II DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Gv 5, 19-24
La relazione di Gesù col Padre è il cuore della pagina di Vangelo che abbiamo ascoltato (Gv 5, 19-24) e che a prima vista appare un po’ difficile, come sempre capita a un passo quando viene estrapolato dal suo contesto vitale.
Come a tutti gli organismi viventi, succede anche alla parola di Dio: se non è in relazione col suo contesto rimane sterile, non dice niente, diventa inaccessibile, astrusa, e ancor peggio, si presta a manipolazioni e interpretazioni devianti, mortifere.
È appunto la relazione il tema, perché tutto è relazione, tutto è relativo a ciò con cui si vive. Così Gesù parla di sé e del suo rapporto, della sua relazione col Padre e lo fa col vocabolario di un qualunque figlio del suo tempo, cioè partendo dalla metafora del padre che insegna al figlio il suo mestiere.
Se andiamo a leggere il cap. 5 ci rendiamo conto che sia il verbo “fare” che il nome “Padre” ricorrono sette volte. Il fare del Padre viene trasmesso al Figlio, così come, succedeva allora in Israele, e forse ancora oggi in qualche parte del mondo, un genitore insegnava il suo stesso lavoro al proprio figlio.
Il lavoro, il mestiere era in genere appunto appreso in famiglia. Così l’artigiano trasmetteva al figlio la sua arte e lo faceva certo come segno di fiducia e di affetto, ma anche come scuola di vita e per la vita, in vista della sua autonomia: in fondo il figlio imparava a sostenersi ed era reso capace a sua volta di mettere su famiglia.
Se il figlio era intelligente anzitutto si dedicava molto ad osservare ciò che il padre faceva e come lo faceva… perché è vero in qualche modo “il mestiere si ruba”, dove rubare ovviamente sta per la capacità di apprendere attraverso l’osservazione di ciò che un altro va facendo con esperienza e competenza e che nonostante siamo una civiltà tecnologicamente avanzata, per certi aspetti, è vero ancora oggi.
Gesù quando afferma: Il figlio da sé stesso non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa lo fa allo stesso modo… ci parla della sua relazione col Padre nella quale lui ha imparato a fare quello che il Padre fa, quindi ci introduce in una relazione vitale che cura e guarisce perché, come dice Gesù, chi ascolta la mia parola è passato dalla morte alla vita (v.24). Se non è una relazione che guarisce questa! È la guarigione più grande, quella più impensata: passare dalla morte alla vita.
Non so se avete seguito le catechesi del mercoledì di papa Francesco, vi suggerisco di andare a leggere il ciclo di queste ultime udienze cui ha dato il titolo suggestivo: Guarire il mondo. L’interrogativo da cui prende l’abbrivio papa Francesco è proprio questo: in che modo possiamo aiutare a guarire il nostro mondo, oggi?
Vivendo la nostra relazione con Gesù e attraverso Gesù entriamo in relazione col Padre, così che anche noi possiamo imparare il mestiere del Padre come lo ha insegnato Gesù e che è quello di curare, di guarire, di prendersi cura delle malattie del mondo.
Non stiamo a fare l’elenco dei mali del mondo, ma anche solo osservando la pandemia ci rendiamo conto di come stia continuando a causare ferite profonde, di come vada smascherando le nostre vulnerabilità, di come vada mettendo in evidenza le strutture ingiuste e le pratiche distruttive che ci separano gli uni dagli altri e che minacciano la famiglia umana e il nostro pianeta.
«La pandemia ha messo in risalto quanto siamo tutti vulnerabili e interconnessi. Se non ci prendiamo cura l’uno dell’altro, a partire dagli ultimi, da coloro che sono maggiormente colpiti, incluso il creato, non possiamo guarire il mondo» (Papa Francesco).
Perché è vero che noi esistiamo solo attraverso le nostre relazioni: con il Padre, con Gesù, con gli altri, fratelli e sorelle in umanità, e con tutte le creature che abitano la nostra stessa casa comune.
Scriveva nella Laudato si’: «Tutto è relazione, e tutti noi esseri umani siamo uniti come fratelli e sorelle nel meraviglioso pellegrinaggio, legati dall’amore che Dio ha per ciascuna delle sue creature e che ci unisce anche tra noi, con tenero affetto, al fratello sole, alla sorella luna, al fratello fiume e alla madre terra» (n.92).
Eppure proprio queste relazioni, questo sistema relazione che è vitale, è assai fragile e infatti le nostre relazioni si ammalano per i più svariati motivi: la mancanza di comunicazione, le invidie, le gelosie, le rivalità… ci sono anche malattie – come quelle che riguardano il nostro rapporto con il creato – che sono ormai croniche e per le quali si rendono necessarie cure urgenti e tempestive.
