VIII DOPO PENTECOSTE - Mc 10, 35-45


Quello dei giudici è un periodo della storia biblica poco conosciuto, forse alla nostra memoria si affacciano sbiaditi ricordi di Gedeone, Debora o del più famoso Sansone…, eppure è stato un periodo di circa duecento anni che ha segnato un passaggio importante nella vita delle dodici tribù di Israele che avevano avuto con Mosè prima e con Giosuè poi, dei capi indiscussi, ma che col venire meno delle loro figure e del loro carisma, rischiavano la frammentazione e la divisione.

Alcune tribù desideravano organizzarsi come monarchia alla stregua degli altri popoli, altre tribù resistevano a questa idea perchè pensavano che avere un re fosse una mancanza di fede nell’unico considerato tale, il Dio che li aveva liberati.

In questo contesto di transizione l’Eterno suscita nel popolo la figura dei «giudici»: non sono giudici che emettono sentenze come quelli dei nostri tribunali, ma dei veri e propri capi che hanno non solo una funzione organizzativa, pratica di gestione e regolamentazione della vita, ma come dice la prima lettura: « il Signore fece sorgere dei giudici che li salvavano».

C’è una salvezza dai nemici, dalle continue battaglie che segnano questo periodo, ma c’è anche una salvezza che sta a cuore ai Giudici: la salvezza dall’idolatria.

Ecco il compito principale di queste sentinelle: vigilare sulla fedeltà della loro gente nei confronti di Dio, perchè l’inserirsi in un territorio nuovo e l’incontro con altre popolazioni e perciò stesso con altre tradizioni, culture e religioni non avesse a distogliere il popolo dal perseverare nella parola che il Signore aveva dato a Mosè e non avessero a cedere ad altri culti pagani con tutto quello che ne conseguiva.

I Giudici sono un tentativo di difesa da un pericolo che sarà sempre molto avvertito nel popolo eletto, quello di perdere la propria specificità, la propria identità e di confondersi con gli altri popoli, di adottare le loro divinità e di conseguenza i loro costumi.

Ma i Giudici appunto sono un tentativo di difesa da questo rischio, infatti, constata amaramente la prima lettura: «neppure ai loro giudici davano ascolto, anzi si prostituivano ad altri dei e si prostravano davanti a loro… abbandonarono ben presto la via seguita dai loro padri…».

Il linguaggio è chiaro, cedere all’idolatria è come prostituirsi: si prostituirono ad altri dei, servirono i Baal, servirono Astarte…

La prostituzione è l’altro nome dell’idolatria: prostituirsi a Baal, il dio maschile del potere (associato nella mitologia greca al nome di «Kronos» divinità che tutto divora, poi «Saturno» dai Romani) e ad Astarte la dea femminile dell’amore e della fertilità (Venere)… significa prostituirsi a ciò per cui l’uomo è da sempre disposto a vendere il proprio cuore.

Per noi prostituzione è qualcosa di privato che riguarda il sesso, un atteggiamento della vita personale per cui uno può frequentare prostitute o prostituirsi e poi apparentemente condurre una che vita si potrebbe dire normale; uno può vendere il proprio corpo, ma poi apparire persona ineccepibile.

Non solo, ma in questo nostro occidente che qualcuno, e in parte lo condivido, ha definito come sotto un regime di «videocrazia», la convivenza civile è dominata dal potere dell’immagine e anche la prostituzione ha assunto un carattere sempre più pervasivo e sofisticato così che abbiamo cuori e menti venduti al dio dell’apparire, dell’immagine, dell’esibizione, della prestazione!

E non ci deve meravigliare l’aumento delle dipendenze dalle droghe, dal gioco d’azzardo, dal denaro facile…

Secondo la Scrittura infatti la prostituzione del corpo è solo un aspetto della più profonda prostituzione del cuore e del suo asservimento a un qualche padrone, sia esso il denaro, il potere, l’apparire.

