IV DOPO PENTECOSTE - Mt 5, 21-24


Dopo aver ascoltato la pagina di Genesi sulla storia dei primi due fratelli Caino e Abele e dopo aver sentito Gesù insistere su come debba essere il rapporto tra fratelli… viene da chiedersi di quale fraternità si parli? Chi è mio fratello? Chi è sorella per me?

Ad una prima lettura il libro della Genesi sembra riferirsi alla fraternità di sangue: Caino e Abele sono figli della stessa madre. Mentre le parole di Gesù potrebbero far pensare al fratello inteso nel senso più ampio di chi appartiene alla stessa comunità, allo stesso gruppo. In questo caso sono da intendersi come fratelli e sorelle coloro che credono in lui.

Se le cose fossero così non avremmo niente di nuovo da dire e ci dovremmo rassegnare a continuare ad assistere a violenze, torture, uccisioni, guerre… fatte in nome della fraternità! Oggi i fratelli musulmani (sunniti) combattono i cosiddetti fratelli sciiti; ieri i cristiani si combattevano tra loro in nome della medesima fede…

Nella storia registriamo questo cortocircuito: ogni forma di comunità, di fraternità cerca la propria unione, la propria identità, ma ottiene questo in contrasto, se non in opposizione anche violenta con altri.

Ogni esperienza concreta di fraternità è incline, al di là del suo colore, a mitizzare se stessa e a presentarsi quale splendido e indiscutibile modello di convivenza umana, in contrasto o in contrapposizione ad altri, producendo come risultato un’ulteriore conflittualità. Siamo all’assurdo, che è quello di Caino il quale per affermare se stesso uccide il fratello Abele, al punto che ci domandiamo: è davvero possibile essere fratelli?

Caino (il cui nome può significare due cose: fabbro, ma anche geloso) e Abele (‘ebel: soffio), come Adamo e Eva, lungi dall’essere personaggi storici, per il fatto che sono rispettivamente agricoltore e pastore rappresentano la condizione umana che pur essendo fatta a immagine di Dio, che è la profonda uguaglianza che ci costituisce, in realtà è fatta anche di diversità. È un dato ovvio: siamo tutti diversi. Anzi la diversità nel genere umano è andata via via sempre più articolandosi: non solo alcuni uomini sono diventati pastori e altri agricoltori; ma alcuni costruiscono città, altri privilegiano la vita nomade; alcuni sono filosofi, altri scienziati, alcuni artisti, altri… l’essere creature significa essere uguali e diversi al tempo stesso.

È esemplare la condizione della famiglia nella quale i fratelli e le sorelle vengono appunto dalla stessa madre e dallo stesso padre, eppure sono diversi tra di loro, a volte diversissimi. Dico un’ovvietà, ma è la chiave di lettura della condizione del genere umano: siamo fratelli e sorelle in umanità, ma siamo diversi tra di noi. Siamo creati tutti a immagine di Dio, siamo pari in dignità, ma non siamo uguali, siamo diversi.

Questo allora dovrebbe aiutarci a non caricare il tema della fraternità di tonalità ideologiche, perché la fratellanza non si sceglie, fratelli si nasce, siamo fratelli e sorelle per il fatto che, come dice il termine greco (adelfov, dallo stesso grembo) noi tutti veniamo dallo stesso grembo della terra, della creazione. Tutto il genere umano è generato dal grembo di Dio.

Questo è il dato che non dobbiamo dimenticare! È questa la strada per camminare sul sentiero della fraternità, un sentiero sul quale dobbiamo tenere insieme la comune dignità di figli e di fratelli, e al tempo stesso il rispetto delle diversità.

Se guardiamo le cose dal punto di vista del creatore, potremmo forse pensare che qualcuno sarebbe meglio non ci fosse al mondo?

Se ci sono i nomadi, gli zingari, i senza fissa dimora, i gialli, i neri… così diversi da noi ma che sono figli di Dio e fratelli in umanità, non è forse perché il Creatore ci ricorda che anche noi, nonostante tutto siamo nomadi, abbiamo la terra in affitto e non in proprietà? Se la terra è di Dio, allora noi siamo tutti fratelli e se anche costruiamo e compriamo casa, siamo tutti nomadi, siamo tutti di passaggio.

Non sarà certamente il rispolverare qualche idea nazista ad aiutarci a costruire una convivenza civile! Piuttosto il futuro della nostra convivenza tra diversi dipende dalla risposta possibile per noi oggi alla domanda che l’Eterno rivolge a Caino, e che continua a provocarci: Dov’è tuo fratello?

