V DI PASQUA - Gv 13, 31b-35
Ciò di cui abbiamo sempre più bisogno è amare e essere amati. Lo dice la nostra vita, la nostra storia, come lo ricorda Gesù ai suoi nel Cenacolo, lo scrive Paolo ai cristiani di Corinto, così come lo racconta bene Luca nel fare una fotografia della prima comunità.
Eppure ci scontriamo sempre con il realismo che ci fa fare i conti con le resistenze all’amore. Come può accadere che se tutti vogliamo amare e essere amati, finiamo però per scannarci o tutt’al più a ignorarci e a far finta che l’altro non esista?
Paolo scrive ai cristiani di Corinto un testo affascinante che fa i conti con la dura realtà, così che l’amore non viene idealizzato, ma è colto nel suo dinamismo vitale. Infatti Paolo coglie la contraddizione della nostra condizione anzitutto descrivendo alcuni attributi dell’amore declinandoli in termini positivi: l’amore ha un cuore grande, è benevolo, è sincero, è tollerante, dà fiducia, infonde speranza, è paziente.
Insieme a queste caratteristiche positive, non può dimenticare di dire cosa non è amore: non è ambizioso, non è vanesio, non è narciso, non manca di rispetto, non è falso, non è irascibile, non è vendicativo, non gli piace l’ingiustizia… insomma sette caratteristiche per dire cos’è amore e otto per dire ciò che amore non è. Di conseguenza Paolo ci vuol dire che l’amore va scelto, va deciso sempre, non è una cosa spontanea. Ogni giorno dobbiamo scegliere se amare o meno.
Perché noi siamo fatti così siamo presi dall’amare e riusciamo anche delle cose straordinarie, ma siamo anche dipendenti dall’io che reclama tutto per sé, che rivendica i suoi bisogni, i suoi interessi.
Ora fin qui la storia del mondo è piena di queste contraddizioni, anzi è una storia di contraddizioni. Nella nostra umanità si contano gesti di un amore generoso, straordinario, esemplare… ma anche episodi di una durezza, di un’indifferenza tali da infierire sugli altri con violenze crudeli che nemmeno gli animali possono commettere.
Cosa dice Gesù, cosa fa la sua comunità, soprattutto? Perché di lui sappiamo che per amore ha subito l’ingiustizia, per amore ha donato la sua vita, per amore non si è tirato indietro, mai. Ma la sua chiesa, la comunità dei suoi discepoli?
Il libro degli Atti descrive una comunità, quella di Gerusalemme, che non nasce a tavolino, quale prodotto di un programma politico o di un progetto ideale. Le stesse persone che si erano chiuse nel Cenacolo, terrorizzate all’idea di fare la stessa fine di Gesù… passano dalla paura alla comunione. La moltitudine di coloro che erano diventi credenti aveva un cuore solo e un’anima sola.
La paura produce reazioni e gesti di difesa, di protezione, che possono diventare fuga dal pericolo o aggressione… dipende da tanti fattori. Quello che è certo è che la paura governa molte decisioni in ogni ambito della vita, sia personale che pubblico, sociale e politico. E di fatto ci isola, ci fa ripiegare su noi stessi, sulla nostra famiglia, nel nostro gruppo, sulla nostra nazione, nella nostra cultura, accrescendo le tensioni e le divisioni.
Cos’è accaduto affinché quel gruppo di uomini e donne che avevano seguito Gesù passassero dalla paura alla comunione, dalla chiusura all’amore vicendevole? Cosa li ha resi capaci di un amore che li ha portati a condividere ciò che possedevano? A guardare il ritratto della prima comunità di Gerusalemme, potremmo dire che libertà, uguaglianza e fraternità erano già realtà molto prima che la Rivoluzione francese ne facesse una bandiera.
Una comunione dei beni in grado di provvedere ai bisogni di tutti fu possibile prima ancora che il socialismo diventasse dottrina politica… appunto si tratta qui di qualcosa che non viene imposto dall’alto, ma di una decisione personale, infatti come Giuseppe Barnaba vendette il suo campo e il ricavato lo mise nella cassa comune, nel capitolo successivo, per contro, si racconta che la coppia Anania e Saffira finsero di dare tutto, in realtà si trattennero una parte, imbrogliando la comunità.
Ma se erano un cuore solo e un’anima sola come è potuto accadere che questa coppia imbrogliasse la comunità?
Anche la comunità cristiana non è esente dalle contraddizioni di un amore che va sempre scelto, va sempre deciso ogni giorno, ogni volta. Guardiamoci indietro e consideriamo nella nostra breve o lunga vita in quali situazioni abbiamo scelto di amare operando una decisione per l’amore e come quella decisione abbia fatto fiorire relazioni, persone che magari non credevamo possibili e quante volte invece abbiamo fatto prevalere qualcuna di quelle caratteristiche negative di cui ci ha parlato Paolo nella seconda lettura e siamo stati orgogliosamente ambiziosi, vanitosi…
È da lì che possiamo ricominciare se vogliamo essere un cuore solo e un’anima sola, non semplicemente con coloro che la pensano come noi, ma con tutti.
Charles de Foucauld, che oggi papa Francesco proclama santo, in una lettera del 3 maggio 1912, scriveva che la missione del cristiano è diventare ‘fratello universale’.
«Ogni cristiano deve guardare ogni essere umano come un fratello amato; se è peccatore, nemico di Dio, è un essere malato, molto malato; bisogna avere per lui una pietà profonda e rivolgergli cure fraterne come nei confronti di un fratello insensato… i non cristiani possono essere nemici di un cristiano, un cristiano è sempre un tenero amico di ogni uomo; egli ha per ogni uomo i sentimenti del Cuore di Gesù.
Farsi tutto a tutti per donare tutti a Gesù – avendo per tutti bontà e affetto fraterno, rendendo tutti i servizi possibili, prendendo contatti affettuosi, nell’essere un fratello tenero per tutti, per condurre poco a poco le anime a Gesù praticando la dolcezza di Gesù».
E poi concludeva con un invito che possiamo fare nostro, perché per giungere a questa consapevolezza di essere fratello universale, occorre
«Leggere e rileggere senza sosta il santo Vangelo per avere sempre in mente i gesti, le parole, i pensieri di Gesù, al fine di pensare, parlare, agire come Gesù, di seguire gli esempi e gli insegnamenti di Gesù e non gli esempi e i modi di fare del mondo, nei quali noi ricadiamo così velocemente nel momento in cui distogliamo gli occhi dal Divino Modello».
(At 4, 32-37; 1Cor 12,31-13,8; Gv 13, 31-35)