ULTIMA DOPO L’EPIFANIA detta "del perdono" - Lc 19, 1-10


(Lc 19, 1-10)

Anche questa domenica siamo alle prese con un pubblicano, anzi Luca precisa che non si tratta di un pubblicano qualsiasi, come poteva essere Levi Matteo di cui ci ha parlato il vangelo domenica scorsa, ma si tratta del «capo dei pubblicani (di Gerico) e ricco». Ritorna insistente il tema della misericordia e del perdono di Gesù, ma sempre insieme a quello – quanto mai attuale – delle tasse, della ricchezza e di chi senza scrupoli fa della propria vita una corsa al guadagno.

Oggi forse più che all’Agenzia delle entrate, viene da pensare agli evasori e a coloro che in tempi di finanza speculativa hanno trasformato l’avarizia (far del denaro non più il mezzo, ma il fine) da vizio capitale a virtù pubblica. Ma viene da pensare anche a chi predica che più consumiamo più ci arricchiamo, perché dicendo così dice un’enorme falsità: dopo sessant’anni di società dei consumi non abbiamo forse imparato che ad arricchirsi sono coloro che creano il bisogno e non il cittadino ridotto a mero consumatore?

Pensando a Zaccheo mi è venuto di collegarlo al protagonista della canzone «Un giudice» di De André, dove il cantautore parla di un ometto piccolo di statura che a causa di questa sua condizione nella vita da ragazzo subisce ogni sorta di umiliazione, viene tenuto da parte, emarginato… poi una volta diventato «giudice finalmente, arbitro in terra del bene e del male» si prende la rivincita e se la gode a comminare sentenze terribili contro gli altri. Nel finale però quando arriva la morte, allora, ecco il colpo di genio dell’artista, l’arrogante giudice scopre di non conoscere «affatto la statura di Dio».

Di quale statura stiamo parlando? Zaccheo che avrebbe voluto sentirsi un grande, tanto era ricco e potente, in realtà quando ha conosciuto la statura di Dio che si è fatta incontrare nello sguardo di Gesù, ha scoperto di essere piccolo e meschino. In fondo nel suo desiderio di vedere Gesù custodiva una profonda nostalgia, mai riconosciuta e ammessa e solo quando lo sguardo del Cristo lo chiama per nome per autoinvitarsi a sua casa, finalmente anche per Zaccheo affiora quello che aveva tante volte soffocato e rimosso, che in fondo la vita o si misura sulla statura di Dio o diventiamo davvero tristi e meschini.

L’esperienza di Zaccheo nell’incontro con Gesù è un’esperienza che trasforma le sue abitudini e il suo modo di vedere la vita, il guadagno, il lavoro, le relazioni con gli altri.

Gesù non si ferma al giudizio esteriore che potrebbe relegare Zaccheo nel cliché del peccatore, non si rassegna a considerarlo semplicemente uno dei ladri e forse anche il più spregiudicato di tutti. Gesù vuole andare a casa sua e facendo così Gesù narra il desiderio di Dio di incontrare ogni uomo, soprattutto quelli lontani. È questa la forza dello sguardo del Signore che in Zaccheo non vede solo il pubblicano, l’evasore o il ladro o il ricco, ma vede un uomo, un figlio di Abramo.

Scrive don Primo Mazzolari commentando questa pagina: «Io posso anche non vedere il Signore: lui mi vede sempre, non può non vedermi. Io posso scantonare, lui no. Io guardo e mi scandalizzo, guardo e giudico, guardo e condanno, guardo e tiro diritto: lui mi guarda, si ferma e si muove a pietà».

Nel volto di Gesù, Zaccheo dunque incontra il volto di un Dio che vuole tutti salvi, che vuole bene a tutti gli uomini in quanto sono tutti suoi figli e venendo a contatto con questo desiderio di Dio, il capo dei pubblicani si scopre, nonostante tutto, amato dal Signore.

E fin qui potremmo dire l’esperienza di Zaccheo ricalca quella appunto dell’altro pubblicano, Levi Matteo. La differenza più evidente che se a Cafarnao Levi è stato chiamato dal banco delle imposte per seguire Gesù, a Gerico invece è Zaccheo che cerca di vedere Gesù (e questo è un tema straordinario), ma la novità vera è la sua decisione di ridistribuire la ricchezza che aveva sottratto ai suoi concittadini.

Forse Zaccheo non ha nemmeno cambiato mestiere, ma nell’incontro col Cristo s’è reso conto della sua piccolezza nella misura in cui pensava solo di arricchirsi e di guadagnare ad ogni costo. Il suo donare a quanti ha derubato non è allora l’elargizione del potente che come un faraone fa scendere sui sudditi la sua beneficienza, quella sarebbe un’elargizione tossica perché non ripara la giustizia e la relazione, ma crea dipendenza e non rispetta la dignità dell’altro. Zaccheo con il suo restituire ricuce i rapporti di solidarietà e di giustizia con i suoi concittadini. Senza questo senso profondo della relazione con la sua gente, il guadagnare ad ogni costo lo accecava al punto da non vedere nemmeno più il volto dell’altro, del suo vicino, del suo concittadino.

Dovremmo andare a Siena all’interno del palazzo pubblico nelle sale dove si trovano gli affreschi dell’Allegoria del Buono e del Cattivo Governo di Ambrogio Lorenzetti, dove l’asse del Buono e del Cattivo Governo è in dialettica con le Virtù e Vizi che si trovano nella stessa sala, le une di fronte agli altri.

Di fronte agli affreschi del Buongoverno e i suoi effetti, troviamo quelle del Cattivo Governo con al centro la tirannide e sopra i grandi vizi civili. Il primo è, non a caso, l’avarizia ai cui piedi troviamo la Giustizia pestata e umiliata con le mani legate. La giustizia vinta e soggiogata è legata con una corda tenuta da un solo individuo, mentre nell’affresco del Buon Governo la corda che lega il sovrano alla città è tenuta da tutti i cittadini insieme.

In latino fides oltre che fede e fiducia indica anche la corda della cetra, della lira, come a dire che la reciproca fiducia tra i cittadini detta l’armonia della convivenza civile, suscita una cittadinanza responsabile che si fa carico dei più deboli, di chi fa fatica e di chi è stato reso tale dall’ingiustizia e dall’avarizia degli altri.

L’incontro di Gesù con Zaccheo ci viene a dire che anche in economia, come nella vita civile e spirituale, vale il principio che non ci si salva da soli, ma attraverso l’azione comune legata anche alla circolazione virtuosa della ricchezza, una ricchezza liberata da ogni possesso avido e improduttivo.

Zaccheo non smette semplicemente di rubare, ma dona. Non promette che andrà più spesso al tempio a pregare o che aumenterà le sue devozioni, magari farà anche quello, ciò che conta è che incontrando Gesù ritrova il senso della comunità civile, diventa capace di giustizia e di onestà, si decide per una vita secondo la misura della statura di Dio.