Ogni anno, a partire dalla pubblicazione della Laudato si’ (2015), il periodo che va dal primo di settembre al 4 ottobre, festa di san Francesco d’Assisi, segna per tutti i cristiani il tempo per la preghiera e la cura del creato.
Oggi è urgente per noi cristiani continuare il lavoro del Padre nel costruire una relazione con il Creato che sia di vita e non di morte. Siamo vicini a superare molti dei limiti del nostro meraviglioso pianeta, con conseguenze gravi e irreversibili: dalla perdita della biodiversità e dal cambiamento climatico fino all’aumento del livello dei mari e alla distruzione delle foreste tropicali.
Dobbiamo prendere consapevolezza che il degrado ambientale e le disuguaglianze sociali vanno di pari passo e hanno la stessa radice, vale a dire quella di una relazione malata perché volta a possedere sempre di più, volta a dominare la natura, ad accaparrare per sé stessi le risorse… ma questo non è il mestiere del Padre.
Dobbiamo ristabilire una relazione responsabile (LS 67) tra noi e il creato, una relazione di reciprocità responsabile: veniamo al mondo in un mondo che già c’è e lo troviamo bell’e fatto, e che siamo chiamati a consegnare a chi viene dopo di noi e in questo senso siamo in qualche modo amministratori dei beni, non siamo padroni. Amministratori.
Papa Francesco in questo ciclo di catechesi tocca il tema della proprietà privata, perché è vero che uno dice: quel bene è mio, ma è tuo per amministrarlo, non per averlo egoisticamente solo per te. E ribadisce ciò che è caro alla dottrina sociale della chiesa nell’affermare la subordinazione della proprietà privata alla destinazione universale dei beni (LS 93), che è una regola d’oro del comportamento sociale, il primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale.
Le proprietà, il denaro… sono mezzi e strumenti che spesso diventano facilmente il fine e lo scopo di una vita o addirittura di una società, di una cultura. Quando questo succede, vengono intaccate le relazioni fondamentali e l’homo sapiens diventa l’homo œconomicus, in senso deteriore perché si fa individualista, calcolatore, sfruttatore e dominatore. Mentre di fatto abbiamo la grande responsabilità di essere gli esseri più cooperativi tra tutte le specie, siamo esseri sociali, creativi, solidali.
Non siamo soli, come condannati a un’irrefrenabile corsa verso il di più nella quale gli altri sono sempre antagonisti, rivali… anzi prima di un cambiamento di stile di vita e di comportamento, si rende necessario un cambio di paradigma mentale che riguarda appunto il saperci immersi in profonde relazioni con Dio, con il mondo, con gli altri, con il creato perché tutto è relazione.
La sapienza orientale ci consegna questo racconto in cui un maestro presentando una ciotola chiede al monaco: “Tra gli elementi interconnessi che hanno fatto sì che la ciotola esista, vedi l’acqua?”
“Certo, maestro. Il vasaio ha avuto bisogno di acqua per impastare l’argilla e modellare la ciotola”.
“Dunque l’esistenza della ciotola dipende dall’esistenza dell’acqua. Inoltre, vedi il fuoco?”
“Certo, maestro. È stato necessario il fuoco per cuocere l’argilla, dunque vedo in essa fuoco e calore”.
“Che altro vedi?”
“Vedo aria, senza la quale il fuoco non si sarebbe acceso e il vasaio non avrebbe respirato. Vedo il vasaio e l’abilità delle sue mani. Vedo la sua coscienza. Vedo il forno e la legna che l’ha alimentato. Vedo gli alberi che hanno fornito la legna. Vedo la pioggia, il sole e la terra che hanno fatto crescere gli alberi. Maestro, vedo migliaia di elementi interconnessi che hanno concorso alla formazione di questa ciotola”.
“Contemplando questa ciotola si vedono in essa gli elementi interdipendenti che le hanno dato origine. Se tu togliessi il calore per restituirlo al sole, se restituissi l’argilla alla terra, l’acqua al fiume, il vasaio ai genitori e la legna alla foresta, esisterebbe ancora la ciotola?”.
“No, maestro. Restituendo alla loro origine gli elementi che hanno concorso alla formazione della ciotola, questa non esisterebbe più”[1].
Chiediamo al Signore di poter avere un poco più di attenzione e di cura per imparare nella relazione con lui il mestiere del Padre che è guarire il mondo.
[1] Cfr Chandra Livia Candiani, Il silenzio è cosa viva, Einaudi.