Dopo quello che è successo, ci saremmo aspettati che Dio domandasse a Caino: Cosa hai fatto? Posta così la domanda sarebbe stata ovvia, almeno per noi, perché si tratta di stabilire di chi è la colpa, di analizzare quello che è successo, di capire le dinamiche dell’accaduto… No, la domanda non è sulla colpa, ma sulla responsabilità, la domanda non è sul passato, ma è aperta sul futuro: Dov’è tuo fratello?

È una domanda di responsabilità: il Signore vuole che Caino risponda, che il Caino che c’è in noi sappia rispondere, sappia dare conto di dove abbiamo messo l’altro, il diverso da noi. Tu sai dov’è l’altro? Cioè ti curi di lui o non te ne importa nulla? È una domanda che arriva dritta al cuore di tutti noi. «Il fatto che tutti gli uomini siano fratelli non è spiegato dalla loro somiglianza, è costituito dalla mia responsabilità di fronte a un volto che mi guarda» (Lévinas).

Dio chiede a ciascuno di noi di rispondere. E saper rispondere è responsabilità. La fraternità, l’essere fratelli non è semplicemente una questione di bontà, di sentimento più o meno intenso, la domanda di Dio è domanda di responsabilità, perché siamo responsabili dell’altro.

Non a caso ciò che definisce Caino non è il suo essere primogenito, essere agricoltore, essere più o meno religioso…. Egli è definito anzitutto come fratello di Abele. La sua responsabilità è nell’essere «fratello di».

Ed è questa mancata consapevolezza che pone sulle labbra di Caino una risposta appunto irresponsabile: «Non lo so. Sono forse custode di mio fratello?».

Caino dice di non sapere. Caino non sa dove sia il fratello. Non è che Dio gli abbia chiesto: Vuoi bene a tuo fratello, lo ami? Lo perdoni? Lo ascolti? La domanda chiede dov’è tuo fratello? Dov’è?

Puoi anche emarginarlo, escluderlo, cancellarlo dalla tua strada… ma nella tua coscienza sempre risuona la domanda: dov’è tuo fratello? E la risposta della storia umana è stata sempre quella di Caino: non so. Non voglio sapere dove sia.

C’è a Tarragona un chiostro dove un capitello mostra Caino, bambino geloso del fratellino che viene allattato dalla madre e cerca di strapparlo via dalle braccia materne. I monaci catalani del basso medioevo hanno rappresentato lì una profonda conoscenza: l’altro da sempre e da subito è il rivale, per questo Caino vorrebbe rispedire al mittente la questione: sono forse io il custode di mio fratello?

La diversità è colpa tua, sembrerebbe voler dire Caino a Dio. Sei tu che ci hai fatti diversi! Ma la risposta dell’Eterno è sorprendente perché Dio non solo non fa nulla per cancellare le diversità, ma mentre non fa nulla per difendere Abele, tuttavia protegge Caino dalla vendetta.

Caino ha salva la vita: Perché? Potrebbe essere un buon spunto di riflessione, perché se la Scrittura dice questo un significato deve averlo. Genesi dice che verrà punito chi reagisce al male con il male (chiunque ucciderà Caino subirà vendetta sette volte). Forse mi sembra possa collegarsi a quanto dice Gesù nel vangelo: in qualche modo la catena di reazione violenta va fermata, va interrotta.

Gesù stesso fa così, non parla molto di fraternità, ma si è fatto fratello non solo di chi lo ha amato e seguito, ma anche dei più miserabili, dei più repellenti, addirittura di chi gli ha usato violenza, di chi lo ha inchiodato al legno e li perdona.

Accettare di subire un’ingiustizia, una violenza, vincere l’odio con l’amore non è un’ideologia di fraternità, ma l’unica risposta di un futuro possibile alla domanda che sta sempre davanti a noi in tutta la sua inquietudine non solo perché non sappiamo rispondere, ma anche perché la fraternità non è mai pienamente realizzata. Non si è fratelli quando ci si ritrova o quando si crede di esserlo. La fraternità è sempre una domanda, un punto interrogativo.

Come credenti siamo appartenenti a un paese, a una nazione, a una cultura… ma siamo anche testimoni di una fraternità che va oltre le barriere del nazionalismo, del gruppo, dell’appartenenza per ricordare a tutti che il disegno di Dio, l’immagine di Dio è l’unità della famiglia umana, una fraternità che vive nel rispetto delle differenze e nella responsabilità di sapere dove è l’altro.

(Gen 4, 1-16; Mt 5, 21-24)