FESTA DELLA SANTA FAMIGLIA - Lc 2, 22-33
(Sir 7,27-30.32-36; Col 3, 12-21; Lc 2, 41-52)
La parola di Dio anche quando si tratta di parlare della famiglia, del luogo per eccellenza degli affetti, non indugia nell’indagare i sentimenti, non è che non li esprima, ma li tiene un poco sotto traccia e insiste piuttosto sui doveri, su quello che sia giusto fare o non fare.
La prima lettura è un richiamo esemplare in questo senso. All’inizio del I sec. a. C. un certo Ben Sira decide di tradurre in greco una raccolta di insegnamenti sapienziali che gli erano arrivati dal nonno. Da questa raccolta sono tratti i versetti che abbiamo ascoltato, per cui se un libro della Bibbia avverte la necessità di ricordare queste cose che potremmo dire elementari significa che ce n’era grande bisogno già allora: Onora tuo padre… poi: non dimenticare le doglie di tua madre. Ricorda che essi ti hanno generato.
I verbi sono sul medesimo registro: ricordati, non dimenticare, tieni bene a mente… come a dire che la tentazione di sempre è quella di pensare di esserci fatti da soli… e allora la parola di Dio ci invita a ricordare, nel senso letterale del termine, cioè di riportare al cuore, «ri-cordo» è appunto l’atto di rimettere al centro del cuore qualcosa che se ne era allontanato. Ricordati che sei una creatura! Che sei figlio.
E poi la parola di Dio compie un’altra operazione che tende a dilatare come in cerchi concentrici la necessità di ricordare che se tu sei figlio, anche i poveri, coloro che piangono, gli afflitti e i malati,. Insomma tutta la comunità nella quale uno vive… è una famiglia di figli di Dio con i quali hai non solo la stessa dignità, ma hai anche un comune destino. Infatti il motivo conclusivo recita così: in tutte le tue opere ricordati della tua fine e non cadrai mai nel peccato.
La pagina iniziava con l’invito a ricordarci di chi ci ha generato e si conclude con il ricordo dell’orizzonte che ci sta dinanzi. Questa sapienza è come una guida nella vita di ogni giorno: se ricordiamo da dove veniamo e dove andiamo, la direzione verso la quale ci muoviamo, il nostro sguardo sulle cose della vita cambia, di fronte alle tensioni saremo più saggi, di fronte ai problemi saremo più veri e meno disperati.
Insomma possiamo concludere questo primo pensiero dicendo che nella Scrittura l’etica anche quella famigliare non è semplicemente obbedire a un obbligo di legge, a un comandamento, ma come dice Paolo una vita morale, una vita rispettosa e giusta trova una spinta forte a partire dalla consapevolezza dell’orizzonte verso il quale andiamo. All’inizio del cap.3 della lettera ai cristiani di Colossi, Paolo esordiva proprio così: Se dunque siete risorti con Cristo cercate le cose di lassù… rivolgete il pensiero alle cose di lassù…
Se tu guardi alla vita come a un cammino, come a un viaggio verso l’incontro con Cristo, allora anche in famiglia non dimentichi l’amore per chi ti ha generato, non dimentichi le doglie di tua madre e al tempo stesso la tua generosità abbraccia il povero, gli afflitti, il malato.
La metafora del viaggio ci rimanda al vangelo di Luca che ci racconta del pellegrinaggio che la famiglia di Gesù, Giuseppe e Maria compiono a Gerusalemme. Un viaggio che la famiglia di Nazaret compie insieme ad altre famiglie. C’è sottesa al racconto una solidarietà che unisce le famiglie in questo viaggio al punto che Giuseppe e Maria danno come per scontato che Gesù possa essere accolto da altre famiglie nella stessa carovana.
Questo sarebbe già un elemento che ci aiuta a pensare come oggi le nostre famiglie vivano faticosamente questa dimensione di solidarietà se penso soprattutto alle famiglie con i figli adolescenti… quanto sarebbe importante vivessero una rete di solidarietà, di condivisione. Invece ognuno sta solo con i propri problemi, con le proprie angosce e incertezze per il futuro.
Un altro aspetto che mi colpisce in questa pagina evangelica è dato dal fatto che queste poche righe sono innervate da numerose domande, quello che prevale è un atteggiamento interrogativo. Sono più le domande che incontriamo delle risposte. Maria e Giuseppe si interrogano dove sia Gesù. Gesù stesso è nel tempio che pone domande ai maestri, ai professori. Ma poi si dice che loro erano stupiti per la sua intelligenza e le sue risposte! Quindi immaginiamo una discussione fatta di domande e di risposte tra persone intelligenti, tra persone curiose di conoscere e di sapere. E poi abbiamo Maria che interroga direttamente Gesù: Figlio perché ci hai fatto questo? Ma anche la risposta di Gesù è formulata come una domanda: Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo stare nelle cose del Padre mio?
