XXIX DEL TEMPO ORDINARIO - Lc 18, 1-8


 (Es 17, 8-13; Lc 18, 1-8)

Il vangelo di oggi termina con una domanda. Una domanda inquietante. A noi che cerchiamo risposte, perché di domande ne abbiamo già tante che incalzano dentro di noi, oggi Gesù pone una questione che vorrebbe aiutare la nostra fede a non addormentarsi, a non fossilizzarsi, a restare viva e persino a crescere. Vi invito a prendere sul serio questa domanda di Gesù.

Anzitutto il Signore non ci chiede se troverà la religione o le religioni sulla terra. Di religione e di religioni ce ne sono anche troppe. Non ci chiede neppure se troverà l’amore, che forse è la prima cosa che chiederemmo se toccasse a noi porre domande decisive, dato che Gesù stesso aveva riassunto tutta la Torah e i Profeti nell’unico comandamento dell’amore, amore di Dio e amore del prossimo. Ma non è questa la domanda che ci è posta.

E potremmo continuare ad elencare le cose che per noi sono importanti e che stanno in cima alla scala gerarchica dei nostri valori (la salute, la pace, la vita stessa …), ma la domanda di Gesù è chiara e non lascia spazio a fraintendimenti. La domanda è se troverà la fede, come se fosse la cosa più importante, quasi la madre di tutte le cose.

Anche domenica scorsa all’unico lebbroso che era tornato a ringraziare, Gesù aveva detto: la tua fede ti ha salvato! E così diverse volte nel vangelo Gesù indica la fede come la cosa che più conta nella vita. Non so se per noi la fede sia così importante come per Gesù, se sia anche per noi la cosa che cerchiamo di più, se sia ciò che ci sta a cuore più di ogni altra cosa.

Ma mi rendo conto che dobbiamo sgomberare il campo da qualche ambiguità, perché affermare di mettere la fede al primo posto oggi, potrebbe trovarci perplessi: di questi tempi in cui sembra che la storia venga scritta dai fondamentalisti di ogni genere e di ogni scuola, prendiamo la distanze da ogni forma di assolutizzazione. Perché il fondamentalismo – e non c’è solo quello islamico – sotto il mantello di Dio, assolutizza se stesso e credo che Gesù se tornasse oggi sulla terra troverebbe tante di queste assolutizzazioni, ma non sono queste la fede che Gesù cerca, perché la fede che lui ha annunciato e vissuto è una fede che perdona il peccatore non che lo annienta; è una fede che porta salvezza, non che conduce a rovina. Per contro il fondamentalismo non porta amore, ma odio; tantomeno porta pace, piuttosto violenza; non dà vita ma distribuisce morte.

La domanda che pone Gesù dunque, lungi dall’essere una curiosità, un bisogno di sapere e di fare previsioni, è una questione per aiutarci a sintonizzare la nostra fede, non solo come fede in Gesù, ma sulla fede di Gesù. Anche oggi tanti dicono di credere in Gesù, il Signore però ci domanda di credere, di avere una fede, come lui ha avuto fede.

E la sua fede, ci racconta, è come quella della di una vedova. Una fede che non si rassegna all’ingiustizia, non l’accetta, non si arrende, non dà pace al giudice e arriva a chiedere l’impossibile: che faccia giustizia lui che è un giudice iniquo, cioè un giudice che non fa giustizia ma ingiustizia.

Ecco la fede che Gesù cerca: la fede per la quale, anche se la città è governata da un giudice iniquo come infatti lo è – il giudice è figura del potere costituito che non fa quello che dovrebbe fare – la vedova combatte una battaglia infinita e alla fine vince lei. Il potere sordo, indifferente, refrattario è costretto a cedere e persino nella città governata dal giudice iniquo, cioè nel nostro mondo governato da poteri che non amano la giustizia e non la fanno, alla fine giustizia viene fatta.

Ecco la fede che Gesù vorrebbe trovare sulla terra e possibilmente nella Chiesa: una fede che malgrado le innumerevoli delusioni, frustrazioni, sconfitte nel tentativo di stabilire la giustizia sulla terra, non si dà pace, non abbassa le braccia come dice l’icona di Mosé, finché sulla terra non è fatta giustizia.

Abbiamo avuto in questi giorni, sia pure tra le numerose notizie di morte e di violenza, una parabola straordinaria di come la fede vince le montagne. Ripenso alla vicenda dei minatori in Messico che dopo mesi trascorsi nel ventre della terra, sono tornati ai loro affetti e alle loro case. Cosa ha permesso loro – insieme alle braccia che li hanno sostenuti dall’esterno – di resistere e di tenere viva la loro speranza di tornare alla luce se non la fede, la certezza di potercela fare?  Non vogliamo continuare anche noi a credere che il Signore ci farà uscire dalla condizione di buio, di tenebra e di oscurità che attanaglia il nostro tempo?

Siamo troppo impazienti: vogliamo che tutto sia veloce, svelto, rapido. È vero abbiamo accorciato i tempi e le distanze: i treni vogliono essere sempre più veloci, i voli aerei lo stesso, i media elettronici in pochi secondi fanno circolare informazioni da un capo all’altro del pianeta. Questo potrebbe farci dimenticare che non possiamo sopprimere le legge del tempo: occorrono comunque nove mesi perché un bimbo possa nascere e poi quanta pazienza e perseveranza ci vogliono, una volta venuti al mondo, per diventare adulti!

Quando Luca all’inizio della pagina di oggi scrive: Gesù diceva ai suoi una parabola sulla necessità di pregare sempre senza stancarsi mai, ci indica l’atteggiamento autentico con cui stare nella storia, nelle contraddizioni della vita, cioè con il cuore nell’Eterno, nella fiducia del suo tempo e della sua promessa.  La condizione esistenziale del discepolo davanti al mondo è simile a quella di una vedova che, non potendo pagare alcun avvocato per far valere i suoi diritti, si trova costretta a incalzare il giudice ogni giorno per ottenere giustizia.

Non dobbiamo stancarci, e se il Signore ci dice questo è perché conosce la nostra lotta quasi quotidiana tra la tentazione di credere che Dio sia indifferente ai nostri problemi e la fede che invece egli voglia e possa fare giustizia. Ci sono circostanze della vita che ci fanno gridare all’Eterno quale sia mai la giustizia che egli ha in mente. Chi di noi non ha vissuto o vive situazioni che fanno cadere le braccia, come succedeva a Mosè, il quale dopo l’uscita dall’Egitto si trova ad attraversare il deserto senza cibo né acqua, e per di più quasi subito si trova innanzi l’esercito di Amalek, un esercito di predoni e di saccheggiatori che da allora assurgerà a simbolo del nemico per eccellenza … come non potevano cadergli le braccia?

Anche Mosè ha avuto bisogno di qualcuno che lo sostenesse ed è questa una bella immagine della fatica della preghiera che dice la necessità di pregare insieme, di sostenerci e di incoraggiarci nella preghiera. Ma perché a quel povero uomo portano una pietra per farlo sedere, perché non un cuscino? Perché non una comoda coperta? Risponde un racconto ebraico che così pensò Mosé: siccome Israele si trova nella sofferenza, anch’io voglio condividerla.

Impariamo dalla fede di Gesù e teniamo alte le nostre mani sostenendoci gli uni gli altri nella preghiera. Ed è quanto vogliamo vivere in questa celebrazione.