II DI AVVENTO - Mc 1, 1-8
Se fossimo rigorosi con le parole del Battista che abbiamo appena ascoltato, dovremmo dire che per il fatto che conosciamo Gesù, la sua vita, le sue parole, e soprattutto la sua morte e risurrezione, non dovremmo più parlare di Giovanni, non dovrebbe essercene più bisogno.
Se in Cristo si realizza quel battesimo in Spirito Santo che Marco ci ha annunciato, che motivo c’è ancora di dare voce a un profeta ruvido e graffiante come Giovanni?
L’evangelista poteva cominciare il suo racconto con la predicazione del Battista e, quando entrava in scena Gesù, allora lì collocare il titolo: inizio del Vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio.
Mentre ad osservare il testo di Marco, la predicazione di Giovanni sta sotto lo stesso titolo come a dire la necessità che l’incontro con Gesù passa sempre attraverso il Precursore e ciò che lui rappresenta, ovvero la profezia antica, il Primo testamento. Che anche Giovanni faccia parte del Vangelo dice la permanente necessità della conversione che il Signore Gesù stesso esigerà nel suo ministero, fin dai primi giorni di Cafarnao: Convertitevi perchè il regno è vicino (Mt 4, 17).
La vita cristiana non può prescindere da questa radice che è vitale e per la quale si alimenta l’albero della fede. Infatti se non c’è la conversione dei nostri istinti egoistici, identitari, razzisti e benpensanti, non possiamo conoscere il Cristo.
Sentir dire come è successo in questi giorni che il Natale non è la festa dell’accoglienza, ma dell’identità! Risultano per un discepolo del Signore parole aberranti, sono una bestemmia che fa capire il bisogno ancora vero di una voce graffiante e ruvida, di una voce profetica come quella di Giovanni che ci immerga nelle acque della conversione, perchè se non muore l’uomo vecchio non possiamo accogliere il Battesimo in Spirito Santo, non possiamo immergerci nella vita di Gesù, nella sua relazione con Dio Padre, nel suo Vangelo.
Ed è proprio di questa buona notizia, di questo Vangelo che ha bisogno l’uomo di oggi. Certo oggi la buona notizia per l’uomo qualunque può consistere nell’aver vinto il biglietto della lotteria, o l’aver superato una selezione, un esame… è vero e non c’è niente di nuovo: viviamo una società competitiva. In questa società c’è qualcuno che vince, che si sente in alto e poi una massa di persone che perdono, che non hanno lavoro, che sono ferite, emarginate…
Quando Marco annuncia che Gesù è la buona notizia, che il Vangelo è lui, lo afferma proprio perchè vedeva una comunità cristiana che testimoniava con la sua vita che Dio non si pone dalla parte dei vincitori, ma dei perdenti; che come Gesù aveva affermato nella sinagoga di Cafarnao: «Lo Spirito del Signore è su di me, sono venuto a fasciare le ferite, a curare i malati, a liberare i prigionieri… », così agivano i suoi discepoli.
Discepoli ai quali il Signore non chiede di scalare le gerarchie imperiali o sacerdotali del tempo, perchè come ci dice Paolo, Gesù non ha voluto creare un gruppo competitivo dentro una società competitiva, come in una gerarchia piramidale, ma ha voluto creare un corpo dove ogni organo, ogni parte, ha un suo compito e nessuno può sentirsi indispensabile senza l’altro. La sua chiesa è – dovrebbe essere – un corpo vivo, pulsante di amore, un vangelo vivente.
Ecco il primo annuncio di Marco: la prima buona notizia, il vangelo non è un libro, ma è il Cristo vivente in una comunità.
Il mese scorso entrando nella prigione femminile di Kisii, una città del Kenya, sono rimasto turbato nell’incrociare lo sguardo triste e privo di luce di quelle donne per lo più giovani rivestite della classica divisa dei carcerati e mi domandavo che cosa potessero pensare di noi, i cosiddetti “visitatori”.
