EPIFANIA DEL SIGNORE - Mt 2, 1-12


L’annuncio della Pasqua già ci indica verso quale epifania si sta avviando il bambino di Betlemme : l’epifania della morte sulla croce e della risurrezione alle porte di Gerusalemme.

Se noi leggessimo tutto il cap. 2 di Matteo verremmo già introdotti in questo modo di vedere le cose. La manifestazione di Gesù è posta tra due tensioni fortissime: c’è la tensione che è data dal cammino dei magi che vengono da oriente seguendo una stella alla ricerca del re dei Giudei. E noi ci domandiamo cosa interessa a loro cercare il re dei Giudei? Però qui c’è già un’indicazione importante.

E poi abbiamo l’altra tensione espressa da Erode che addirittura convoca il sinedrio, come appunto avverrà nei giorni della condanna di Gesù, sulla cui croce ritornerà peraltro questo titolo enigmatico: il re dei giudei.

È fortissimo il contrasto tra il terrore di Erode e la ricerca sincera dei magi: in mezzo ci sta Gesù, uno che non ha ancora imparato a capire dove si trova e già è motivo di discussione e tra l’altro scampa a una strage. Ma non gli è appena stato dato il nome “Gesù” che significa “Dio salva”? E come succede che prima ancora di salvare, debba essere salvato?

Scrive uno scrittore contemporaneo: «È dimostrato da Mosè in poi, che ne scampa sempre uno, quello giusto, quello che è un riassunto di tutti gli altri uccisi. Chi si trova ad essere resto di innumerevoli assenti, assume e contiene le energie di quelle vite impedite. Fare prodigi, allora, è solo un piccolo risarcimento.

Un angelo avvertì in sogno suo padre dell’agguato, così fuggirono di notte senza aspettare l’alba e questo spiega perché Iosèf non avvertì nessuno del sogno e del pericolo. Non spiega perché l’angelo non visitò anche qualche altro padre: aveva l’autonomia di volo di un sogno solamente?» (Erri de Luca, Penultime notizie circa Gesù, p. 49).

La nascita del Cristo che è l’epifania di Dio, come già l’epifania di domenica scorsa nella sinagoga di Nazareth, interroga la nostra libertà. Cerchiamo di comprendere: perché Erode e con lui tutta Gerusalemme rimangono sconvolti da un bambino e perché invece dei saggi che vengono da oriente si inginocchiano e lo adorano?

Il re Erode rimase turbato e con lui tutta Gerusalemme. Forse il verbo è tradotto con  delicatezza eccessiva, perché il verbo è lo stesso per intenderci che descrive la reazione dei discepoli quando vedono Gesù camminare sul lago: furono turbati e si misero a gridare dalla paura (Mt 14, 26).  È anche il verbo che dice l’agitarsi dell’acqua (Gv 5,7), dei sentimenti che ribollono, delle idee che si aggrovigliano … (è anche il verbo del turbamento di Gesù in Gv 11, 33 e 12, 27).

Che cosa riesce a scombussolare i pensieri di Erode, perché deve avere paura di un bambino al punto da costringere la famiglia di Gesù a fuggire in Egitto e a ordinare una strage dei bambini che stavano nel territorio di Betlemme e che avevano da due anni in giù?  Erode sapeva che il suo ordine avrebbe suscitato la rabbia della popolazione e non era così stupido da sfidare questa collera senza un motivo valido. Ciò che turba Erode è una domanda: dov’è il re dei Giudei?

Il potere delle domande è molto più dirompente di tante affermazioni. Domenica scorsa ricordavo come Israele non fosse autorizzato a darsi un re … perché allora Erode è chiamato re?  Perché Erode il Grande aveva fatto di tutto per ottenere dall’imperatore Augusto il titolo di re e il senato romano glielo aveva accordato. Il problema è che Erode non era giudeo, era idumeo, e sapeva bene che in quanto tale non avrebbe mai potuto essere accettato dal popolo come re, poiché questi doveva venire dalla tribù di Giuda, doveva essere discendente di Davide.

Allora cosa fece Erode? Siccome tutti in Israele sapevano che il tempio sarebbe stato ricostruito dal messia, si mise a restaurare e ampliare il Tempio, dimostrando così la sua pretesa messianicità. Ma il popolo non lo voleva e  non lo amava perché, anche se riuscì a governare per più di trent’anni a Gerusalemme, fu un despota terribile e crudele.

