II DOPO L’EPIFANIA - Gv 2, 1-11
(Est 5, 1-1c.2-5; Ef 1, 3-14; Gv 2, 1-11)
Come vorremmo che il Signore compisse ancora oggi segni come quello che abbiamo ascoltato: regalare più di seicento litri di vino perché la festa non abbia a finir male. È una meraviglia! Soprattutto per noi che da qualche anno a questa parte viviamo la gratuità a fatica.
Il segno che Gesù riempie il cuore di fiducia e di speranza perché introduce nelle relazioni tra le persone quella gratuità e quella generosità di cui anche noi abbiamo tanto bisogno.
Ma a ben guardare il dono di Gesù non cade dall’alto, come farebbe un benefattore o un nobile generoso che distribuisce del suo, il segno di Cana è sì un dono ma che deriva dalla trasformazione di quello che c’è, dei seicento litri di acqua che sono lì. Perché il Signore è così esagerato? Di che cosa vuole essere «segno» questo dono sovrabbondante?
Teniamo presente anche solo due elementi che ci possono aiutare nella riflessione: il primo, è curioso che di questo matrimonio non conosciamo nemmeno il nome degli sposi, i protagonisti sembrano essere piuttosto Gesù e Maria con i servitori, che sembrano farci pensare appunto alla Chiesa e al suo rapporto col mondo, un mondo che è chiamato a vivere la fede come una festa di nozze.
Il problema, ed ecco il secondo elemento, è che se a una festa di nozze – che poteva durare anche quindici giorni – viene a mancare il vino, la festa si trasforma in una delusione e la gente che si annoia non vede l’ora di andarsene e non conserverà un buon ricordo perché alla fine han dovuto bere quello che era rimasto, solo acqua!
E non c’è bisogno di spendere molte parole per renderci conto che le sei anfore di pietra che contengono l’acqua per la purificazione, sono lì con tutta la loro ingombrante pesantezza a ricordarci il rischio sempre attuale di una religiosità stanca, annacquata, triste. Dal punto di vista esistenziale possiamo leggere in quell’acqua anche il simbolo delle nostre tristezze, delle nostre lacrime… delle nostre delusioni, di tutto ciò che in qualche modo appartiene alla nostra fragilità. Il Signore gratuitamente dona il vino, ma trasformando proprio quell’acqua.
Come è possibile questa trasformazione? Come avviene che nessuna cosa sia così lontana da Dio che egli non possa comunque farla tornare a sé?
Questa è una costante propria del Signore, ce lo raccontava la prima lettura di oggi che attinge alla storia di Ester. Ester è una ragazza ebrea deportata con gran parte della sua gente, tuttavia – per la sua bellezza – diventa la regina nell’harem del re persiano Serse I (486 – 465 a.C.).
Forse pochi di noi ricordano il libro di Ester, ma ci è utile ricordarlo perché ha una stretta connessione con Cana di Galilea, ci sono molti elementi in comune tra i due racconti: c’è un «terzo giorno», c’è un banchetto, la situazione è critica in entrambi i racconti, e poi ci sono due donne che hanno un ruolo fondamentale e dalle quali dipende il futuro di un popolo. Il tempo che vive Ester è un tempo oscuro, difficile: c’è un piano ordito dal primo ministro all’insaputa del re, che prevede che in un solo giorno, un giorno tirato a sorte , tutti gli ebrei del paese vengano sterminati.
Il nome “Ester” significa nascondere – il significato del nome segna un destino -, e sembra dire che l’Eterno abbia nascosto il suo volto, non guardi più la sua gente (è proprio il contrario di quanto abbiamo ricordato all’inizio dell’ anno con le parole di Aronne: il Signore rivolga a te il suo volto, faccia splendere il suo volto su di te) al punto che nella versione ebraica del libro di Ester non si nomina mai il nome di Dio, mai.
E voi direte: ma cosa c’entra questo con Cana di Galilea?
Sono entrambe, sia pure diverse nella loro gravità, due situazioni sfavorevoli, due condizioni dalle quali pareva difficile trovare una via d’uscita, di quelle situazioni come ce ne sono tante nella vita di ciascuno di noi. Ebbene come si trasforma una situazione sfavorevole e che pare senza sbocco? Ester organizza un banchetto nel quale, con tutta la fede di cui è capace, ribalta la sorte del suo popolo già condannato: il re venuto a conoscenza della trama ignobile del suo primo ministro, lo manda a morte e salva gli ebrei dallo sterminio.
Certamente a Cana il contesto è meno drammatico, ma anche Maria di Nazareth, donna di fede ricorda ai discepoli che c’è un modo per cambiare la sorte, e dice molto semplicemente: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela»! Maria non può immaginare cosa ha in mente il Figlio, non sa cosa dirà Gesù, non sa cosa potrà esigere dai servitori, se li manderà a comprare o se farà qualche altra cosa … non sa niente di come Gesù abbia pensato di uscire da quella condizione, ma la sua fiducia in lui è totale: Qualsiasi cosa vi dica, fatela.
Cosa facciamo quando sperimentiamo l’amarezza delle nostre delusioni, dei fallimenti e delle lacrime, quando stanchezza e ripetizione prendono il sopravvento? Quando ci assalgono mille dubbi, quando gli amori sono senza gioia e le nostre case senza festa?
La percezione di aver sbagliato e di essere entrati in una situazione senza uscita, è una delle più amare della vita. Magari sono sufficienti due o tre eventi sbagliati per turbarci, per farci sentire come in trappola ed è facile ricorrere ai surrogati, cercare evasioni nella droga, nell’alcool, nel gioco d’azzardo ….
La parola di Maria va in un’altra direzione: «Qualsiasi cosa dica, fatela». Nel momento difficile, nella condizione senza apparenti vie d’uscita, rimanete saldi e fedeli alla parola di Dio. Fate quello che dice Gesù perché c’è una via d’uscita, per ogni nostra situazione, ma anche per il mondo stesso che sembra condannato all’ingiustizia e al disastro ecologico, e per le religioni che sembrano destinate alla divisione…
L’invito di Maria ci fa conoscere il suo spirito pratico, la sua parola è orientata alla prassi: Fate! Fate il suo Vangelo, rendetelo gesto e corpo, sangue e carne. E si riempiranno le anfore vuote del cuore, si trasformeranno le relazioni e la vita si trasformerà da vuota a piena, da spenta a felice.
Abbiamo un motivo particolare da presentare al Signore in questa settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Vogliamo pregare insieme perché le nostre divisioni, le divisioni delle Chiese di Cristo, che sono uno scandalo e un ostacolo alla pace, una contraddizione del Vangelo, possano essere trasformate, perché il Signore trasformi l’acqua delle nostre indifferenze, delle nostre condanne, dell’orgoglio e della presunzione nel vino della gioia di poter stare un giorno tutti insieme alla stessa mensa.