VI DI AVVENTO Domenica dell’Incarnazione o della Divina Maternità della beata Vergine Maria - Lc 1, 26-38a
(Fil 4, 4-9; Lc 1, 26-38)
Dopo aver ascoltato nelle settimane di avvento la parola di tuono di Giovanni Battista che ci invitava ad andare nel deserto per destarci dalla pigrizia e dall’indolenza, oggi il Signore ci raggiunge con la voce di un angelo, quasi a sfiorare la nostra vita. Ma che voce ha un angelo? Quella del Battista possiamo facilmente immaginarla come la voce di un tenore o di un baritono, voce di tuono che risuona nelle gole del deserto. Ma quella di un angelo?
Senza indugiare in fantasie indebite, potremmo ripercorrere i numerosi episodi della Bibbia in cui la voce di Dio risuona nel cuore dei suoi figli in diversi modi. A me piace ricordare tra tutte l’esperienza del profeta Elia che nel buio della prova ascolta la parola del Signore che lui sperimenta come «voce di silenzio sottile». La voce di Dio è nel silenzio, risuona nell’intimità della coscienza.
Forse per questo che nel sesto mese da quando era stato concepito Giovanni dai suoi anziani genitori Elisabetta e Zaccaria, l’angelo entra nel cuore di una ragazza, di una giovane promessa sposa che stava pensando al suo matrimonio con Giuseppe il ragazzo della sua vita. La voce di silenzio sottile non è udibile nel tempio, nel santuario e nemmeno in Gerusalemme dove officiava Zaccaria, ma risuona nel cuore di una ragazza in un villaggio della Galilea.
Sono parole che conosciamo bene, perché è anche la preghiera che rivolgiamo a Maria. Ma a ben guardare la prima parola dell’angelo non è un semplice saluto, è tutt’altro che una formalità, un gesto di buona educazione. Lo capiamo dalla reazione di Maria che rimane turbata, scossa, perplessa. Che cosa ha detto di tanto sconvolgente l’angelo Gabriele? Rallegrati piena di grazia il Signore è con te.
Non le chiede: Mettiti in ginocchio, fai un po’ di penitenza, vai a fare un pellegrinaggio, dì le preghiere… fai questo, fai quello. Semplicemente: Rallegrati! Gioisci, sii felice. E già questo è difficile per noi, perché quando si parla o si pensa a Maria di Nazaret la abbiniamo subito al tema del dolore piuttosto che a quello della gioia e della felicità. «Ave» noi diciamo, usando una parola latina rimasta nella nostra lingua come reliquia antica. Ma Dio comincia a parlare a Maria con linguaggio della gioia, quasi un comando: «Kaire, gioisci»! Questa è la prima parola. Una parola di gioia.
Eppure è difficile trovare un’immagine di Maria che sorride. Una scrittrice milanese, Rosangela Vegetti racconta come un giorno la superiora di una congregazione religiosa mariana, alla quale aveva chiesto che cosa potesse dire del tema della gioia in Maria, candidamente rispose che non ci aveva mai pensato e che, a sua volta avendo posto la stessa domanda ad altre superiore religiose, tutte erano rimaste spiazzate dall’interrogativo.
Dobbiamo riprendere il riferimento evangelico per incontrare la gioia di Maria. Certo, quando si parla della gioia diventiamo subito diffidenti, sospettosi e bisogna davvero parlarne con cautela. Anzi bisogna farlo con intelligenza. Io non so se il cristianesimo renda felici, so che il cristianesimo mi crea passione, mi dà una pulsazione di vita come nessun’altra cosa e non ne posso fare a meno (ivi, p. 42).
Ma per quale motivo Maria deve essere felice? Qual è la causa della sua gioia? Perché sei piena di grazia dice l’angelo Gabriele. E questa è una parola nuova, non era mai stata sentita prima in tutta la Scrittura. Sei piena di Dio. Dio si è dato a te e tu ne sei traboccante. Sei amata. Piena di grazia dice l’angelo. Non è piena di grazia perché ha detto «sì» a Dio, ma perché Dio ha detto «sì» a lei prima ancora della sua risposta. Dalla radice della parola grazia (charis) derivano «caro, cara, carezza…», termini che nella nostra lingua dicono molto dell’affetto e del sentimento: la grazia è carezza di Dio. Un gesto che indica tenerezza, non possesso, attenzione e non strumentalizzazione.
Ecco perché Maria può rallegrarsi. Maria non è gioiosa perché ha un bel carattere, perché è più fortunata delle altre… questo non ci è dato di saperlo, ma perché Dio le dona il lieto annuncio di essere donna amata da Lui al punto da chiederle di diventare Madre del suo Figlio.
A ben guardare però la prima reazione e la prima parola di Maria non sono di gioia e tantomeno di assenso. Il primo sentimento è quello di essere turbata. Maria è turbata. È importante questo turbamento perché Maria entra in scena nel vangelo come una promessa di felicità per la nostra vita, come una benedizione di speranza che scende sul nostro male di vivere, sulle nostre solitudini, sulle tenerezze negate, sulla violenza che ci insidia ma che non vincerà.
E così la sua prima parola non è subito il sì, ma è una domanda: come è possibile? Maria sta davanti a Dio con tutta la sua dignità umana, con la sua maturità di donna, con il suo bisogno di capire. Usa l’intelligenza e poi pronuncia il suo «sì», che a questo punto è un sì bello, libero, gioioso.
Infine, una terza cosa dice l’angelo a Maria: Il Signore è con te. Chi è il Signore? È uno che sta con, con chi? È con te. Ed è bello che il nome del Signore sia un complemento di compagnia. È davvero il più bel nome di Dio, l’Emmanuele, il Dio con noi. Dio è uno che è con. Dio è relazione, è amore. E questa certezza accompagnerà Maria lungo tutta la sua vita dal Magnificat fino ai piedi della Croce, passando per Cana di Galilea e Nazaret.
Maria ci aiuta a rispondere alla domanda che era risuonata a più riprese nel deserto: Il Signore è in mezzo a noi, sì o no? (Es 17,7) e che tante volte anche noi ci poniamo. Maria che sta all’inizio della lunga carovana dei credenti, ci insegna a riconoscere che dovunque andiamo, in tutti i passi che facciamo, quando ci capita di cadere e di farci del male, quando ci rialziamo… il Signore è lì. È con te colui che non manda via nessuno, colui che mai abbandona. È con te, è vicino a te come ti è vicino il cuore, come ti è appartiene il respiro.
Per questo Paolo, scrivendo ai Filippesi, ripete loro lo stesso verbo dell’angelo: Siate felici nel Signore, ve lo ripeto: siate felici! Di questa gioia ha bisogno il mondo oggi al punto che papa Francesco ha pubblicato un’esortazione apostolica dal titolo: La gioia del Vangelo proprio perché «Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio, certo e permanente. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita» (EG, 2).
Il finale del passo evangelico, che non viene riportato sul foglietto, annota che L’angelo si allontanò da lei, da Maria. Dov’è andato quest’angelo? Dove si trova? L’angelo parte e va altrove a compiere la sua missione. L’angelo continua ad annunciare la parola di Dio e questo angelo è qui da noi oggi ad annunciare la stessa parola a noi e se noi diciamo «sì» come Maria ecco che il Vangelo si fa carne nel nostro mondo, in questa umanità che cerca la gioia.