VII DOPO PENTECOSTE - Gv 6, 59-69


(Gs 24, 1-2.15-27; Gv 6, 59-69)

Dopo la celebrazione solenne dell’alleanza sul Sinai con Mosè, la parola di Dio di oggi ci fa incontrare una seconda celebrazione dell’alleanza a distanza di qualche anno dalla prima, questa volta a Sichem, in Samaria, sotto la guida di Giosuè.

Giosuè è ormai vecchio, lui che sul confine della terra promessa, aveva preso il posto di Mosè non senza qualche incertezza. Deve esser stata dura succedere a uno che aveva avuto il coraggio di affrontare il faraone, a uno che aveva condotto un insieme eterogeneo di tribù fuori dall’Egitto fin dentro il deserto… e poi, come prendere il posto di uno che parlava con Dio e che da lui ha ricevuto la Torah?

Eppure Giosuè aveva brillantemente superato tutti i complessi di inferiorità che potevano paralizzarlo, anche lui aveva compiuto la sua pasqua attraversando il Giordano e dopo battaglie sanguinose e violente ora, avanzato negli anni, poteva riposare insieme con la sua gente. Certo rimaneva ancora molto territorio da conquistare, ma ad ogni tribù era stata assegnata la terra e si poteva stare un poco in pace.

È a questo punto che Giosuè convocò tutte le tribù, gli anziani, i capi, i giudici e gli scribi per l’ultima volta. Egli sapeva ed essi sapevano che questo sarebbe stato il loro ultimo incontro. Per dire cosa? Di aver cura della terra? Di restare uniti? Di essere buoni ebrei? Di proteggere la Torah? No, niente di tutto questo… egli dice loro di ricominciare tutto da capo ovvero di prendere una decisione. Di parlare chiaro e di decidere a chi affidarsi se a Dio o ad altri dei: sceglietevi oggi chi servire… quanto a me e alla mia casa serviremo il Signore!

Questo è sorprendente. Fare una scelta ora? Dopo l’esodo dall’Egitto, dopo la rivelazione sul Sinai, dopo i miracoli nel deserto, dopo le battaglie, le tragedie e tanti trionfi, Giosuè mette davanti la sua gente alla possibilità di chiudere il libro e di … ricominciare.

È un atto di incredibile audacia. Come ha potuto arrivare a scommettere e a rischiare tutto? Qui incontriamo un aspetto poco conosciuto della spiritualità ebraica biblica, perché diciamo sempre che Israele è il popolo eletto, è il popolo scelto… ma non dimentichiamo che è anche il popolo che sceglie. Anzi potremmo dire che oggi Giosuè pone il suo popolo davanti a una «seconda scelta».

Che è anche il senso dell’interrogativo posto da Gesù ai suoi nel cap. 6 di Gv dopo il discorso sul pane di vita: Volete andarvene anche voi? È la domanda rivolta a chi lo seguiva da qualche tempo e che rischia l’accomodamento, la pigrizia… perché non puoi andare dietro al Signore per inerzia. È come se Gesù chiedesse ai suoi una «seconda scelta».

Per noi la seconda scelta è un ripiego, un adattamento, non è mai il meglio! Un prodotto di seconda scelta, sappiamo che avrà qualche difetto, qualche ammaccatura, però conviene, costa meno, e di questi tempi … Nella vita cristiana invece, proprio quando siamo nelle condizioni di fare una seconda scelta, è il momento in cui possiamo dare il meglio della nostra risposta al Signore.

Nel senso che succede anche a noi quello che è successo ai discepoli della prima ora: forse ricordiamo precisamente quando da giovani abbiamo abbracciato il Vangelo con grande slancio e pieni di sogni! Con l’entusiasmo che ci faceva percepire quasi una corrispondenza tra la generosità propria al temperamento di quell’età e la parola del Cristo. Gli ideali di giustizia, di povertà, di amore … avevano preso il nostro cuore, ci sembrava di poter cambiare il mondo. D’altra parte, la pedagogia divina del Maestro ha contribuito anch’essa a mantenerci per un po’ in un’illusione provvisoria, senza la quale forse nessuno avrebbe il coraggio di lasciare tutto per seguire Gesù.

