XXIII DEL TEMPO ORDINARIO - Mt 18, 15-20
(Ez 33, 1.7-9; Mt 18, 15-20)
C’è un’ immagine in cui possiamo rappresentare il messaggio della parola di Dio di questa domenica, ed è l’immagine che ci dona la prima lettura.
Ezechiele mentre vive la drammatica esperienza dell’assedio di Gerusalemme da parte dell’esercito babilonese (587) , osserva l’impegno delle sentinelle poste sulle mura della città: anche dal loro impegno e dalla loro capacità dipende la salvezza del popolo.
La sentinella durante l’assedio ha il compito di vegliare e di scrutare le mosse del nemico perché, se la sentinella si addormenta, si distrae, si lascia andare … non è solamente incoerente, inadatta, inaffidabile, non fa del male solo a se stessa, ma è causa di danno, di dolore, se non di morte, per la gente sulla quale dovrebbe vigilare!
Infatti la sentinella non esiste per se stessa: ha una missione di grande responsabilità. Ed è proprio nella notte della responsabilità che il profeta deve tenere viva la parola di Dio.
Così come la sentinella annuncia il pericolo imminente dell’attacco del nemico, analogamente il profeta è posto come sentinella che tiene viva la parola di Dio, perché il malvagio desista dalla sua condotta.
In che senso possiamo vedere la comunità cristiana come sentinella per la vita del mondo?
In primo luogo proprio perché la sentinella non esiste per se stessa, così ai cristiani non sta a cuore solamente la propria salvezza personale, ma sta a cuore anche la vita e la gioia di tutti, così come la sentinella vigila con responsabilità per il bene della città.
In secondo luogo, le poche righe del cap. 18 di Matteo ci indicano un modo in cui i cristiani possono essere sentinelle nella storia e ci annunciano uno degli aspetti per cui come discepoli del Signore, possiamo essere sentinelle per la notte della storia.
Il grido delle sentinelle cristiane nella storia è quello della riconciliazione e del perdono, a partire dal modo in cui ci si vuole bene tra cristiani!
Di fronte alle parole di Gesù evidentemente ci rendiamo conto di non essere capaci di vivere così. Anche nelle comunità cristiane, nella chiesa stessa, ci sono quelle esperienze che Matteo racconta nel cap. 18. Forse noi abbiamo in mente la descrizione della comunità cristiana fatta da Luca nel libro degli Atti degli Apostoli, quando descrivendo le prime comunità dei cristiani, diceva: Erano un cuore solo e un’anima sola … tutti si volevano bene e non mancava niente a nessuno …
Matteo nel cap cap.18 – che vi invito ad andare a rileggere – annuncia piuttosto che anche la comunità cristiana è una comunità umana che sperimenta tutte quelle debolezze e quei limiti di ogni insieme di persone.
In particolare Matteo nel cap. 18 mette in evidenza alcune ferite, più precisamente un triplice vulnus.
Anzitutto è una comunità quella di Matteo dove ci sono ambizioni, infatti il cap. 18 si inizia con la domanda dei discepoli: chi è il più grande tra di noi?. In ogni comunità c’è chi vuole contare di più, chi cerca attenzione e privilegi, anche nella Chiesa ci sono il carrierismo, le ambizioni di potere e non ci scandalizza che la fraternità ecclesiale sia attraversata da questa fragilità.
Poi c’è un’altra ferita, quella della perdita numerica. Nel gregge di cento, c’è una pecora che si perde e che occorre tentare con ogni sforzo di recuperare, anche se non è detto che ci si riesca. “Se gli riesce di trovarla” dice con molto realismo al v. 13. Anche nella comunità cristiana c’è chi si tira indietro, chi decide di chiamarsi fuori …
Infine c’è ancora un’altra ferita nella comunità ed è quella dell’incomprensione, a volte addirittura dell’offesa, come dice il testo di oggi: se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te! Non è affatto impossibile che anche tra cristiani ci si offenda, ci si tratti male.
Dunque quella che Matteo delinea non è una comunità esemplare e tanto meno ideale, è piuttosto una fraternità segnata da quelle stesse ferite che si incontrano in ogni comunità umana.
Ma Matteo non ci dà solo una visione disincantata della comunità, la comunità non è solo caratterizzata da questi limiti, ma – ecco la logica evangelica – si edifica a partire da essi.
La comunità cristiana non nasce da un progetto ideale, che copre con ipocrisia le difficoltà o si illude di poterle eliminare, ma passa attraverso di esse, anzi, le mette al centro, come fa Gesù ponendo al centro un bambino, ovvero il fratello più piccolo, nel senso di più fragile. Se leggiamo attentamente tutto il cap.18 di Matteo, notiamo con sorpresa che al centro e a fondamento della comunità non ci sono tanto dei valori, quanto delle ferite che vengono però assunte e curate.
Vivendo in questa logica evangelica, potremmo dire più precisamente “pasquale”, per cui non vengono nascoste le difficoltà, ma vengono assunte e curate, che come dice Gesù avrai guadagnato il tuo fratello” (v. 15).
Curioso questo verbo: guadagnare il fratello.
Ogni guadagno è connesso e implica una perdita, perché ogni guadagno presuppone che si debba spendere qualcosa.
La logica pasquale esige soprattutto che ci domandiamo fino a che punto io sono disposto a spendere me stesso, che cosa sono disposto a perdere.
Anche nelle relazioni comunitarie il guadagnare il fratello impone la disponibilità a una perdita, a un rinnegamento di sé, che può assumere forme diverse.
In ogni caso è importante, anche per una maturità spirituale da acquisire, questa consapevolezza: il fratello e la fraternità vengono guadagnati attraverso la dinamica pasquale della perdita e del rinnegamento di se stessi.
Pensiamo alle nostre esperienze in famiglia, nella coppia, tra amici, nella comunità cristiana: il perdono è una responsabilità storica del discepolo del Signore di fronte al mondo. Un perdono da costruire con misericordia e gradualità.
Ma non è detto che questo sempre riesca: puoi anche cercare il dialogo, puoi anche cercare la riconciliazione, l’altro tuttavia può continuare ad essere ostile e a rifiutare la tua disponibilità … a questo punto il vangelo ci sorprende, perché afferma che quand’anche si dovessero chiudere tutte le porte del perdono, della riconciliazione e anche la strada della gradualità, c’è una porta che rimane sempre aperta: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa il Padre mio gliela concederà. C’è dunque una cosa che si può e si deve sempre fare: pregare.
Matteo sembra avvertire la sua comunità che non occorre solo aver tentato tutte le strade possibili con il fratello che sbaglia: occorre soprattutto aver pregato insieme per lui.
È questo il nostro modo di essere sentinelle in un mondo la cui notte di violenza e di odio sembra non finire mai. Ed è per questo che ora preghiamo insieme e ciascuno di noi penso avrà tanti buoni motivi per farlo.