VIII DOPO PENTECOSTE - Mt 4, 18-22
(1Sam 3, 1-20; Mt 4, 18-20)
È curiosa l’affermazione che viene fatta al primo versetto il libro di Samuele, quando si dice che «la parola di Dio era rara in quei giorni» (3,1). Cosa significa che la parola di Dio era rara? Non vuol dire che Dio improvvisamente si è fatto silenzioso, piuttosto afferma che non c’è chi lo ascolti. E non si tratta semplicemente di ascoltare, ma di obbedire con la vita.
C’è un primo livello in cui questo avviene e lo comprendiamo dall’annuncio che Samuele riceve: la casa di Eli verrà distrutta perché il sacerdote Eli sapeva che i suoi figli erano corrotti e perversi, disonoravano Dio e lui non li ha ammoniti (v.13). Eli era un buon sacerdote, ma debole nei confronti dei suoi figli, i quali appunto non ascoltavano la parola di Dio, non le obbedivano con la vita.
Ad un secondo livello la percezione che la parola di Dio fosse rara in quei giorni viene anche dal contesto più ampio della storia di Israele. Domenica scorsa abbiamo visto l’azione di Giosuè, condottiero e conquistatore della terra, ma alla sua morte non fu affatto semplice organizzare e mettere d’accordo dodici tribù. Abituati a un capo che in nome di Dio sapeva indicare la strada, venendo meno la guida carismatica, la confusione e la dispersione erano un fatto grave, davvero sembrava che Dio non avesse più niente da dire.
Allora si tenta per qualche decina d’anni di organizzare la vita civile con la figura dei «giudici», ma ben presto si comprende che se questa poteva essere una soluzione in grado di reggere le inevitabili questioni interne, non era così per quanto riguarda i rapporti e i conflitti con l’esterno, con gli altri popoli. La pace e la giustizia non si potevano più assicurare con accordi tra clan e tribù. Israele aveva bisogno di una monarchia, ma prima che Israele accettasse l’idea di darsi un re alla pari degli altri popoli ecco che entra in scena la figura di Samuele[1], un ragazzo che avrà una missione difficile sia perché si trova a profetizzare in un contesto di corruzione e di degrado, sia perché non è un condottiero militare, suo compito sarà quello di radunare Israele, di dargli coraggio e portarlo alla coscienza della sua unità: creando così le premesse per una rinascita morale e anche politica. Samuele è uno strumento di unità per il popolo. E farà questa unità secondo due direttrici principali.
Anzitutto è un uomo che ascolta la parola di Dio, è cresciuto al tempio e ha imparato a pregare. Tutta la sua azione è tesa a capire cosa Dio voglia per poi farlo sentire al suo popolo, così in lui il popolo ritrova se stesso, capisce meglio di sé, intende la vocazione di libertà e di dignità alla quale è stato chiamato da Dio fin dal Sinai.
In secondo luogo Samuele è anche l’uomo della transizione tra l’epoca dei Giudici e la monarchia. Certo se noi dovessimo domandare a Samuele se lui volesse dare un re al popolo, egli risponderebbe chiaramente di no. Non sentiva in questo modo l’unità d’Israele, ma la concepiva come una unità religiosa e di fratellanza. Evidentemente tutti in Israele ai tempi di Samuele erano chiamati a prendere coscienza della loro unità e fratellanza. Però è solo Samuele che incarna questa coscienza di Israele di fronte a Dio. La sua missione è per tutti, tutti si riconoscono in lui e sentono che egli adempie la sua chiamata fedelmente e senza cercare nulla per sé. Le circostanze lo conducono ad essere l’uomo della transizione che ungerà addirittura due re: prima Saul e poi Davide. E così dopo aver servito con assoluto disinteresse la parola di Dio, Samuele uscirà di scena senza grandi successi personali, per lasciare il posto alla figura di Davide.
Potremmo dire che Samuele, che pure è uno di quei pochi personaggi biblici di cui ci viene narrata la nascita e l’infanzia, questo per sottolineare la sua importanza agli occhi di Dio e del popolo, tuttavia la sua è la tipica vocazione inserita nella complessità della storia della salvezza in cui l’uomo compie la parola di Dio e poi cede il passo all’opera di Dio che continua con altri.
Quando nel vangelo ascoltiamo la chiamata di Gesù dei primi quattro discepoli, due coppie di fratelli: Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, non possiamo non ascoltarla con un orecchio alla chiamata di Samuele.
