VII DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Mt 13, 24-43


(Mt 13, 24-43)

Abbiamo ascoltato alcune parabole tratte dal cap. 13 di Matteo, in realtà sono solo tre delle sette che Gesù racconta in quel capitolo per rispondere alla domanda dei discepoli: Come avviene il regno di Dio? Come lo si riconosce nelle contraddizioni del tempo?

Sono le domande che ancora oggi ci poniamo anche noi: Come agisce il regno di Dio nella storia? Come è possibile che si dica: Beati i poveri, i miti, i misericordiosi… e poi nella realtà vincono sempre i ricchi, gli arroganti, i corrotti?

Le parole del Signore, raccolte nel cap.13, rispondono che il regno di Dio, cioè il modo in cui Dio abita la storia del mondo, non è appariscente, non è così evidente. Tenete bene a mente, ci dice Gesù, l’immagine del chicco di grano che cade su diversi terreni, sono i diversi cuori e le diverse storie degli uomini, e che ha in sé tutta la potenzialità di una vita che deve germogliare, anche se tu non la vedi subito.

E state attenti, continua il Signore con la seconda parabola, perché normalmente cresce insieme alla zizzania (zun zunim dal verbo zanah, prostituirsi) ovvero un grano degenerato, non commestibile, che in genere è più appariscente.

Eppure nonostante l’evidenza della zizzania, il regno di Dio lavora, anche se è piccolo come un granello di senapa e non dovete lasciarvi condizionare se è grande solo come la capocchia di uno spillo.

Perché anche se è così piccolo, dice Gesù, è efficace come il lievito che è capace di fermentare una massa in proporzione molto più grande!

Ed è proprio per questo – quinta e sesta parabola – che nonostante non sia appariscente, il regno di Dio ha il valore di un tesoro ed è prezioso come una perla.

Tuttavia, conclude il Signore con la settima parabola, anche se è prezioso ed è di grande valore come una perla, non è esclusivo, è piuttosto come una rete che gettata in mare raccoglie ogni genere di pesci. Il regno non è di proprietà di nessuno, è appunto «di Dio», ed è per natura aperto a tutta l’umanità.

Ho voluto ripercorrere in rapida sintesi le sette parabole per sgombrare la nostra precomprensione religiosa da un equivoco che rischia di passare implicitamente e cioè che il regno di Dio si identifichi con la Chiesa: la Chiesa non è il regno di Dio, la Chiesa annuncia ed è al servizio del regno di Dio che è una realtà più grande.

Parlando di regno non intendiamo uno stato, con dei confini, delle leggi, un sovrano e dei sudditi, ma nel linguaggio biblico, è il modo in cui Dio percorre la storia, abita il mondo, dove la Chiesa ha un suo ruolo e compito, la sua missione.

Un’identificazione affrettata del regno di Dio con la Chiesa avrebbe, come è accaduto nella storia, delle conseguenze che porterebbero alla contraddizione con il Vangelo stesso e in opposizione alle Beatitudini.

Infatti – e questa è una delle tentazioni più grandi della Chiesa – nella storia talvolta si è lasciata affascinare dall’idea di costruire una «societas» cristiana … una struttura sociale con leggi cristiane, con commerci cristiani, con eserciti cristiani … tutte le volte in cui è accaduto questo la Chiesa, in nome di alcuni indubbi vantaggi mondani, ha finito per pagare un prezzo altissimo alla fedeltà evangelica.

Avete presente l’insegna dell’aquila a due teste che talvolta ancora campeggia in qualche stendardo o bandiera? Ecco è un’immagine che dice bene l’idea dei due poteri civile e religioso che posti sullo stesso piano, governano il mondo: ma davvero chiesa e stato sono come due teste su unico corpo? Non si ha in questo modo un mostro?

Mantenersi fedele alle parole di Gesù non è mai stato facile per la comunità dei discepoli e nella storia appunto la Chiesa ha oscillato tra l’identificazione col mondo e con l’opposizione al mondo.

Il Catechismo di Pio X, in uso fino al Concilio, insegnava che «i principali nemici della Chiesa sono il mondo, il diavolo e la carne».

C’è voluto tutto il travaglio del Concilio Vaticano II per permettere alla Chiesa di avviare un faticoso processo per pensarsi non in contrapposizione o di fronte al mondo, ma «nel mondo contemporaneo» (GS 1).

La Gaudium et spes non esordisce rivendicando i «diritti della Chiesa», ma la «dignità della persona umana» (GS 12-22), fino ad affermare che la Chiesa «rinunzierà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso può far dubitare della sincerità della sua testimonianza» (GS 76)!

Perché la Chiesa, come ci ricordano s. Ambrogio e i Padri, è come la luna: riceve la sua luce dal Cristo. È Cristo la luce e la luna ne viene inondata affinché a sua volta rifranga quella luce sulla terra.

In questo senso le parabole raccontate da Gesù non identificano i discepoli con il regno: certo anche noi siamo dentro il regno di Dio, ma non lo esauriamo nei nostri perimetri di parrocchia, di movimento, di gruppo. Piuttosto, e qui Gesù pensa a una scena che aveva potuto osservare da piccolo nel cortile di casa sua, la Chiesa è come quella donna che si alza presto al mattino per lavorare il pane per tutta la settimana ma sarà poi il lievito di Dio a fermentare il pane.

Così agisce Dio, non impone dal di fuori il suo potere, come l’imperatore di Roma. Viene a trasformare la vita dal di dentro, in maniera discreta e silenziosa.

La Chiesa non ha bisogno di più potere sociale o politico, ma di più umiltà per lasciarsi trasformare da Gesù ed essere fermento di un mondo più umano lavorando per la ricostruzione delle coscienze.

L’urgenza di un maggior spessore etico, sia nel pubblico che nel privato, che ci viene dal contesto attuale drammaticamente corrotto, non avverrà con l’imposizione di leggi e di norme che pure la società civile si deve dare, ma attraverso una ricostruzione delle coscienze, nel riannodare questo grande mistero dell’uomo che è appunto la coscienza tra la sua libertà e il dono dello Spirito di Dio.

Possiamo anche pensare di sradicare la zizzania, ma questa ci sarà sempre, anche dentro ciascuno di noi, piuttosto le nostre forze siano volte a coltivare il buon seme che il Signore ha deposto nel cuore di ogni uomo e di ogni donna.

Il regno di Dio continua a crescere anche oggi nonostante gli onnipresenti profeti di sventura ed è messo continuamente in atto da un piccolo gesto sovente nascosto e ignorato da tutti: il fidarsi di Dio anche quando non sempre è evidente, l’abbandonarsi a lui anche nei momenti più bui.

E questo dove avviene, forse sulla piazza? sui mass media? nei social network? No, avviene nel profondo e nel silenzio discreto della coscienza, significa accettare di scomparire come il lievito nella massa di farina e credere che proprio quel gesto insignificante agli occhi dei più è capace di cambiare il corso delle cose, di dischiudere possibilità inedite per il nostro mondo.

La chiesa abita la città dell’uomo non come uno dei tanti padroni che esigono obbedienza, ma come il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana (GS 76), la chiesa è in mezzo al mondo per incidere in esso una inguaribile inquietudine: la nostalgia di Dio.