III DOPO PENTECOSTE - Mc 10, 1-12


Prima ancora della questione divorzio sì o no, già il modo in cui i farisei pongono a Gesù la domanda ci disturba, ci inquieta: per metterlo alla prova gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie (v.2). Oggi è inammissibile un quesito di questo genere: almeno vorremmo giustamente vedere riconosciuta la pari possibilità per la donna. Perché solo il marito può ripudiare la propria moglie? E lei non ha forse gli stessi diritti e doveri? Non è un soggetto giuridico a tutti gli effetti?

Quello che ci sembra un diritto ormai acquisito in realtà anche per la nostra cultura e civiltà è abbastanza recente: sono poco più di 70 anni (1946) che nel nostro Paese anche alle donne è stato riconosciuto il pieno diritto di votare e di essere votate. Basti pensare che Papa Pio X nel 1905 ancora diceva: «La donna non deve votare ma votarsi ad un’alta idealità di bene umano […]. Dio ci guardi dal femminismo politico».

Voglio dire che per noi queste sono conquiste culturali e sociali, anche spirituali e teologiche, ma ancora da implementare. Anche perché non mancano comunque delle resistenze. Non è raro sentire dire che il cambiamento avvenuto in questi ultimi decenni sia stato messo in moto dall’emancipazione della donna, come se fosse appunto responsabilità della donna se i giovani non vogliono sposarsi, se aumenta il numero delle separazioni, mentre diminuisce il numero dei figli. Anche questa è una forma di maschilismo nemmeno tanto nascosto di chi vuole dominare la donna.

Quando oggi invece è necessario, infatti, che la donna non solo sia più ascoltata, ma che la sua voce abbia un peso reale, un’autorevolezza riconosciuta, nella società e soprattutto nella Chiesa.

È stato pubblicato un interessante documento preparatorio del Sinodo dei Vescovi per l’Assemblea speciale per la Regione Panamazzonica, dove finalmente si ha il coraggio di porre la questione in questi termini: Occorre individuare quale tipo di ministero ufficiale possa essere conferito alla donna, tenendo conto del ruolo centrale che le donne rivestono oggi nella Chiesa amazzonica (n.14).

Senza dover andare fino in Amazzonia, basterebbe guardare dentro ciascuna delle comunità e delle parrocchie italiane per vedere come la vita pastorale stia di fatto in piedi grazie al servizio generoso e intelligente di tantissime donne: dalla catechesi alla carità, dalla liturgia all’impegno nei vari servizi pastorali.

Una situazione che tuttavia viene tenuta silente, non viene mai messo a tema il ruolo e i compiti della donna, facciamo finta che le cose possano e debbano andare avanti così… Allora ben venga dalle chiese dell’ Amazzonia la capacità di porre il tema sinceramente e senza ipocrisie, perché questa è la vera questione: facciamo fatica a scrollarci di dosso una cultura patriarcale, un modo di stare al mondo che ci precede e che è nel nostro DNA fin dal primo giorno di vita.

Anche Paolo, l’abbiamo sentito, non riesce a non essere maschilista: le mogli siano sottomesse ai loro mariti… poi come se gli venisse un qualche dubbio, aggiunge come al Signore. Sì, ma la sottomissione non va, è inaccettabile anche perché se voleva risolvere la questione in realtà l’ha resa ancor più complicata in quanto se per un verso può andar bene che il termine di paragone per la donna sia la chiesa, di contro non è bello che invece il termine di paragone per il marito sia Cristo!

Non solo, ma si finisce per gettare sopra due persone il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste tra Cristo e la sua Chiesa, quando in realtà, tra l’amore di Cristo per la Chiesa e il rapporto uomo-donna, come scrive papa Francesco nell’esortazione apostolica Amoris Letitia(n.122), esisterà sempre un’asimmetria invalicabile e un insopprimibile rimando.

Con queste premesse possiamo ascoltare la risposta di Gesù che comunque trovandosi in un contesto culturale di secolare maschilismo, rimanda al principio, che non è necessariamente l’inizio. Il principio e il fondamento cui Gesù rimanda è il disegno di Dio: l’uomo e la donna insieme nella loro unità differente costituiscono un’icona di Dio. Insegnano i rabbini che l’Eterno non ha tratto la donna dalla testa dell’uomo perché non gli comandasse, e nemmeno dai suoi piedi, perché non la sottomettesse e fosse la sua schiava, ma la trasse dal suo fianco, perché camminasse più vicina al suo cuore.

