PASQUA - nel giorno - Gv 20, 11-18
Abbiamo ascoltato due fatti, due eventi che sono il primo, l’uscita dall’Egitto di un gruppo di tribù israelitiche e il secondo, l’uscita dal sepolcro di Lazzaro. Due eventi che hanno a che fare con il grande tabù, quello della morte perché se è vero che le tribù d’Israele vanno verso la libertà, l’esercito egizio però si inabissa nel mare ed è una strage. Così se Lazzaro viene richiamato in vita, è anche vero che proprio questo fatto sarà per Gesù il motivo decisivo per la sua condanna a morte.
Conosciamo la vicenda dell’uscita degli Israeliti dall’Egitto: l’esodo ci racconta che avviene in modo apparentemente trionfale: preceduti da una colonna di nube di giorno e da una colonna di fuoco di notte, essi si inoltrano, una tappa dopo l’altra nel deserto. Si sentono forti e protetti, anzi guidati passo passo dal Signore.
Finché le cose vanno spedite, non c’è problema. Basta però che il faraone decida di inseguirli che sui loro volti si disegni il terrore: è il momento della grande paura! Che è appunto la paura di morire.
Sono sufficienti pochi attimi perché l’entusiasmo diventi rimpianto e la gioia di chi si sentiva libero ripiombi nello squallore di chi si ritrova disponibile ad accettare qualunque schiavitù, pur di aver salva la pelle. La paura infatti toglie il fiato, blocca i movimenti, annebbia ogni pensiero: è come arrivare sull’orlo di un abisso che si apre senza lasciare via d’uscita.
La scena si svolge sulla sponda del mare: il momento è drammatico, non c’è via d’uscita. Il fatto storico probabilmente non fu diverso da uno scontro di frontiera. Un gruppo di poche migliaia di Israeliti mentre tentava di fuggire dall’Egitto venne sorpreso dalla polizia egizia dotato di cavalleria corazzata.
Il terrore fu tale che gli israeliti rimasero immobilizzati: di fronte il mare, alle spalle i carri egizi! Mentre Mosè li incoraggiava ostinatamente, per tutta la notte un forte vento orientale buttò sabbia in faccia agli egiziani impedendo loro di attaccare. Il vento scoprì tutta una fascia di bassifondi paludosi e quando al mattino gli egiziani finalmente attaccarono si trovarono a inseguire i fuggitivi su un terreno umido e fangoso dove i loro pesanti carri non riuscirono a manovrare così che quando il mare risalì, ne impedì la fuga e li risucchiò.
Un fatto tutto sommato come tanti nella storia del mondo eppure per gente ormai schiacciata dalla paura, quella vittoria è stata compresa come un evento di salvezza: è stato Dio che ha ottenuto vittoria, è stato lui, dirà un’altra tradizione, che ha aperto il mare, l’ha fatto attraversare agli Israeliti e ha invece sommerso l’esercito del faraone.
In quel giorno il Signore salvò Israele dalla mano degli Egiziani (v.30). In queste parole si riassume tutta la novità del segreto che Israele ha scoperto nascosto nelle profondità della storia umana: Il Signore è uno che salva e salvare significa ribaltare i destini del mondo e in definitiva salvare dalla morte.
A partire da questa esperienza tutta la loro storia andrà acquistando il significato perenne di una Storia della salvezza vera per tutti i popoli della terra. In quel giorno Israele ha imparato ad avere fede perché ha compreso di essere sostenuto dalla mano del Signore che mai abbandona il suo popolo. Questo dice che la fede non è una fuga dal mondo, ma è semmai, la più intensa esperienza della povertà del mondo.
Dinanzi a un Dio che capovolge la condizione dell’umanità è possibile soltanto credere, così conclude la pagina di oggi: il popolo temette il Signore e credette in lui e in Mosè suo servo.
Nel tempo e nelle vicende storiche successive l’esodo resterà un riferimento importante, allorquando la paura si affaccerà, quando altri nemici minacceranno di sterminare o uccidere, ricordare quell’evento storico sarà fondativo della fede delle generazioni che non hanno vissuto l’esodo e che sono poste di fronte alla grande paura.
Nessuno di noi è in grado di sopportare la propria paura, perché questa ci svela per l’appunto che nessuno di noi è in grado di sostenere se stesso. Proprio qui si radica la più esplicita chiamata alla fede: soltanto Dio è in grado di sostenere gli uomini schiantati dalla paura. Avere fede non vuol dire altro che riconoscersi fondati su quella salda roccia che è il Signore stesso.
