NATALE DEL SIGNORE - messa nel giorno - Lc 2, 1-14


Se misuriamo la nostra realtà sulle parole di Isaia (2, 1-5) dovremmo dire che il Messia deve ancora venire. Dov’è che si spezzano le spade per farne aratri o che si trasformano le lance in falci? E dov’è che i popoli non alzano più i coltelli gli uni contro altri?

Anche solo dal Natale dello scorso anno l’arte della guerra si è raffinata e dinnanzi alla moderna tecnologia militare a Isaia verrebbe da impallidire; così come di fronte alla crudeltà dell’integralismo che dilaga, non so se avrebbe ancora il coraggio della profezia!

Eppure noi siamo qui a rinnovare l’annuncio della nascita di Gesù, a dirci che realmente, storicamente Dio si è fatto uomo, figlio di una madre umana, uno di noi, ma che è anche rimasto ciò che Egli è eternamente, Figlio di Dio.

Il mistero del Natale torna a invitarci ad avere in questi giorni il tempo di chiudere gli occhi per darci spazi di silenzio e tornare ad ascoltare con il cuore, con la coscienza, con l’intimità profonda di noi stessi questo dono di Dio.

I nostri occhi sono ogni giorno costretti a vedere guerre, violenze, crudeltà… Certo, voi direte, anche a tenere gli occhi chiusi, prima o poi però bisogna riaprirli, ma se impari ad ascoltare il cuore, la coscienza… cambia il tuo modo di vedere, perché succede come a Giovanni che nella notte (1,9-14) vede la luce, come ai pastori che proprio nella notte odono una Parola indicare l’inaudito, il segno di un Dio che abita la storia non con la potenza economica di Augusto, ma con la fragilità di un bambino. Non con la forza militare delle truppe imperiali, ma con la tenerezza di chi cura e avvolge in fasce il piccolo.

Per una coerenza che ci sorprende questo Dio continua ad essere fragile, perché appunto non è facile riconoscere l’agire di Dio, anzi ancora oggi c’è bisogno che qualcuno faccia nascere Gesù. Non in senso fisico, quello è avvenuto una volta per tutte ed è l’inaudito della storia, ma occorre che la parola del Vangelo diventi carne, realtà, concretezza.

Certo, lo dice bene Isaia, la strada è in salita: Venite saliamo sul monte del Signore. Più che conoscere qual è la montagna, è importante sapere che è davvero in salita il cammino di Dio. È in salita anzitutto perché non è facile vedere, come dice Isaia, che ad esso affluiranno tutte le genti! Sapere che siamo tutti in cammino verso di Lui, saper vedere in tutti i popoli, nelle religioni e nei cammini spirituali più diversi, un camminare verso il Signore, non è affatto scontato.

È davvero in salita il cammino di chi cerca comunione, punti d’incontro, di chi vede germogli di bene deposti in ogni cultura, in ogni religione, in ogni umanità che c’è sulla faccia della terra. È davvero in salita. Oggi sembrano aver ragione e successo coloro che dividono, che frammentano, che non tendono all’unione della famiglia umana.

Eppure se Gesù, il figlio di Dio, è uomo e ha condiviso la natura umana, vuol dire che la strada è qui, è questa, non è altrove. D’altronde perché venuto Gesù? qual è lo scopo del suo vivere? Non è venuto per morire in croce, quello è il prezzo pagato per la sua missione. Per che cosa nasce Gesù?

La sua missione è già iscritta nel suo nome, Gesù (in aramaico יֵשׁוּעַ, Yeshu’a pron. iish(uo)a ): Dio salva, Gesù «viene a salvarci» ci ripetiamo dai tempi del catechismo. Ma cosa vuol dire oggi «salvarci», cos’è «salvezza» oggi? Vi sembra che l’uomo contemporaneo esprima un bisogno di salvezza? Salvezza da chi e da che cosa?

Dovremmo noi per primi, a questo punto della nostra vita, poter descrivere il nostro bisogno di salvezza. In questo momento, ma anche in tutta la mia vita, da cosa mi salva Gesù?

Posso immaginare l’anziano che chiede salvezza dalla paura di invecchiare male, dalla paura degli acciacchi e dei malanni. L’adulto domanda di essere salvato dal timore di non essere in grado di far fronte alle sue responsabilità, dalla paura della depressione. Il giovane dalla paura di non essere accettato e di non riuscire, il bambino dalla paura di essere abbandonato…

Gesù ci salva, mi salva, da tutte queste paure, dal timore di un domani che non conosciamo, dalla paura del vivere.

Tu potrai essere anche come Cesare Augusto, potrai essere l’uomo potente che governa lobby finanziarie, ma vivrai della paura che un piccolo Davide con la sua fionda ti possa umiliare.

Potrai essere come il sommo sacerdote e governare i sensi di colpa della gente, ma avrai sempre paura di perderne il controllo.

Potrai essere come l’Erode di turno che si è creato un enorme potere sulla corruzione e sul denaro, ma con la paura che prima o poi tutto il marciume venga a galla.

La vita di Gesù ci salva con la tenerezza e l’ascolto, con la verità e l’amore. Il Signore ci salva quando la sua vita, il suo pensiero, il suo amore diventano il paradigma del nostro vivere. L’amore di cui parliamo non è un orientamento della bontà, non è semplicemente un sentimento del cuore… la parola «amore» non è qui un concetto, ma un nome. Gesù, la cui vita è il paradigma per le nostre vite.

Possiamo arrivare a Natale come le ultime pecore del presepe, non importa, quello che conta è che «L’annuncio cristiano si diffonde grazie a persone che, innamorate di Cristo, non possono non trasmettere la gioia di essere amate e salvate» (papa Francesco).

Di questo evento parla il Natale. Questo è il suo contenuto. Quando questa consapevolezza svanisce, allora tutto scivola sul piano meramente sentimentale, anzi brutalmente affaristico. Ma se lo viviamo come paradigma allora il Natale non è solo la festa di coloro che fanno regali, ma anche di quanti non hanno nulla da donare, o nessuno al quale possano pensare di farlo. Non è unicamente festa della famiglia, ma anche di chi è solo, perché a tutti e a ciascuno ha dato il potere di diventare figli di Dio, dice Giovanni.

Cosa significa per noi diventare figli di Dio? vuol dire essere uomini e donne che salgono il monte del Signore, cioè imparano a trasformare le lance in falci, la violenza e l’aggressività in dialogo e condivisione; uomini e donne che usano le parole per benedire e rinunciano ai pettegolezzi e alle chiacchiere inutili; uomini e donne che sanno vedere nei diversi cammini delle religioni e dei popoli, il dono di Dio.

Ecco allora il mio augurio che è anche la mia preghiera: Venite, saliamo sul monte del Signore camminiamo insieme sulla strada che Gesù ha aperto per noi e con noi.