima, ne conosciamo almeno tre nel Primo testamento e tutte hanno in comune anzitutto il riconoscimento dell’iniziativa di Dio e poi il coinvolgimento della loro gente nel lodarlo, nel cantare insieme con gratitudine.

Nel libro dell’Esodo, Maria sorella di Aronne è definita profetessa perché dopo il passaggio del mar Rosso, prese un tamburello e ballando intonò il ritornello: Cantate a Signore perché ha mirabilmente trionfato, cavallo e cavaliere ha gettato in mare (15, 20).

Nel libro dei Giudici, Debora è giudice di Israele e profetessa al punto che gli Israeliti salivano da lei per ottenere giustizia (stava sotto le palme nelle colline di Efraim 4,4). Anche Debora è una profetessa che canta dopo la vittoria sui nemici: Voglio cantare al Signore! Coloro che ti amano siano come il sole! (cap.5).

E poi abbiamo la profetessa Culda (2Re 22, 14), che risiede in Gerusalemme e alla quale perfino i sacerdoti si rivolgono per conoscere la volontà di Dio.

Della profetessa Anna sappiamo l’età, 84 anni e non solo, anche la durata del suo matrimonio era stata assai breve, solo sette anni. E se noi supponiamo che anch’essa si sia sposata com’era consuetudine allora verso i 13-14 anni più o meno, è vedova da oltre 64 anni! Questi dati per Luca sono importanti per dire che serviva il Signore notte e giorno con digiuni e preghiere. Lo scopo della sua vita è servire il Signore. Ma di lei non abbiamo una parola, qual è allora la sua profezia?

Non ci è dato di sapere come abbia cantato la sua gioia davanti a Gesù, come avevano fatto le altre profetesse, ma sappiamo che il suo cuore ha riconosciuto in quel bambino il dono di Dio. Anche lei come Simeone è un ponte tra Dio e le attese del popolo, in questo è profezia: Parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.

Che cosa possiamo portare a casa da queste due figure di anziani laici?

Anzitutto il primo dono è la loro capacità di saper invecchiare. Sia per Simeone che per Anna l’età avanzata non significa una fine mortificante, ma un andare verso la pienezza. La loro vecchiaia è lontana da qualsiasi forma di malcontento o di tristezza o di rimpianto, sono come quegli anziani di cui parla il salmo: Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi (92,15).

Saper invecchiare bene è un dono da chiedere, a rigore la nostra vita ogni giorno ci fa diventare più vecchi e bisogna cominciare per tempo a prendere coscienza dei cambiamenti del nostro corpo, dei limiti delle nostre possibilità, delle fatiche che possiamo sostenere. Invecchiare bene significa anche imparare a non pretendere troppo da noi stessi, a non crederci indispensabili, a lasciare il passo a qualcun altro quando è il momento. E nemmeno a voler dimostrare a ogni costo di essere più giovani di quello che si è, finendo tra l’altro, col diventare ridicoli.

Penso che tutti noi abbiamo incontrato persone straordinarie che purtroppo sono invecchiate malamente entrando nel tunnel senza fondo della demenza o di malattie che distruggono la memoria, deformano il corpo, trasformano il carattere e cancellano i sentimenti. Quello di invecchiare bene è un dono da chiedere e da cominciare a chiedere presto, ma presuppone che accettiamo di diventare vecchi.

Nella tradizione monastica, una delle mete spirituali consiste nel diventare dei «bei vecchi» (kalos geros). Anna è profetessa anche in questo. E non è affatto scontato, perché poteva dopo tutti quegli anni di solitudine diventare aspra, acida. Un matrimonio finito troppo presto poteva indurirla nel suo dolore, la lunga vedovanza poteva farla sentire condannata dalla sfortuna, invece attraverso passaggi sicuramente difficili e dolorosi, ha uno sguardo e un cuore che, forgiati dalla preghiera e dal digiuno, sanno riconoscere il dono di Dio. E questa profezia la rende feconda, la sua vecchiaia è una vedovanza feconda.

Una seconda cosa mi sembra ci donino queste due figure di laici, è quello della profezia laica, per così dire. Anzitutto sono laici di una sana laicità, perché in una vita forgiata dalle prove, dal dolore non per questo hanno cercato un facile rifugio nelle cose del tempio, ma hanno mantenuto un autentico rapporto con Dio in una preghiera fedele e hanno conservato una loro dignità.

E poi sono profeti che sanno discernere le attese della loro gente. E quali sono le attese della gente? Sono quella della consolazione e della liberazione. Come profeti Simeone e Anna conducono queste attese al Signore, sanno che in Gesù c’è consolazione e liberazione, per questo possono cantare, lodare la misericordia di Dio.

Non guardiamo a Simeone e Anna come se fossero i residui di un popolo del passato, ma ponendoli all’inizio del Vangelo, Luca ci invita a guardare a loro come laici e profeti, primizie di una nuova umanità.