Ma è ancora una fede che si deve misurare con le smentite e con i grandi cortocircuiti della storia umana, quando la morte fa le sue stragi: guerre, carestie, terremoti, malattie… Insomma, se anche l’esodo rimane un riferimento fondativo della fede, la paura ci attraversa tutti, perché la vita vorrebbe essere liberata dalla morte.
Nel vangelo Lazzaro grazie alla parola e all’affetto di Gesù viene fatto uscire dalla tomba per tornare a casa sua, alla vita ordinaria, ma nel contempo i versetti finali del Vangelo ci dicono che Gesù verrà messo a morte. Vedete anche qui la vita di uno ha il prezzo della vita dell’altro.
Se per Gesù, l’amico Lazzaro deve continuare a vivere, per i Giudei è Gesù che deve morire, e almeno per due motivi: per la gente, non per la nazione (è un concetto sconosciuto alla Scrittura quello moderno di nazione!). Al v.50 Caifa afferma che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo e non vada in rovina tutta la gente. Giovanni al versetto successivo interpreta questa sentenza come una profezia: Gesù doveva morire per le genti e non per le genti soltanto, ma anche per riunire in uno i figli di Dio dispersi.
Gesù, nelle intenzioni di Caifa, deve morire per la gente nel senso che deve preservare il popolo da qualsiasi forma di repressione romana, insomma la sua è una morte necessaria, una morte di stato, diremmo oggi.
Ma Giovanni ci palesa un altro significato: Gesù doveva per le genti, e non soltanto per le genti, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi.
Caifa, il sommo sacerdote, vuole eliminare un problema e condanna a morte Gesù. Giovanni ci dice che c’è un morire che è fecondo.
A che serve la morte? Umanamente a nulla, anzi è da evitare, da ritardare. L’altro giorno ero all’hospice e stavo accanto a una giovane mamma di due figli poco più che trentenne malata «terminale» che mi chiede tra le lacrime: Perché non posso stare qui ancora un po’ e vedere crescere i miei figli? La morte non serve a nulla, anzi per molti è lo smacco di Dio. Quel Dio dell’esodo che se libera alcuni, affoga altri!
Cosa fa Gesù? Poteva arrivare qualche giorno prima e salvare Lazzaro prima che morisse! Ma se non lo fa, anche noi dobbiamo trovarne un motivo. Cosa ci vuoi dire o Cristo: se anche tu scoppi in lacrime, ti metti a piangere per un amico? Cosa non dovremmo fare noi se anche tu sei travolto da questa violenza che irrompe nella vita e lacera gli affetti?
Anche per noi viene il momento della grande paura e si sa quando domina la paura siamo disposti a servire chiunque ci possa sollevare dall’angoscia! Cosa facciamo di fronte alla grande paura di morire?
Non è sempre limpida la nostra fede nel Signore; piuttosto il mormorio dei giudei è presente nel nostro cuore incredulo: «Non poteva far sì che costui non morisse?».
Ma osserviamo i tre amici di Gesù. Marta fa la sua professione di fede: io credo Signore! La sua è una fede intuitiva, ma piena di fiducia nel Cristo vincitore della morte. Perché è forte nella fede dell’esodo.
Maria, identificata all’inizio come colei che ha unto Gesù col nardo, rappresenta l’amore smisurato e al contrario della sorella non dice mai a parole la sua fede in Gesù. Ma gli vuole un bene dell’anima.
Marta rappresenta la fede del discepolo; Maria l’amore senza limiti del discepolo. E poi abbiamo Lazzaro che non pronuncia una parola, ma il suo silenzio dice la speranza, l’attesa della liberazione dalla morte.
Insieme questa famiglia di Betania, di fronte alla grande paura, sono quasi un’icona della fede, della carità e della speranza.
Ma Gesù non salva dalla morte, Gesù salva nella morte: notate come per contro la morte, di fronte al Signore, si comporti come una creatura obbediente. Ella stessa ascolta la parola di comando, perde ogni forza, cede la sua preda. Per il dono di Dio, che è questo legame con l’amico ammalato, anche la morte è vinta. Gesù lo aveva detto con chiarezza perché «questa malattia non porterà alla morte». Gesù nel far risalire Lazzaro dall’abisso della morte, anticipa quello che Lui stesso farà scendendo nell’abisso della morte per aprire una strada di vita nella morte.
Signore Gesù, aiutaci a comprendere che al cuore della nostra fede non sta l’immortalità, ma la resurrezione, dono inatteso e incredibile, perché l’Eterno ci fa partecipi della sua stessa vita.
(Es 14,15-31; Gv 11,1-53)