Notiamo subito alcune differenze significative: non siamo più al tempio, ma siamo sulle rive del lago; non conosciamo la nascita né l’infanzia di questi uomini che segneranno la storia dietro a Cristo, sappiamo solo che sono pescatori e che stanno lavorando.
Notiamo anche la sollecitudine con cui rispondono alla parola di Gesù, non se lo fanno ripetere tre volte come ha fatto Samuele, ma «subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono».
Che cosa ha da dire a noi questa parola di Dio? Cosa c’entra con noi tutta questa storia di chiamate? Ecco vedete spostando su altri la domanda succede anche a noi come al tempo di Samuele che la parola di Dio era rara in quei giorni, ma certo che è rara perché non la sentiamo per noi e pensiamo che questa cosa riguardi i preti e i vescovi, mettiamoci anche le suore che non guasta… ma comunque riguarda gli altri non noi.
Le differenze che abbiamo notato dovrebbero aiutarci a far uscire dalla sacralità la chiamata di Dio, comprendetemi bene, da quella sacralità che Gesù ha infranto nel momento in cui rivolge la sua parola a dei pescatori che non sono sacerdoti, non hanno fatto teologia e non hanno particolari sensibilità spirituali, è gente normale, semplice, gente che si guadagna il pane lavorando per mandare avanti le proprie famiglie. Venite dietro a me.
Gesù continua a dirci: venite dietro a me, statemi dietro – ricordate Mosè che vedeva l’Eterno solo di spalle? – ecco ciascuno di noi è chiamato a stare dietro a Gesù.
Ascoltiamola questa parola, non diciamo che Dio si disinteressa dell’umanità, Dio cerca chi lo ascolti e lo segua. Certo ognuno di noi dovrà interrogarsi: che cosa significa per me stare dietro a Gesù? Cosa rispondo al Signore? e se anche non siamo così pronti e svelti come Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, abbiamo bisogno di farcelo ripetere come Samuele, riflettiamoci pure, ma diamo una risposta! Quante volte dovrà ancora il Signore continuare a chiamare nella notte?
E dopo la chiamata, la missione. Pescatori di uomini. Gesù chiama qualcuno per coinvolgerne altri. Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni sono chiamati da Gesù così come Samuele è chiamato da Dio, perché il Signore si serve di alcuni per arrivare a tutti.
Certo tutti sono chiamati, tutti sono oggetto di una vocazione alla fratellanza, all’unità, alla figliolanza divina, ma il Signore si serve di alcuni che incarnano questa coscienza in maniera più viva, ne sono trasmettitori e in essi la gente riconosce e capisce meglio se stessa. Pensate a qualche figura che vi ha trasmesso questa passione per l’unità non solo di un popolo, ma dell’umanità, della famiglia umana e ci accorgeremo come non è rara la parola di Dio, è sempre più raro che qualcuno l’ascolti. Oggi si sentono più di frequente i profeti del particolare, della difesa dei propri diritti, del localismo…
Che non sia così di noi. Preghiamo il Signore con le parole di p. Turoldo che diceva: «Manda ancora profeti, uomini certi di Dio, uomini dal cuore in fiamme. Uomini e donne, diciamo noi, che ascoltando la tua parola, aiutino la famiglia umana a camminare sulle vie dell’unità, della convivenza, della fraternità. Uomini e donne che in ogni volto e in ogni persona ci insegnino a riconoscere l’immagine del Creatore.
[1] Samuele è figlio di madre sterile, Anna che è la seconda moglie di Elkanà, il quale proprio perché Anna era sterile ebbe una seconda moglie, la quale umiliava Anna, la trattava male anche perché era la preferita nonostante fosse impossibilitata a dare una discendenza. Un giorno Anna al tempio «pregava in cuor suo e si muovevano soltanto le labbra ma la voce non si udiva» al punto che Eli sacerdote di Silo (località della Cisgiordania che fu per 300 anni il luogo di culto principale, prima che lo diventasse Gerusalemme) pensa che quella donna sia ubriaca… in breve la preghiera di Anna viene esaudita e nasce Samuele. Al cap. 2 leggiamo il ringraziamento di Anna che inizia così: «Il mio cuore esulta nel Signore, la mia forza s’innalza grazie al mio Dio…», già da queste poche battute pensiamo alle parole del Magnificat che Maria pronuncerà di lì a qualche secolo più tardi.