V DOPO PENTECOSTE - Lc 9, 57-62
A mettermi nei panni di Abramo non so cosa avrei pensato, di sicuro avrei posto delle resistenze: Non può Dio chiedermi una cosa del genere, come fa a 75 anni a domandarmi di traslocare? Avrei comunque dubitato: È veramente Dio che parla o è una mia suggestione?
Quanto diciamo di lui, dobbiamo pensarlo anche per Sara: anche lei destinataria di una parola impossibile: resa madre dopo la menopausa è davvero incredibile. Comunque non si capisce come la parola di Dio sia giunta ad Abramo e a Sara: una parola dall’esterno, una rivelazione interiore che si è fatta strada lentamente in loro e che hanno interpretato come parola di Dio? Non sappiamo, quello che sappiamo è che Abramo prende e parte, Abramo ubbidisce e Sara con lui. Potevano anche non farlo, potevano dire: No caro Dio alla nostra età non ci imbarchiamo in un’avventura del genere. Lasciare tutto, tutto quello che abbiamo costruito nella nostra lunga e laboriosa vita… portarci via quattro cose e ricominciare da zero. È un po’ troppo!
Abramo e Sara obbediscono e partono. Quando parliamo della fede di Abramo e di Sara, come ci dice la lettera agli Ebrei, parliamo di una fede così. C’è chi sostiene che la fede sia un’invenzione umana per rassicurarci di fronte ai problemi, per tranquillizzarci nelle nostre inquietudini. Considerano la fede un’invenzione dell’uomo per darsi pace e serenità nelle turbolenze della vita e alle tante domande senza risposta.
Se guardiamo la fede di Abramo e di Sara è esattamente il contrario. La fede ribalta e sconvolge l’esistenza di un uomo e di una donna di 75 anni che avrebbero diritto alla pensione, a starsene tranquilli, a godersi la vecchiaia. Invece la fede intesa come parola di Dio che ti cerca e alla fine ti incontra, è un’esperienza che ti obbliga a cambiare. Non ti fa stare tranquillo, ti rende inquieto. Abramo e Sara prima della chiamata di Dio stanno benissimo, si godono la loro vecchiaia, si godono la loro pensione – diremmo noi oggi – a pieno diritto.
Questa è la fede che sovverte la nostra tranquillità e che sconvolge le nostre abitudini e i nostri modi di pensare: se ascolti la parola di Dio devi essere pronto a tutto. Questo è scomodo per due anziani, ma lo sarebbe comunque anche per due trentenni.
Ancor più perché, ecco un secondo aspetto, Dio chiede di prendere tutto il tuo bagaglio e di partire per dove? Te lo dirò. Ma Dio non glielo dice. Verso il paese che ti indicherò, ma non glielo indica. Partono verso l’ignoto fidandosi solo della parola di Dio. Questa è la fede: un viaggio che sai più o meno quando comincia, ma non sai quando finisce. Qual è questa terra promessa? Noi pensiamo alla Palestina, alla terra di Canaan, come si chiamava allora, alla terra promessa. Ma c’è davvero questa terra?
Fatto sta che quando Abramo e Sara arrivano in Canaan non prendono dimora lì, non si fermano. Questo è un altro paradosso: perché la terra che Dio ti indica, non è un confine, una frontiera, ma è lui, Dio stesso. Non è come è stato per Ulisse il tornare alla sua Itaca, dove lo aspetta Penelope. Per Abramo e Sara non si tratta di tornare a Ur dei Caldei o di fermarsi nella terra di Canaan… perché la chiamata di Dio è la chiamata a un viaggio che dura tutta la vita e terminerà, secondo la promessa biblica, soltanto quando saremo davanti a Dio, faccia a faccia.
In una fede intesa così, come ‘cammino di fede’, Gesù ci ammonisce su una serie di ostacoli che andiamo ad incontrare, nel senso che ammiriamo la fede di Abramo e di Sara, il loro obbedire alla parola di Dio e a mettersi in cammino… ma sappiamo anche che lungo la strada si incontrano ostacoli, difficoltà, tentazioni.
La prima è la tentazione della tana, del fare il nido: la volpe per quanto sia astuta alla fin fine si rifugia anch’essa nella sua tana, così come gli uccelli del cielo pur godendo della loro libertà hanno bisogno di costruirsi dei nidi. È la tentazione della madre, della tana appunto dove rifugiarci e trovare conforto. Come può essere la tentazione ad esempio del culto, del tempio, della liturgia come una sorta di confort zone di ripiegamento, ma Gesù non si concede nemmeno questa.
La seconda tentazione è quella del padre, quella del si è sempre fatto così, delle abitudini, delle regole, delle norme che sembrano poter risolvere l’inquietudine della fede nell’osservanza formale. Ma significa spegnere la vita, seppellire i morti è l’opposto del cammino, dice Gesù senza mezzi termini.
Infine nel cammino di fede c’è una terza tentazione, quella della casa, delle relazioni di sangue, della famiglia… e qui abbiamo uno spaccato particolare della prima generazione di discepoli disposti a lasciare tutto e tutti per annunciare il Vangelo. Il movimento carismatico iniziato da Gesù chiede annunciatrici e annunciatori liberi dai legami, liberi di andare, liberi per il regno di Dio.
Il che non significa disprezzo e rifiuto della famiglia e dei legami di sangue, tuttavia l’annuncio del Vangelo esige il superamento di quelle priorità, l’andare oltre gli interessi della famiglia. Così che il volgersi indietro comporta l’andare a sbattere… perché, ce lo ricorda il v13 della lettera agli Ebrei: Nella fede morirono senza aver ottenuto i beni promessi… dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra.
Il Signore non ci offre tane o nidi, ma ci ricorda di essere tutti stranieri e pellegrini sulla terra verso la promessa di Dio.
(Gen 11,31.32-12,5; Eb 11,1-2.8-16; Lc 9,57-62)