Lungi da me voler ergermi a giudice moralizzatore contro il malcostume: sappiamo come Gesù abbia avuto sempre un approccio di grande tenerezza nei confronti di quelle donne, di quelle giovani vite che, stanche di essere considerate solo per il loro sesso, cercavano di cambiare, di ritrovare se stesse e delle vere relazioni.

Mai Gesù però ha avuto parole esitanti nei confronti degli ipocriti, maschi soprattutto, che si atteggiavano a benpensanti, che come oggi esibiscono la loro dabbenaggine, ma nel cuore sono dipendenti dagli idoli del potere, del denaro e dell’apparire e si servono degli altri per i propri capricci e interessi.

Quando Giacomo e Giovanni, nel vangelo di Marco, hanno la sfacciataggine di rivolgersi a Gesù dicendo: «Maestro vogliamo che tu faccia per noi quello che chiederemo», proprio loro che hanno deciso di stare con il Signore, dimostrano di avere un cuore a rischio di prostituzione, ancora non hanno un cuore puro, dentro di loro si annida subdola l’idolatria del successo, della gloria… al punto che anche la preghiera è al servizio di se stessi: Maestro, ti domandiamo di fare quello che ti chiediamo noi!

Certo, la richiesta ci appare comprensibile, se non giustificabile: chi di noi non vorrebbe sedersi accanto al Signore? magari non proprio a destra e a sinistra, ma appena qualche posto più in là, più che volentieri!

Il problema è cosa significhi sedersi al fianco del Cristo?

Per i discepoli che ancora non hanno purificato il cuore nella Pasqua di Gesù, le aspettative sono quelle delle corti principesche, dei privilegi, del prestigio… sedersi al fianco di Cristo è come sedersi a fianco dell’imperatore, del sovrano e partecipare così al suo status symbol.

Gesù dice: no, almeno tra voi che state con me non sia così, perchè il mio trono è la croce. Non perchè dobbiamo cercare la sofferenza a tutti i costi, ma perchè la croce è il segno per eccellenza dell’amore, di una vita donata, per la quale occorre bere il calice amaro di perdere se stessi, come ha fatto lui infatti «il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita».

Gesù è il vero antidoto all’idolatria e alla prostituzione: non sono venuto per essere servito, ma per servire e dare la vita.

Questa parola sarà ripresa nell’ultima cena: il «dare la vita» è quello che Gesù esprime nel mistero del pane dato e del vino versato.

Ogni volta che celebriamo l’eucaristia e che «facciamo la comunione» (che linguaggio orribile per esprimere il mistero!) diciamo le parole di Cristo: questo è il mio corpo, il mio sangue dato per voi.

L’idolatra dice: «prendo il tuo corpo per me! Mi servo di te per esporre il mio potere…». Questa è prostituzione, è idolatria, diremmo oggi dipendenza dal proprio ego.

Gesù afferma: «Mi dono a te. Anche quando tutti scappano, fanno i furbi o pensano di cavarsela, addirittura arrivano a tradire, io dono la mia vita perchè questo è il modo di fare di Dio ed è per questo che l’Eterno mi ha mandato perchè anche tu faccia così, perchè anche voi miei discepoli non abbiate a prostituire la vostra vita inseguendo gli idoli della videocrazia, perchè la vostra vita deve diventare un capolavoro d’amore!».

In questo senso Gesù conduce a pienezza la missione che avevano iniziato i Giudici.

Rimane per noi un mistero questo modo di essere del Signore e non penso che lo abbiamo compreso fino in fondo e tanto meno che riusciamo a metterlo in pratica coerentemente, ma almeno la nostra preghiera sia libera da ogni prostituzione con l’inganno e la falsità, ci sia dato dalla misericordia di Dio di avere solo lui come Signore, di avere un cuore puro.

(Gdc 2, 6-17; 1Ts 2, 1-2.4-12); Mc 10, 35-45)