III DI QUARESIMA o Domenica di Abramo - Gv 8, 31-59


(Gv 8, 31-59)

Sono consapevole che ad una prima lettura questa possa risultare una delle pagine più difficili del vangelo di Giovanni. È un testo che intreccia tante questioni e risulta ostico orientarci per trovare il filo conduttore. Per aiutarci nella comprensione inizierei con una metafora che è una premessa che se non elimina le difficoltà, almeno dipana un poco la matassa di questi versetti. La metafora della bussola, del radar e del decoder.

Una volta l’uomo che navigava in mare aveva come strumento la bussola e la bussola era una buona metafora tecnologica del senso della vita. La bussola indica il Nord. Se la bussola non indica il Nord è perché non funziona e non certo perché non esiste il Nord. Ecco l’uomo era saldamente attratto dal religioso come da una fonte di senso fondamentale. Come l’ago di una bussola lui sapeva di essere radicalmente attratto verso una direzione precisa, unica e naturale, il Nord. Che è metafora di Dio. Se la bussola non indica il Nord è perché ci sono dei campi magnetici che la disturbano e non certo perché non esiste il Nord o non esiste Dio.

Poi l’uomo, specie nel secolo scorso, ha cominciato a usare il radar. Il radar che serve a rilevare e determinare la posizione di oggetti fissi o mobili, implica un’apertura indiscriminata anche al segnale più blando, non indica una direzione precisa. Non a caso la domanda che ha segnato appunto il secolo scorso era la domanda «Dio dove sei?». Di fronte alla violenza, alle guerre che hanno visto sacrificare milioni di esseri umani, dinnanzi allo sviluppo della scienza e della tecnica … il campo magnetico dell’umano è stato occupato da tante cose… E l’uomo è come se, dopo aver perso la sua direzione, si fosse aperto ad una ricerca di senso che ha segnato le grandi pagine della letteratura del Novecento. Anche un teologo dello spessore di Karl Rahner in una celebre espressione ha dato forma teologica alla metafora del radar, definendo l’uomo «uditore della parola».

L’uomo come un radar che nella notte e nelle tempeste delle modernità cerca un messaggio e un senso di cui ha profondo bisogno. Oggi, sempre rimanendo nell’ambito della metafora, l’immagine che tutti noi abbiamo davanti agli occhi è quella dell’uomo che si sente smarrito se il suo cellulare non ha campo o se il suo tablet o lo smartphone non può accedere a qualche forma di connessione di rete. Oggi più che cercare segnali, siamo abituati a cercare di essere sempre nella possibilità di riceverli senza però necessariamente cercarli. Io ricevo una mail in maniera automatica perché tengo aperto il canale di ricezione.

L’uomo da bussola prima e radar poi è oggi più simile aq un decoder, cioè è immerso in un sistema di accesso delle domande sulla base delle molteplici risposte che lo raggiungono senza che lui si preoccupi di andarle a cercare.

Andando in giro al mattino è abbastanza comune notare molte persone che vanno al lavoro con gli auricolari connessi a un iPod o a un lettore digitale che rendono possibile l’ascolto musicale per strada, in metropolitana, facendo sport…

Indossare le cuffie auricolari è un modo per cambiare il rapporto con l’ambiente che ci circonda mediante l’inserimento di una colonna sonora che a volte rende più gradevole la routine, ma introduce anche una modalità differente di vivere una dimensione importante della vita: l’ascolto.

Nel tempo dell’uomo decoder, tra i tanti segnali che riceviamo, tra le tante musiche e informazioni che arrivano alla nostra mente e al nostro cuore, è più difficile decodificare l’essenziale, la condizione che sta a fondamento della vita.

Qual è la verità della nostra vita? Che cos’è la verità di una vita? Di una persona?

Ecco cosa risponde il Cristo fin dalla sua prima espressione all’inizio del vangelo di oggi quando dice: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi».

Ma noi siamo liberi! È la nostra prima reazione. Ed è la reazione dei contemporanei del Cristo.

Anche oggi facciamo un gran parlare di libertà, ma nonostante tutto rimane un interrogativo aperto, una domanda filosofica perché la speculazione umana ne ha colto diverse sfumature, ma senza determinarne l’essenza.

È un’inquietudine morale che rimanda al nostro libero arbitrio nelle decisioni e orientamenti della vita, ma fino a che punto siamo liberi davvero?

È ancora un mistero psicologico perchè noi facciamo immediatamente l’esperienza del condizionamento e non della libertà.

Infine è anche un mistero teologico perchè nemmeno la rivelazione ha dato una definizione della libertà in quanto tale, infatti nemmeno nel vangelo di Giovanni di oggi incontriamo una definizione di libertà, piuttosto Gesù sottolinea la condizione della libertà che è stare nella verità: «Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». E questo non è che ci semplifica le cose, anzi siamo – a questo punto – anche noi nella condizione di Pilato che dinanzi a Gesù si domanda: «Cos’è verità?» (18, 38).

Ai nostri figli insegniamo «a dire la verità», ma sappiamo bene che la verità non è un atteggiamento formale, una postura. Già insegnando a «dire la verità», affermiamo che la verità è una relazione ed è nella relazione che abita la verità.

Infatti prendiamo ad esempio la condizione affettiva nella quale in una coppia uno dei due avverte l’attrazione per un’altra persona e l’asseconda. Si stabilisce subito un regime di doppiezza, per cui uno recita la parte, costruisce menzogne e falsità perché nel suo cuore ha lasciato il posto a un’altra persona. Abitando una posizione che non è autentica, succede che non è più libero di esprimersi, recita una parte che non gli appartiene, diventa falso e poco credibile, non è libero perché non è nella verità di se stesso.

La libertà è che, pur in mezzo ai mille canali possibili del mio decoder, io abito nella verità della mia vita e la verità della mia vita è quella che Cristo ci rivela attraverso questo dialogo intenso, costituito da sette interventi di Gesù e altrettanti dei suoi interlocutori. L’ultima parola di Gesù è il vertice di questo dialogo: «Prima che Abramo fosse Io sono», che dice appunto la sua relazione con Dio, Io sono è il nome con cui Dio si rivela a Mosè.

Tutto il vangelo di Giovanni mostra che Gesù ha posto la sua libertà nell’obbedienza al Padre e nel dono di sé agli uomini: due modi di vivere che sembrano il contrario della libertà. Noi opponiamo libertà e dipendenza, Gesù li unisce nella categoria della verità!

Il Figlio venuto a rivelarci la verità fondamentale dell’uomo: l’uomo è figlio. Nessuno si è fatto da sé, neppure le persone più potenti. Uno esiste perché un altro lo ha messo al mondo e se non accetta di essere messo al mondo da un altro non esiste. Non accetta se stesso come figlio, non accetta gli altri come fratelli e tanto meno Dio come Padre.

Potremmo dire che la menzogna originale, il peccato di origine è la falsificazione della nostra relazione filiale con Dio. Il padre diavolo è un abile falsificatore e come tutti i falsificatori sono abili comunicatori, altrimenti la menzogna non sarebbe verosimile. Infatti non sarebbe così il mondo, se non continuasse oggi quello che è accaduto alla verità che è Gesù, ovvero che il destino della verità e della libertà è quello di morire crocifisse fuori dal tempio e alle porte della città.

Chiediamo al Signore di intraprendere il cammino di teshuva’, di ritorno al Padre, alla relazione che ci libera anche nei tempi in cui il nostro cuore è sempre più simile a un decoder.