DOMENICA DELLA DEDICAZIONE DEL DUOMO DI MILANO, CHIESA MADRE DI TUTTI I FEDELI AMBROSIANI - Mt 21, 10-17


Il brano di vangelo che abbiamo ascoltato viene spesso citato come esempio in cui anche Gesù, così normalmente paziente e buono, invece perde la pazienza e si scaglia con fare un poco violento contro coloro che avevano fatto del tempio di Gerusalemme un luogo per guadagnare qualche soldo: scacciò tutti quelli che vendevano e compravano ; rovesciò i tavoli e le sedie dei venditori…

Ed è una prima lettura che ci sta, ma sembra più giustificare certi nostri pruriti di voler fare pulizia… ma sempre in casa d’altri, mai nella nostra! La portata del gesto di Gesù va compresa piuttosto insieme alle sue parole che spiegano appunto il significato e che attingono a due grandi profeti e precisamente nella prima riga cita Isaia dove Dio parla del tempio come la mia casa di preghiera (56,7) e nella seconda riga cita Geremia, dove sempre l’Eterno si rivolge agli abitanti di Gerusalemme dicendo loro: forse per voi è un covo di ladri questo tempio? (7,11).

Quindi Gesù citando due profeti a supporto del suo gesto che deve aver colto di sorpresa la gente che gli stava intorno, dà una indicazione precisa sia di quanto va compiendo, ma offre anche una indicazione precisa di se stesso, della sua persona. Non caso la gente, sono i primi versetti di oggi, va dicendo: questi è il profeta Gesù, da Nazaret di Galilea!

Il gesto di Gesù è visto come il gesto di un profeta, vale a dire come una cosa che non doveva essere fatta, ma siccome a farla era un profeta, la cosa era possibile.

Che cosa significa che Gesù compie un gesto profetico? Io lo reinterpreto proprio a partire da due fatti che abbiamo registrato in queste settimane.

Il primo è stato l’ingresso del nostro nuovo vescovo. Celebrare la festa della dedicazione della chiesa cattedrale è anche ricordarci che lì sta la cattedra, ovvero il segno della successione apostolica che garantisce la continuità della chiesa da Gesù, attraverso gli apostoli fino a noi.

Nel suo ingresso, le prime parole con cui il vescovo Mario ha dato inizio al suo ministero, sono state: «Fratelli, sorelle! Permettetemi di rivolgermi a tutti così, chiamandovi fratelli, sorelle, “parola tremante nella notte/ Foglia appena nata/ Nell’aria spasimante/ involontaria rivolta/ dell’uomo presente alla sua/ fragilità/ Fratelli» che è una poesia del grande Giuseppe Ungaretti.

Continuava poi il vescovo: Fratelli, sorelle: non è per pretendere una familiarità, piuttosto per offrire una intenzione di frequentazione quotidiana, di disponibilità ordinaria, di premurosa, discreta trepidazione per il destino di tutti. Fratelli, sorelle!

Non che io intenda rinunciare alla mia responsabilità di esercitare in mezzo a voi un magistero, non che io intenda sottrarmi alle fatiche del governo. Piuttosto esprimo il proposito di praticare uno stile di fraternità, che, prima della differenza dei ruoli, considera la comune condizione dell’esser figli dell’unico Padre: “fratelli, sorelle!”».

Mi ha piacevolmente sorpreso questo richiamo alla fraternità, tema quanto mai attuale in un tempo in cui sembra che in piazza ci sia solo Caino. Tornare a dare un senso a queste parole, spesso tacciate di ipocrisia, perché non è come dentro le chiese che tanto quanto ci si dice fratelli e sorelle, altrettanto sono luogo di chiacchiere inutili, pettegolezzi, giudizi spietati… altro che fratelli e sorelle!

La cosa sorprendente è che una settimana dopo queste parole del nostro arcivescovo, in un’altra cattedrale, a Bologna, nel Duomo di san Petronio, in occasione della visita di Papa Francesco, il vescovo ha allestito una mensa per migliaia di poveri perché pranzassero con il Papa.

Disse papa Francesco: «Che gioia vederci in tanti in questa casa! È proprio come la casa di nostra Madre, la casa della misericordia, la Chiesa che tutti accoglie, specialmente quanti hanno bisogno di un posto.

Siete al centro di questa casa. La Chiesa vi vuole al centro. Non prepara un posto qualsiasi o diverso: al centro e assieme. La Chiesa è di tutti, particolarmente dei poveri. Siamo tutti degli invitati, solo per grazia. È un mistero di amore gratuito di Dio che ci vuole suoi, qui, non per merito, ma per suo amore».

Forse avete registrato l’eco della polemica velenosa e acida che ha fatto seguito a questa iniziativa e che è arrivata a parlare di profanazione del tempio!

La risposta più bella a queste deliranti accuse è nel vangelo di oggi. Gesù dal tempio non scaccia i poveri, scaccia coloro che curano solo i propri interessi.

Questa è la chiesa, questa è la cattedrale: luogo di preghiera, di ascolto della Parola e dell’Eucaristia in comunione col Vescovo, ma anche luogo che traduce concretamente quello che fece Gesù nel tempio: scacciò coloro che curavano la propria vanagloria, le proprie trame di potere, e accolse subito dopo, come leggiamo con attenzione coloro che gli si avvicinarono nel tempio, vale a dire: ciechi, storpi… ed egli li guarì.