Poi, mano a mano che sono cresciute le responsabilità della vita e i nostri orizzonti si sono allargati, cercando di comprendere sempre più profondamente le cose della vita, del mondo, siamo entrati progressivamente in una fase nuova scoprendo, a nostre spese, che il Vangelo è… impossibile! E che forse non a caso il Signore parla sempre del regno di Dio che è già qui, ma che deve sempre venire…

In altre parole sperimentiamo che gli ideali di amore, di povertà, di giustizia, di perdono … tutto ciò supera le nostre forze, anzi ci rendiamo conto che sembra andare contro lo sviluppo naturale dei nostri istinti e della nostra personalità! E così con il passare del tempo e con la maturità dell’età si è sempre più nelle condizioni di fare compromessi tra le esigenze evangeliche dell’amore del Signore e quelle della nostra personalità di uomini adulti.

Non solo, ma ad esempio a proposito di amore, ti rendi conto che più avanzi nella vita più si va restringendo il numero di persone che ami. Per non parlare della giustizia nel mondo: diventi consapevole che non dipende solo dalla buona o cattiva volontà dell’individuo, ma che è schiacciata da sistemi e interessi economici e politici che ci sovrastano…

Che fare, allora? Come uscirne? Le vie d’uscita possibili sono tante, certamente le più diffuse sono da una parte quelle di scoraggiamento e di ripiegamento su di sé, dall’altra di adagiarsi in una rassegnata mediocrità.

Decidete voi, dice Giosuè ai suoi, da che parte stare, chi volete servire. Mi sembra gli faccia eco Gesù nel vangelo: Volete andarvene o continuate a seguirmi anche se avete capito che non cambio il mondo come probabilmente piacerebbe anche a me?

Ecco, siamo posti di fronte alla necessità di capire in che tappa siamo del nostro cammino, in questo grande esodo che è anche la nostra stessa vita e che possiamo rileggere appunto sulla falsariga della storia di Israele, perché quella non è storia passata, è storia che ci riguarda. Anche noi siamo tentati, come le tribù di Giosuè, di scoraggiarci e di lasciarci andare al pessimismo o di rassegnarci a convivere con gli idoli del posto.

Prima o poi giungiamo a questo snodo decisivo, tappa in cui deve effettuarsi ancora una volta la scelta tra Gesù o il mondo, tra il paradosso evangelico o la mediocrità, tra la croce o il dono di noi stessi, tra la santità o una normale religiosità.

Siamo nella condizione dell’alpinista che, inchiodato alla parete dopo averne percorsa già metà di slancio, è tentato o di guardare verso il basso con il rischio di staccarsene o di lamentarsi per la fatica e di non poter più avanzare … l’unica cosa che gli permette di arrivare alla mèta però è fissare il suo sguardo in alto.

È lì che ci attende il Signore perché possiamo deciderci ancora per il Vangelo, ma non più basandoci sul nostro entusiasmo, sulle nostre capacità e sulle nostre forze. E Dio doveva trovare il modo di farcelo capire.

Quando Pietro e noi con lui diciamo: Signore da chi andremo? intendiamo fissare il nostro sguardo sul Cristo, la cui vita coincide perfettamente con la giustizia, l’amore, la povertà e il perdono. In una parola dobbiamo morire con Gesù e rivivere con Lui. Tutta la vita cristiana consiste in questa morte e questa vita, ma noi non immaginavamo a quale prezzo si attuasse!

Se sapessimo ciò che Gesù attende da una tappa che non è un regresso come noi immaginiamo, ma una messa in atto delle condizioni per una nuova partenza di una vita secondo lo Spirito e la fede, allora potremo anche noi, come già a Sichem e a Cafarnao, fare la nostra «seconda scelta»: Solo tu Signore hai parole di vita eterna!