Ma il peggio è stato l’impatto con i figli di queste donne, bambini dai pochi mesi ai quattro anni tenuti durante il giorno chiusi in una stanza disadorna… Insieme con altre persone abbiamo portato alcuni giocattoli da donare a questi piccoli, ma vi devo dire che ho provato una rabbia intima quasi una ribellione che ho fatto fatica a controllare, quando queste altre persone, ferventi cattoliche, con cui sono entrato nel carcere, cominciarono a farsi fotografare con i bambini che tenevano in mano i giocattoli che avevano appena ricevuto.
Il vangelo non è questa generosità. Gesù è la buona notizia della comunione di Dio con noi che siamo poveri, peccatori, scalcinati, perchè impariamo a vivere la comunione con gli altri e non la distanza della beneficenza.
La comunione è molto diversa dalla generosità; la generosità è fare delle cose buone, per gli altri, per il terzo mondo… ma la comunione vuol dire che io faccio mia la condizione dell’altro, riconosco la dignità dell’altro, che è la mia stessa dignità.
La buona notizia non è necessariamente fare delle cose per gli altri e allo stesso tempo schiacciarli e fargli capire che non sono in grado di fare niente, ma è guardarli come faceva Cristo, ascoltarli come faceva lui, renderli liberi come era solito fare lui.
Questo mi ha fatto comprendere che il Vangelo non è per quelli che fanno volontariato per i poveri, il Vangelo è buona novella per coloro che sono poveri, per coloro che hanno accettato le proprie ferite, la propria fragilità, la propria vulnerabilità, per coloro che hanno lasciato cadere ogni maschera con la certezza che Dio lo incontri proprio lì. La predicazione del Battista mette il dito nelle nostre ferite, in quelle che non vorremmo vedere né guardare, ma è proprio lì che incontri la salvezza, la buona notizia, se togli le maschere del perbenismo, dell’inganno e accetti la tua debolezza, come Gesù diceva a Paolo: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella tua debolezza» (2 Cor 12, 9).
Non solo, il Vangelo oggi ci presenta Gesù anticipato da Giovanni il Precursore. Anche qui noi ci possiamo domandare come mai ci fosse bisogno di un precursore per incontrare Gesù?
Basterebbe anche solo pensare di quanti precursori abbiamo avuto bisogno noi per conoscere il Cristo. Gli stessi nostri genitori, oppure i preti della nostra gioventù o le figure che hanno lasciato in noi tracce indelebili di spiritualità.
Tutti noi abbiamo avuto bisogno di precursori e abbiamo bisogno sempre di qualcuno che ci aiuti a fare qualche passo, ad aprire il cuore perchè ci sia un inizio del Vangelo, perchè si dia un incontro col Cristo.
L’estate prima di diventare prete ho trascorso un mese al Cottolengo di Torino, che considero ancora oggi una vera e propria facoltà di teologia, e ricordo di come uno dei primi giorni, venni accompagnato dalla responsabile nel reparto dei bambini idrocefali. Entrato mi sono avvicinato al lettino dove c’era un bambino con un corpo piccolo piccolo e una testa molto grande. Mi sentivo imbarazzato davanti a questo bambino, non sapevo come prenderlo, come toccarlo. Allora la suora che aveva capito il mio imbarazzo, prese la mia mano e la mise sulla testa del bambino e a quel punto il piccolo a sua volta con la sua manina abbassò la palpebra inferiore per aprirsi un occhietto, che per la sua malattia non poteva tenere aperto, e mi guardò.
A quel punto anche a me si sono aperti gli occhi… però ho avuto bisogno di quella suora perchè non riuscivo da solo a capire cosa potevo fare. Ho avuto bisogno della tenerezza di quella donna che non mi ha giudicato e mi ha fatto capire la bellezza di quel bambino.
Se è vero che ciascuno di noi ha avuto e ha bisogno di un qualche precursore che ci permetta di incontrare la buona notizia di Gesù, è anche vero che noi possiamo essere precursori e ci è data la possibilità di prendere per mano i nostri figli, i nostri nipoti, i nostri amici, senza giudicarli, ma accompagnandoli con tenerezza a conoscere la gioia e la bellezza del Vangelo.
(Is 19, 18-24; Ef 3, 8-13; Mc 1, 1-8)