E il fatto che Dio plasmi la donna mentre l’uomo dorme, sottolinea proprio che lei non è in alcun modo una creatura dell’uomo e quindi dipendente da lui, ma è creatura di Dio. La metafora del sonno suggerisce anche un’altra cosa: per trovare la donna – e possiamo dire per incontrare l’amore nella donna -, l’uomo prima deve sognarla e per poi trovarla.

Ancora oggi nel recitare una preghiera ebraica del mattino, il marito si rivolge a Dio dicendo: Benedetto sei tu Signore che non mi hai creato donna! E la donna invece con voce sommessa deve dire: Benedetto Tu Signore che mi hai creata secondo la tua volontà.

Ora racconta un midrash che una coppia, Michael e Lea, si amava a tal punto che quando lui al mattino arrivava a dover dire queste parole, si rattristava perché aveva la chiara sensazione di procurare dolore a sua moglie e poi sentiva di pronunciare delle parole che non corrispondevano al suo sentire e al suo pensare. Decisero allora di comune accordo che dal mattino seguente qualcosa sarebbe cambiato nelle loro preghiere. Così l’indomani all’alba Michael disse: Benedetto Tu Signore che mi hai creato uomo, e Lea a voce alta come mai aveva fatto fino ad allora, pregò: Benedetto sei Tu Signore che mi hai creata donna.

A questo rimanda Gesù facendo memoria di cosa c’è al principio dell’amore: c’è il dono di una persona per te. Hai il dono di un uomo, hai il dono di una donna e questo dono va curato, sostenuto, nutrito, e questo è importante, ed è la seconda riflessione che mi suggerisce la parola di Dio oggi: la cura della relazione.

Il pretesto posto dagli oppositori di Cristo è simile alle resistenze espresse più o meno con trasparenza al momento della pubblicazione dell’esortazione apostolica di papa Francesco Amoris letitia (2016) di chi si ferma alla questione: Si può o non si può? È lecito o non lo è? Non posso che rimandare al testo intenso e ricchissimo di papa Francesco e che non possiamo ovviamente riassumere né ridurre in pillole. Ma un concetto è chiaro, la cura della relazione che tende a far sì che non son più due, ma una sola carne.

Dobbiamo stare attenti perché la cura della relazione viaggia tra le false idealizzazioni e le cadute deprimenti. L’amore tra i due è un cammino e una lotta. Succede quando assolutizziamo la forma romantica dell’innamoramento, spesso con fantasmi fortemente adolescenziali, che andiamo a produrre un’esaltazione e un’idealizzazione di modi dell’amore che non possono durare.

Consideriamo la formula dell’acqua e solo dopo la sua forma. Nella molecola H2O ciascun elemento dà all’altro ciò di cui ha bisogno per costruire il legame più semplice e compiuto dell’universo. È da questa relazione che dipende la vita (Alessandro D’Avenia). Nelle relazioni generative 1+1 fa 3, proprio come l’acqua.

La formula dell’acqua diventa la più cristallina lezione sulle relazioni, qualsiasi relazione, soprattutto quelle coniugali: esse danno vita, sono generative e rigenerative, solo quando uno dà all’altro ciò di cui l’altro ha bisogno, altrimenti sono degenerative.

Più di tutti gli animali l’uomo reagisce all’atto stesso della cura, cioè cresce grazie alla qualità e alla molteplicità delle relazioni. Siamo immersi in tanti tipi di relazioni, ma è dalla loro qualità dipende tutta la nostra vita.

Facciamo l’esempio di un bambino: non sarà intasando il suo tempo con mille corsi che si ottiene l’adulto che speriamo, piuttosto sarà passando molto tempo a giocare con lui, perché il gioco non avendo secondi fini, è la cura stessa della relazione e la palestra migliore per aprirsi, scoprire, conoscere…

Oggi preferiamo curare le nostre aspettative moltiplicando rassicuranti performance esteriori, più che curare le relazioni con attenzioni che ci impegnano in prima persona. Ecco cosa fa morire e cosa fa rinascere un matrimonio: la cura della qualità della relazione più che la quantità di cose, di prestazioni…

La formula dell’acqua genera la forma dell’acqua in cui convivono profondità e superficie, forza e versatilità, trasparenza e colori, freschezza e fecondità, continuità e novità…

Sarà che anche nell’acqua si insinuano inquinanti sempre nuovi e diversi, che costituiscono le sfide di oggi, perché nessuno è garantito dalla possibilità di sbagliare, di cadere, di farsi del male. Ma rimaniamo fiduciosi: anche nei nostri fallimenti Dio apre la possibilità di un avvenire. Questa è la formula dell’alleanza nuova ed eterna che dà sostanza alla forma della nostra capacità di amare.

(Gn 2, 28-25; Ef 5, 21-33; Mc 10, 1-12)