In parrocchia è conservata la prima pagina della domenica del Corriere di fine agosto del 1943, nel bel mezzo della seconda guerra mondiale, una prima pagina che illustra come tra i banchi di questa chiesa vennero accolte le famiglie di sfollati, di chi aveva perso la casa sotto i bombardamenti…

Ed è meravigliosa una chiesa così, questa non è profanazione, come molti cultori del sacro hanno gridato in questi giorni, ma è il segno concreto, certo eccezionale, che quell’invito con cui il nuovo arcivescovo ha iniziato il suo ministero, fratelli e sorelle, non sono parole vuote, retoriche, stantie.

Che il tempio possa diventare ospitale per i poveri è un criterio di autenticità, e questo va di pari passo con le parole che Gesù attinge al profeta Isaia, quando dice: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera.

Ci sembra la cosa più ovvia, se noi siamo qui a celebrare l’eucaristia è in coerenza con queste parole profetiche, ma qual è la profezia in questo? Ci pare appunto scontato che qui si venga a pregare, anche da soli, quando passando davanti alla chiesa, riusciamo a ritagliarci un angolo di silenzio e di apertura del nostro cuore e della nostra mente al Signore. Dove sta la profezia?

Non credo vi sia sfuggito il fatto di quel milione di fedeli, anziani e giovani, gente di campagna e abitanti di città, che sabato scorso si sono riuniti in preghiera col rosario lungo tutti i tremilacinquecento chilometri dei confini della Polonia, giustificandolo così: Preghiamo per la pace e per salvare la Patria e il resto d’Europa dalla secolarizzazione e soprattutto dall’islamizzazione!

E notare che se è vero che la Polonia ha accolto migliaia di ucraini in fuga dalla guerra, manodopera low cost, in realtà non ha mai accolto nessun profugo musulmano.

Ciò che ci interroga è questo modo di pregare, è domandarci se la preghiera, quella preghiera, sia cristiana.

Il Rosario è una preghiera bellissima, ma possibile che i vescovi non hanno previsto né hanno capito che poteva essere usato come un’ arma ideologica dalla propaganda del governo? O piuttosto, cosa ancora più terribile, ne sono convinti e ne sono stati ferventi sostenitori? In Polonia quasi ogni giorno la gente manifesta in maniera organizzata contro leggi e decisioni come la recente riforma della scuola e dei testi scolastici dai quali oltre a Darwin è stato fatto sparire anche Lech Walesa e l’esperienza di Solidarnosc.

Dovremmo ricordare loro queste parole: «La cattolicità non si manifesta solamente nella comunione fraterna dei battezzati, ma si esprime anche nell’ospitalità assicurata allo straniero, quale che sia la sua appartenenza religiosa». Chi mai sarà stato il «prete rosso» che ha osato dire queste parole? Karol Wojtyla. Il Papa polacco acerrimo avversario del comunismo, che con l’appoggio a Solidarnosc ebbe un ruolo determinante nel crollo del socialismo reale.

Quei cattolici integralisti che giorni fa, nell’anniversario della battaglia di Lepanto, hanno detto il rosario contro gli immigrati, in particolare islamici (compresi i siriani in fuga dalla ferocia di Assad e dai tagliagole dell’Isis), fingono di ignorare che il «loro» Papa non mollò mai su certi principi. Mai. Primo: il dovere cristiano dell’accoglienza.

Per questo non si può pregare «contro» qualcuno! Come si può anche solo pensare di piegare Dio, Padre della vita e di ciascuno di noi, di ogni essere umano, ai propri disgustosi interessi di parte? Non è una bestemmia?

Oggi Gesù tornerebbe con la stessa carica profetica a sparigliare le fila non dei non credenti, ma di quei super credenti che fanno della religione uno strumento per biechi interessi politici, razzisti e carichi di odio.

Allora, quando ci capita di passeggiare in piazza Duomo e davanti alla bellezza della nostra cattedrale rimaniamo stupiti e meravigliati per tutto quello che rappresenta, per la storia che esprime, per la solennità della sua consistenza, facciamo due cose: anzitutto seguiamo lo slancio delle sue guglie che sfiorano il cielo come a guidare il nostro sguardo dalla convulsa vita della città, a quella dimensione spirituale che apre il cuore non tanto a “dire le preghiere”, ma a farsi preghiera, a farsi grido, invocazione, a diventare uno sguardo grato e contemplativo.

E poi possiamo fare una seconda cosa: osserviamo le pietre, i blocchi di marmo di Candoglia che appoggiano saldamente a terra e che sono legati gli uni agli altri come a ricordarci il legame, il vincolo di quella fraternità che costituisce il saldo fondamento della nostra convivenza umana.

Proprio quelle pietre sono la profezia di Vangelo per la nostra vita, per la vita dell’umanità: se unite reggono e si aprono al cielo e si slanciano come le guglie, se divise sono destinate a diventare macerie, un vero e proprio disastro.

(Mt 21, 10-17)