Mi sembra molto bella questa cosa: riconoscere spazio e dignità alle domande, alla ricerca. E se anche la famiglia potesse essere il luogo dove si cerca, si interroga la vita, si apre l’intelligenza, il luogo dove si educa alle domande, all’interrogativo. Non c’è mai tempo invece, abbiamo sempre questa nevrosi che ci inchioda alle cose da fare e non ci ascoltiamo. Proviamo a spegnere qualche volta le mille connessioni che la tecnologia ci offre, per connetterci davvero con il cuore di chi abbiamo accanto.
Ma per fare questo occorre un atteggiamento, che è l’ultimo pensiero che mi suggerisce la parola di oggi, ed è un atteggiamento che invece rimane un poco sotto traccia nel racconto evangelico, ma che mi sembra pervada tutto il racconto. E appare più evidente nel modo in cui Maria tratta Gesù quando lo ritrovano nel tempio. È la gentilezza con cui chiede ragione al figlio del suo atteggiamento. In un momento di grande angoscia e tensione ci si poteva aspettare anche una reazione diversa, piuttosto indispettita e irritata. Non succede così in casa nostra?
È più facile fare domande nervose, lasciarci prendere dalla rabbia, dall’irritazione per un’attesa delusa. Oppure ci rifugiamo nell’atteggiamento di chi fa finta che non sia successo nulla. Maria avrebbe potuto dire: «Va bene l’abbiamo ritrovato e non se ne parla più, è meglio non fare troppe domande, l’importante che lui sia contento…». Invece il tratto con cui Maria si pone è quello della gentilezza. Ed è un qualcosa di più di un tratto cortese del carattere, perché esercitato proprio in un momento di tensione. Però guardate cosa può la gentilezza: alleggerisce la tensione del momento ed è capace di far emergere lo stato d’animo di Gesù, del figlio.
Per essere gentili è necessario saper aspettare, ascoltare, saper cogliere il tempo interiore dell’altro e soprattutto non lasciarsi divorare dalla fretta che nulla consente di capire degli stati d’animo e delle attese dell’altro. Perché la gentilezza è come un ponte che mette in relazione e ci fa uscire dalla nostra presunzione di essere nel giusto e ci rende partecipi dell’interiorità dell’altro.
Quanti malintesi e quante incomprensioni, quanti conflitti e quante discordanze e quante violenze nella vita si eviterebbero se nelle comuni relazioni interpersonali non ci si dimenticasse di essere gentili. La gentilezza non costa nulla e quanto sarebbe utile se fosse presente nelle famiglie, nelle scuole, nel lavoro e nelle comuni relazioni quotidiane. La gentilezza come forma di vita. È la gentilezza di Maria che permette a Gesù di esprimere il senso e la verità della sua vita: «Devo stare nelle cose del Padre mio».
Gesù ci restituisce a questa consapevolezza: ci sono relazioni importanti tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra amici, tra colleghi… ma c’è una relazione, la più importante e necessaria, che è quella con l’Eterno. È questa la relazione necessaria. Se perdiamo di vista questa relazione con l’Eterno che è quella nella quale anche le altre trovano senso e significato, rischiamo di caricare di aspettative eccessive la vita matrimoniale, la vita famigliare, così che ora diventa un rifugio, ora diventa una prigione, ora diventa un assoluto…
Vogliamo pregare insieme oggi perché non dimentichiamo anzitutto di essere figli, e se fosse il caso di ricordarci di onorare il padre e la madre, come ci diceva la prima lettura. Ma anche di non dimenticare di amare il povero, l’ammalato…
E poi preghiamo perché ci sia dato di cercare la solidarietà tra famiglie, di costruire occasioni per intrecciare legami, momenti di incontro, per camminare insieme, come la famiglia di Gesù, in questo grande viaggio che è la vita.
Infine preghiamo ancora perché in questo viaggio della vita possiamo vivere quegli atteggiamenti che abbiamo incontrato nella pagina evangelica: da una parte l’ascolto, la capacità di porre le domande e di cercare insieme, e dall’altra la gentilezza perché nelle nostre relazioni sappiamo riconoscere che l’altro è sempre un dono di Dio.