III DI PASQUA - Lc 24, 13-35


(1 Pietro 1, 17-21; Luca 24, 13-35)

Il racconto di Emmaus si snoda, come una grande liturgia, in tre momenti: la liturgia della strada , della parola e del pane. Anzitutto la liturgia della strada: è sulla strada che incrociamo il cammino triste dei discepoli mentre fanno i conti con l’insuccesso, il fallimento di un sogno. Poi la liturgia della parola, perché Gesù cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Infine la terza liturgia che conosciamo bene e forse meglio delle due precedenti, e che riconduciamo subito all’Eucaristia, Gesù si siede a tavola e spezza il pane. Ma per finire, si ritorna sulla strada: i due infatti corrono a Gerusalemme per annunciare e raccontare quello che hanno vissuto.

Incorniciato tra le due liturgie della strada, c’è il cuore della celebrazione, così anche noi ogni domenica facciamo, che è dato per  così dire dalla mensa della Parola e dalla mensa sulla quale il Signore spezza il pane. Suggestivamente il Concilio dice: la Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso del Signore, non mancando mai, soprattutto nella santa liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della Parola di Dio sia del Corpo di Cristo (DV, 21).

Sono parole scritte cinquant’anni fa, che permangono in tutta la loro forza e provocazione: davvero anche noi portiamo così grande rispetto per la Parola di Dio, come lo abbiamo per l’Eucaristia? Basterebbe entrare di domenica o anche nei giorni feriali in una qualsiasi chiesa ed osservare cosa accade durante la proclamazione della Parola: ci sono coloro che arrivano in ritardo e che dovendo trovare posto passeggiano per la Chiesa e intanto diciamo che è «parola di Dio».

Ci sono coloro che hanno indubbiamente delle cose importantissime da dire al vicino e intanto diciamo: «parola di Dio», ma se è Parola di Dio, se il lettore presta la voce alla parola di Dio, non dovremmo noi avere più rispetto, più attenzione?

Ma non siamo più capaci di ascoltare Dio, abbiamo sempre tante cose da dire … eppure se non ascoltiamo Dio non riusciamo nemmeno ad ascoltare l’altro.

È questa la condizione importante affinché avvenga anche per noi quanto è accaduto ai due discepoli di Emmaus. Osservate come all’inizio i discepoli  siano tristi, dice Luca, la loro speranza è stata annientata dalla morte di Gesù, le loro speranze si sono infrante al sepolcro. Eppure alla fine si ritrovano con un cuore che “arde” e tornano di corsa a Gerusalemme per raccontare l’accaduto ai loro amici.

Ecco, senza accorgerci i due discepoli di Emmaus hanno avuto anzitutto una prima trasformazione: dalla tristezza alla gioia. Ed è una cosa che sembrava impossibile! Chi mai torna da un funerale con una trasformazione di questo genere? È impossibile.

Poi vivono una seconda trasformazione: dall’ignoranza alla conoscenza. Emmaus dista da Gerusalemme due ore di cammino, due ore trascorse a parlare di quel sogno in cui avevano tanto sperato, un sogno naufragato nel sangue, senza riconoscere chi cammina insieme a loro. Il racconto attraverso tutta la spiegazione della Scrittura raggiunge la sua conclusione quando si
aprono loro gli occhi e riconoscono il risorto allo spezzare del pane.

Infine c’è una terza trasformazione che avviene nella sera di Pasqua per i due discepoli: il loro obiettivo è tornare a casa, probabilmente abitavano a Emmaus, invece vanno a Gerusalemme.  All’inizio vogliono lasciarsi alle spalle i luoghi degli
avvenimenti drammatici che li rattristano, perché non sono in grado di andare oltre alla crocifissione e alla sepoltura di Gesù, hanno vissuto un bel sogno che però è andato in frantumi, a questo punto è meglio rassegnarsi e tornare a casa. Ha vinto la tentazione di andare ciascuno per conto proprio. È meglio dimenticare.

Cosa accade invece dopo che hanno ascoltato il Signore e lo hanno riconosciuto allo spezzare del pane? Decidono di tornare a Gerusalemme per portare la notizia agli altri. Cambiano strada: anziché chiudersi, si aprono agli altri ai quali annunciano il Risorto.

Ecco l’esperienza dei due discepoli che possiamo raccogliere intorno a questa triplice trasformazione: anzitutto quella dei loro sentimenti e del loro cuore, poi quella della loro conoscenza e della loro mente e, infine, quella della loro volontà, per cui ritornano sulla strada, ma con una direzione diversa. Infatti dirigono i loro passi diversamente da dove avevano progettato
di andare, per cui potremmo definirla una trasformazione etica, che è la trasformazione propria di chi incontrando Gesù risorto, cambia anche la direzione della vita.

Una trasformazione che ci riguarda, ci coinvolge. Ognuno di noi si porta nel cuore motivi di preoccupazione, di dolore, c’è sempre uno scarto nella vita tra quello che vorremmo e quello che viviamo e siamo. I nostri pensieri diventano sempre più chiusi e tristi … La buona notizia è che con noi cammina un Dio vestito di umanità. Perché la fede è un perpetuo camminare, Dio stesso è un’esperienza mai conquistata, l’ Eterno ci attende all’angolo di ogni strada.

Pasqua è voce del verbo pèsach, passare. Fa pasqua chi fabbrica passaggi dove ci sono muri e sbarramenti, chi apre brecce, chi inventa strade che ci portino gli uni verso gli altri e insieme verso Dio. Ed ecco Gesù si avvicinò e camminava con loro. Un Dio
sparpagliato per tutte le strade, un Dio vestito di umanità, un Dio delle strade, continuamente in cerca di noi.

Avrete notato che ad un certo punto, con un fare lievemente provocatorio, Gesù fece come se dovesse andare più lontano, fa intendere loro che avrebbe continuato la strada da solo. E i discepoli lo invitano con quell’accorato appello: resta con noi. Invitano questo straniero che non hanno ancora riconosciuto a restare perché è buio, la strada è pericolosa e il cammino è lungo, un semplice gesto di ospitalità, di attenzione.

Da allora in tutti cristianesimi della storia, quelli passati, quelli presenti e quelli che verranno, il ponte tra la nostra vita e il
Risorto, sarà sempre fatto così.  Quando si stabilisce un qualche legame di cura, di ospitalità, di amore, di dedizione, di riconciliazione, si ha la possibilità di passare da ciò che rimane sospeso, e cioè le molte parole, le molte spiegazioni, le molte
riflessioni e domande, all’incontro che riempie il cuore e la vita.

Se crediamo che sia possibile cambiare, è perché l’Eterno cammina con noi. Preghiamo insieme perché tornando, dopo quella della Parola e del Pane, alla liturgia della strada sulla quale viviamo, come dice Pietro nella seconda lettura, «come stranieri», impariamo ad accogliere, a riconoscere in ogni persona un’immagine di Dio vestito di umanità, come diceva Turoldo.