Quando a Erode viene chiesto  “dove è nato il re dei giudei?”, la sua reazione è certamente di grande sconvolgimento, per questo convoca d’urgenza il sinedrio, il gran consiglio di tutti i capi dei sacerdoti e degli scribi, perché, dice Matteo, doveva sapere il luogo in cui doveva nascere il Cristo e lo voleva sapere per eliminarlo. Erode aveva paura di perdere il trono, di essere spodestato.

Da questa paura nascono tutte le cose peggiori di cui può essere capace un uomo, e specialmente un uomo di potere e le vediamo condensate nel 2° capitolo di Matteo: inganno, falsità, uso strumentale degli altri, violenza, prevaricazione sui deboli … fino al punto di considerare la morte dell’altro come necessaria alla propria sopravvivenza.

Perché l’uomo quando è abitato dalla paura, dalla paura di perdere prestigio, di fare brutta figura si espone al ridicolo… . C’è una forte ironia di Matteo in questo racconto: la tracotanza di un orgoglioso viene fatta vacillare da un bambino! Nella sua ottusità Erode viene messo in ridicolo da un bambino.

Questa è la storia di sempre, è la cronaca di ogni popolo. Così come ancora oggi Erode teme il Vangelo fatto uomo. Erode teme il Vangelo che esce dal tempio e percorre le vie della città e con la sua sola presenza – notate Gesù non ha ancora detto una parola – ma con la sua sola presenza mette sotto sopra i piani degli impostori, degli approfittatori e dei violenti.

Ancora oggi Erode teme il Vangelo quando questo si fa concretezza, quando vive nelle persone che credono a costo di pagare di persona.

Grazie al cielo, ed è proprio il caso di dirlo, nella storia del mondo ci sono anche persone come i magi, che con la loro ricerca dicono la potenza delle domande e sono il simbolo di quella carovana di generazioni e di culture che mosse da una sana inquietudine cercano di decifrare gli ardui e affascinanti confini dell’esistenza.

Mi piace immaginare con Isaia che appartengano a quello stuolo di cammelli e di dromedari che vengono da Madian (nella penisola del Sinai) e da Efa (suo figlio che sale dall’Arabia) tutta gente che viene da Saba (l’attuale Yemen) per salire a Gerusalemme.

Parole profetiche quanto mai attuali: osiamo credere che proprio da quelle terre da cui temiamo arrivino violenza e terrore, possono arrivare anche autentici cercatori di Dio? Cercatori di pace?

A queste carovane interminabili nella storia umana appartengono tutti quegli uomini e quelle donne liberi e inquieti che cercano, si interrogano, scrutano il cielo e si affidano a una stella.  La stella è il segno, la stella sono i segni dei tempi, le occasioni della storia, il linguaggio silenzioso delle cose che ci ricordano la nostra vera appartenenza.  Il nostro stesso corpo è fatto di polvere di stelle, come ad esprimere la nostra sete di infinito.

Ma la stella da sola non basta: i magi infatti non salgono direttamente fino a Betlemme, devono passare per Gerusalemme. È da Sion che esce la Torah, da Gerusalemme esce la parola del Signore (è il sottinteso della domanda: dov’è il re dei Giudei?). La stella conduce alla Scrittura e la Scrittura riaccende la stella: insieme conducono all’epifania dell’Emanuele, del Vangelo fatto uomo e lì davanti a lui la vita diventa dono.

S. Ambrogio ci insegna che l’oro è dato al re, l’incenso a Dio e la mirra all’uomo: nei tre doni è significata l’identità stessa del bambino Gesù che è re, figlio di Dio e uomo; ma anche la nostra vita diventa dono: l’oro dei nostri affetti e del nostro lavoro, l’incenso della nostra preghiera e della nostra fede, e la mirra, l’unguento della nostra sofferenza e del nostro dolore.

Ma se questa è la festa delle domande, non possiamo congedarci senza chiederci: di che cosa è epifania la nostra vita? Di che cosa è epifania la nostra comunità e la nostra Chiesa? Epifania non del nostro ego, del nostro orgoglio oppure epifania del Vangelo perché altri cercatori di Dio lo possano incontrare e non abbiano a cambiare strada per poterlo riconoscere?

(Is 60, 1-6; Tt 2, 11-3,2; Mt 2, 1-12)