IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA B.V. MARIA - Lc 1, 26-28
Dio non fa mai la storia da solo, la fa sempre con noi. Anche se questa affermazione che può apparire scontata, in realtà è più complicata del previsto, perché in qualche modo Dio si prende anche dei rischi, come quello della nostra inaffidabilità. Lo sperimentiamo ogni giorno.
Oggi celebrando la festa dell’Immacolata concezione di Maria, veniamo a sapere che Dio non si ferma nemmeno davanti a questi ostacoli dettati dall’inaffidabilità umana. Non sarà certo il nostro peccato a impedire all’amore di Dio di realizzarsi.
Non leggiamo la pagina di Genesi come la cronaca di una storia antica: non c’era nessun giornalista nel giardino delle origini, non c’era nessun prete per confessare Adamo ed Eva… è la nostra condizione quotidiana, che è quella di «mangiare» non tanto di un frutto proibito, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male, che significa confondere il bene con il male, che significa guardare Dio con il sospetto che in qualche modo sia il limite della nostra libertà…
Quello che succede loro per prima cosa è che ottengono il risultato immaginato dal serpente parlante (!), non diventano come Dio, pensano di esserlo. Dio piuttosto diventa qualcuno di cui avere paura, perché i due si nascondono e non vogliono farsi trovare dal loro Creatore…
In secondo luogo, l’abbiamo sentito nella lettura oggi, si danno la colpa l’un l’altro: «È stata lei!». E lei: «È stato lui, il serpente»… insomma, sembra di assistere a una situazione di sempre.
Ma c’è un’altra conseguenza dovuta alla rottura del rapporto di fiducia con Dio, che non solo riguarda Dio, non solo riguarda i due, ma riguarda la storia umana. Sono le parole di maledizione sul serpente, su un serpente che parla e che non esiste, nel senso che sono parole di maledizione e di inimicizia che accompagneranno sempre la storia del mondo. Non sono la condanna di un Dio arrabbiato con l’uomo a tal punto che gliela fa pagare, ma sono l’amara constatazione che non ci possa essere via d’uscita da questa condizione di inaffidabilità.
L’uomo, l’essere umano inteso come maschio e femmina, sembra condannato a stare in questa condizione da cui è incapace di affrancarsi con le sue forze, la sua intelligenza, la sua volontà, il suo impegno… non riuscirà a liberarsi da questa esperienza che ci accomuna e che è il sospetto, la paura nei confronti di Dio, nei confronti dell’altro, nei confronti dei fratelli (Caino e Abele), nei confronti dell’umanità (torre di Babele).
Constatazione amara, ma reale che non appartiene a un mondo lontano, ma nella quale siamo immersi. Dio a nessuno di noi potrebbe rivolgersi dicendo: Rallegrati, sei pieno di grazia, il Signore è con te! E come appunto dice la Genesi saremmo condannati a una vita triste.
Il vangelo, che è una bella notizia, ci dice che Dio stesso ha preso l’iniziativa per condurci fuori da questa impasse, da questa condizione assurda, facendosi esso stesso uomo, Dio sperimenta la nostra assurdità, la abita fino in fondo, ma aveva bisogno di una madre, come ogni uomo per venire al mondo cercava un grembo.
E qui il racconto lascia il posto alla poesia. Le parole di Alda Merini ci aiutano a entrare in questo mistero, quando fa’ dire a Maria:
«Una voce come la Tua
che entra nel cuore di una vergine
e la spaventa,
una voce di carne e di anima,
una voce che non si vede,
un figlio promesso a me,
tu ancella che non conosci l’amore,
un figlio mio e dell’albero,
un figlio mio e del prato,
un figlio mio e dell’acqua,
un figlio solo:
il Tuo.
Come non posso spaventarmi
e fuggire lontano
se non fosse per quell’ala di uomo
che mi è sembrata un angelo?
Ma in realtà, mio Dio,
chi era?
Uno che si raccomanda,
uno che mi dice di tacere,
uno che non tace,
uno che dice un mistero
e lo divulga a tutti.
Io sola, povera fanciulla ebrea
che devo credere e ne ho paura, Signore,
perché la fede è una mano
che ti prende le viscere,
la fede è una mano
che ti fa partorire» (Mistica d’amore, pp. 89-90).
La fede è una mano che ti prende le viscere, una mano che ti fa partorire.
Noi oggi celebriamo questa iniziativa che è unica perché Maria è chiamata a dare casa a Dio, a diventare il grembo nel quale il Figlio di Dio, che è l’amore per eccellenza, imparerà ad amare, come ogni cucciolo di uomo.
