II DOPO PENTECOSTE - Lc 12, 22-31
Hanno sempre un loro fascino queste parole di Gesù e si ascoltano volentieri perché chiedendoci di guardare gli uccelli del cielo e i gigli del campo, sembrano accendere in noi quel sentimento primordiale di nostalgia per una vita naturale in piena armonia con gli animali e i fiori, senza preoccupazioni e senza stress… una vita che però non ci è stata mai concessa.
Anzi, la specie umana ha cominciato ad essere quella che è, proprio perché si è andata via via distinguendo dagli animali e dai fiori del campo. L’essere umano – fragile creatura tra le altre – ha come sua differenza specifica la ragione e dunque la capacità di progettare il suo domani e quindi l’obbligo di provvedere alle sue eventuali necessità.
Anche chi, come san Francesco ha tentato di vivere il più possibile fuori dalla logica del denaro lo ha potuto fare per testimoniare una condizione radicale di povertà scelta e voluta, ma senza condannare tutti gli altri che invece dovevano continuare la loro fatica per mandare avanti la casa, dovevano alzarsi tutte le mattine per andare al lavoro al fine di sostentare la famiglia, i figli, o avevano da assolvere il loro impegno come amministratori della città.
Comunque questa parola di Dio è capace di esercitare su di noi un certo fascino, anche se è pur vero che fuori di qui ognuno torna alle proprie responsabilità, ai propri doveri con un senso sincero di inadeguatezza, di insoddisfazione. Quindi ci domandiamo che cosa voglia dire il Signore perché per un verso ci dona l’intelligenza, l’ingegno e l’intraprendenza per osare il nuovo e per contro avvertiamo il fascino di una vita semplice, essenziale, l’incanto di una vita disadorna dalle mille cose che ci ingolfano, liberi dall’ansia e dalla paura del domani.
Anzitutto il contesto. Le parole di Gesù sono date come risposta alla domanda di uno che gli chiede: Signore dì a mio fratello che divida con me l’eredità! Un problema potremmo dire, purtroppo, all’ordine del giorno nelle nostre vite e nelle nostre famiglie ed è l’appello di uno che subisce un’ingiustizia: l’altro fratello gli sta portando via quella parte d’eredità che gli spetta… intervieni tu Gesù, convincilo con la tua autorità!
E notate, si tratta di un fratello. Non è un estraneo, uno sconosciuto. E su che cosa avrebbe potuto Gesù fare leva per convincere questo fratello ingiusto a dare all’altro la sua parte? Quali argomenti avrebbe potuto portare per smuovere quel cuore indurito e quella insaziabile bramosia di denaro?
Poteva usare argomenti che andavano a toccare il cuore, il sentimento fraterno. Poteva mettere quell’uomo di fronte alle responsabilità della sua coscienza, fargli presenti i diritti dell’altro… Gesù poteva usare mille argomenti, poteva intraprendere tante strade per convincere l’altro. Ma la vera strada, il vero argomento è un’altra. La leggiamo nella conclusione della pagina di oggi: il Padre vostro sa che ne avete bisogno. Cercate il suo regno e queste cose vi saranno date in aggiunta.
Gesù non vagheggia una forma regressiva e romantica di ritorno allo stato primitivo. Non è affatto vero che se gli uomini e le donne smettessero di lavorare ci sarebbe un vestito come per i fiori e cibo per tutti come per gli uccelli del cielo! L’uomo vive se agisce sulla natura per trasformarla. È giusto che noi lavoriamo e trasformiamo e creiamo economie. Nulla da dire.
Però c’è un rimando misterioso su cui scivoliamo con furbizia, in forza del nostro egoismo: che cosa cerchiamo mentre lavoriamo e trasformiamo e creiamo economie? cerchiamo il regno di Dio, il regno del Padre come dice Gesù, o piuttosto cerchiamo il nostro utile, il nostro vantaggio?
Le nostre tecnologie, le nostre strategie economiche hanno come scopo il regno di Dio? e non si tratta di fare della teocrazia, ma di andare dentro il mistero di Dio, quella sapienza di cui ci parla la prima lettura, vale a dire entrare nella logica profonda delle cose, per cui il regno di Dio, il regnare del Padre anche per chi non crede significa vivere nel rispetto del creato, costruire una società giusta, solidale e fraterna. Costruiamo noi tutti, laici e credenti più uguaglianza nel mondo? Perché questo è il disegno del regno di Dio: la terra è di Dio e noi siamo suoi figli e fratelli tra di noi.