Per questo Maria deve essere contenta, deve essere felice, come dice l’angelo: «Rallegrati, piena di grazia», dove quel piena di grazia traduce un’espressione greca più ricca (kecharitoméne), un participio perfetto di forma passiva. Un perfetto, che in greco indica un’azione passata, compiuta in un momento preciso, ma che perdura nel presente. Maria è stata e rimane amata da Dio.
Questo è il testo biblico che fonda il dogma che noi formuliamo in termini negativi dicendo che Maria «è stata concepita senza peccato…», quando la Scrittura afferma che lei è la piena della grazia. Nel senso che chi la colma di questo amore gratuito è l’Eterno, per cui l’essere piena di grazia, prima ancora di costituire una qualità di Maria, rivela l’atteggiamento del Signore nei suoi confronti. Ed è il motivo per cui Maria deve essere contenta, come le dice Gabriele: Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te.
Il motivo della gioia Maria non lo trova in sé stessa come soddisfazione dei risultati che ha raggiunto, la gioia di Maria non sta semplicemente nel fatto che può aver compiuto il suo dovere, perché si è sempre comportata bene, ma sta nel fatto che il Signore l’ha avvolta nella grazia, l’ha colmata del suo amore gratuito, il Signore è con te.
È un po’ come se gli dicesse: «Guarda Maria, tu hai i tuoi progetti, i tuoi sogni e sei tutta presa come ogni fidanzata che deve preparare il proprio matrimonio. Non vedi l’ora di realizzare il tuo disegno, il suo sogno d’amore che è appunto quello di andare in sposa al tuo fidanzato, al tuo amato Giuseppe, e questo avverrà, ma il Signore ti chiede di posare il tuo sguardo su un disegno più grande, certamente più grande di te, perché è il sogno di Dio per ridare speranza all’umanità, ad ogni uomo.
E questo non per i tuoi meriti, Maria, ma per pura grazia, così che conoscendo Gesù e seguendo lui, ogni persona ritrovi quella fiducia in Dio che invece si è interrotta nel cuore di ogni “adamo” e di ogni donna e che ha guastato, come raccontava la Genesi, anche i rapporti delle persone tra di loro».
È se è vero che questa è un’iniziativa unica, è anche vero però che questa parola di speranza risuona per noi, come racconta l’esperienza di Paolo che a sua volta ha potuto cantare come abbiamo ascoltato nella seconda lettura: Benedetto Dio Padre del Signore nostro Gesù Cristo!
Proviamo a pensare se invece di pregare con le parole latine: Ave Maria, che ci tengono sospesi tra tristezza e rassegnazione, potessimo ripetere con l’angelo Gabriele – anche nei momenti più difficili: Rallegrati Maria! Che è l’antico invito dei profeti alla figlia di Sion: Gioisci figlia di Sion! Rallegrati figlia di Gerusalemme!
Sono parole che dicono la fiducia, la gioia per la fedeltà di Dio, e allora come Maria potremo generare speranza, fiducia, essere grembi di vita.
La pietà popolare ha raffigurato Maria con moltissime immagini, i titoli a lei affidati sono numerosi: del pianto, del sorriso, del latte, ma anche dei monti, del mare, del fiume e dei colli; dei malati, dei dispersi, dei feriti.
Tutte le immagini che la tradizione cristiana ha sviluppato nei secoli, vogliono dire che la sua maternità è universale nel tempo, nello spazio, nei sentimenti e nelle emozioni.
Il suo Dio era il Dio di tutti: ella rispecchia l’attenzione verso tutti, come ogni madre è attenta ai figli. Anzi, se qualcuno di essi è fragile, le sue attenzioni si moltiplicano, così da non lasciare indietro la creatura più debole.
Noi tutti viviamo perché un giorno una donna ci ha detto il suo sì, ci ha ricevuto e ci ha accolto. Noi tutti viviamo grazie alle viscere di misericordia di una donna.
Infatti noi possiamo fare a meno di molte cose, ma non di una casa e tantomeno di un amore. Possiamo essere poveri di tante cose, ma per vivere abbiamo bisogno di un tetto e di molto amore.
È la missione che l’Eterno affida a questa donna: lei stessa sarà casa dell’amore, della grazia di Dio, perché Dio non si merita, non si conquista, ma lo si accoglie, che è un atteggiamento materno, la donna è la dimora dove si attua l’accoglienza ospitale più alta: quella della vita.
Preghiamo perché accada così anche per la chiesa di Dio che siamo noi.
(Gn 3,9-15.20 – Ef 1,3-6.11-12 – Lc 1,26-28)