Siamo ospiti in questo mondo, siamo tutti migranti anche se non ci muoviamo da casa nostra se non per andare in vacanza, perché la terra è di Dio.
No, noi non cerchiamo questo, noi sacralizziamo i nostri interessi, il nostro profitto, assecondiamo l’impulso del dominio e dello sfruttamento, e per questi obiettivi siamo disposti a pagare qualsiasi prezzo. Noi siamo, per dirla con Paolo, uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia (v.18). Soffochiamo la verità dei doni di Dio nello sfruttamento iniquo, ingiusto, disumano per arricchire.
Dopo settimane in cui abbiamo ristretto lo sguardo sulle cose di casa, guardiamo l’ingiustizia che c’è nel mondo: abbiamo nel mondo due miliardi, dico due miliardi di persone in sovrappeso con una spesa esagerata per i prodotti per dimagrire e nel contempo abbiamo due miliardi di persone denutrite e affette da malattie causate da carestie alimentari. E cosa ancora più grave, negli ultimi tre anni, la fame è tornata a crescere e colpisce più di 800 milioni di persone.
Non sarà un ingenuo ritorno allo stato primitivo a sistemare le cose, a correggere le ingiustizie. Anzi, potrebbe essere questa una gratificante quanto irresponsabile fuga dai cambiamenti che invece dobbiamo mettere in atto proprio a partire dalla prospettiva che ci ha indicato Gesù. Intorno al tema della fame nel mondo, ormai derubricato dalle grandi discussioni, in realtà si intrecciano questioni di grave impatto come i cambiamenti climatici e il land grabbing che è l’“accaparramento di terreno”, svolto da grandi aziende e multinazionali. Un fenomeno che vede una controversa acquisizione di terreni su vasta scala, sottraendo le terre all’agricoltura e al sostentamento locale, intensificando i problemi alimentari del sud del mondo.
Tra i più recenti esempi di land grabbing vediamo come la coltivazione di mais su larga scala, mais destinato alla produzione di bioenergia e biodiesel non ha fatto altro che sottrarre terreno all’agricoltura delle zone rurali del Sud del Mondo: intere tribù cacciate dalle loro case, interi terreni agricoli sfruttati dalle multinazionali occidentali per la produzione di “biocarburanti” o mangimi per gli allevamenti di bestiame.
Questo succede proprio grazie alla nostra razionalità di conquistatori, di accaparratori, dimentichi della logica del regno di Dio per cui il creato è un dono da godere con responsabilità e spirito di fraternità, come ha insistentemente ripetuto papa Francesco nell’enciclica Laudato sì.
Se Gesù ripete per ben tre volte non preoccupatevi è perché anche lui ha conosciuto a Nazaret famiglie dei contadini che facevano fatica a tirare la fine del mese e che, dopo aver pagato tutti i tributi e le tasse e senza cadere nella spirale dei debiti e dei ricatti, avevano anche il problema di conservare la semente per la semina successiva, dopo aver nutrito la famiglia e gli animali.
Anche Gesù conosceva la precarietà degli artigiani che per trovare lavoro erano costretti a muoversi da un villaggio all’altro.
Non possiamo non vedere il Signore addolorato dalle difficoltà di quelle famiglie quando – con un’aspettativa di vita che allora si attestava intorno ai 30-40 anni – veniva meno l’uomo di casa e quindi l’unico reddito, a causa della malaria o della tubercolosi.
Ecco in questo contesto, le parole di Gesù che invitano a non preoccuparsi o come nel Padre nostro quando ci dice di chiedere il pane quotidiano… non sono una poesia e sono ben più di una pia invocazione, rimandano alla nostra responsabilità.
Come facciamo a dire Padre nostro e ad essere al contempo così feroci con i nostri fratelli? Come possiamo parlare della paternità di Dio per consolarci dei nostri disastri come fanno molti che pensano a Dio Padre quando non sanno più a chi rivolgersi, come un’ultima garanzia, un’ultima istanza cui aggrapparsi? Quando fino al giorno prima hanno sfruttato la terra e le persone?
Anche se uno si ritirasse a vivere in montagna cibandosi di erbe selvatiche per non contaminare il mondo, sarebbe nel peccato.
Non ci si salva da soli. L’importante è addossarsi questa tribolazione morale e trarne stimoli per una modifica della nostra mentalità e delle nostre responsabilità collettive nel loro esercizio quotidiano e nelle loro progettazioni politiche.
(Sir 16, 24-30; Rm 1, 16-21; Lc 12, 22-31)