IV DOPO PENTECOSTE - Mt 5, 21-24


(Gen 4, 1-16; Mt 5, 21-24)

Come se non bastassero le continue notizie di violenza, di stupri e di uccisioni che riempiono le nostre cronache, oggi anche la parola di Dio ci racconta l’omicidio di Abele da parte del fratello Caino. È una storia che conosciamo fin dai tempi del catechismo, ma contrariamente alle nostre cronache in Genesi l’omicidio viene narrato con poche, pochissime parole: Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise.

Già questa semplice annotazione è un invito per noi a riflettere sulla violenza, sull’aggressività perché non abbiamo a reagire semplicemente con emotività, ascoltando la pancia con giudizi e sentenze superficiali che diventano a loro volta sorgente e causa di altra violenza. Siamo invitati più che a giudicare, a pensare: perché la prima pagina biblica sulla fraternità è proprio quella in cui Caino uccide Abele? Perché, mi viene da rispondere con le parole di una scrittrice contemporanea:

«Io sono Caino. Non sono l’antenato

non abito un passato favoloso

non sono la pagina di un libro…

Non sono la favola stantia

di due fratelli nello scenario vuoto del principio.

Io vivo adesso

dentro ogni umano…

Sono io il mistero

del male che ti attrae

e con cui ti batti. Sempre» (Mariangela Gualtieri, Caino, Einaudi 2011).

Ciascuno di noi è ad un tempo Abele e Caino. Abbiamo nei nostri cuori e cerchiamo nelle nostre relazioni la fraternità e la concordia, eppure basta poco perché l’intesa, l’amicizia, l’armonia vengano cancellate e si trasformino in violenza, magari non omicida, ma anche solo verbale, perlomeno soffocata e strisciante.

Prendendo alla lettera il testo di Genesi 4, il motivo scatenante la violenza omicida di Caino sembra essere questo: «Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta». Dovremmo, se stanno così le cose, dare ragione a Saramago che nel suo ultimo libro “Caino”, giunse alla conclusione che il primo omicidio della storia fu causato dal capriccio di Dio, perché Dio accettando l’offerta dell’uno e rifiutando i doni dell’altro senza un motivo esplicito, ha scatenato la violenza fratricida, se invece l’Eterno avesse gradito entrambi non sarebbe successo nulla!

Vi risparmio le spiegazioni di numerosi autori che si sono preoccupati di giustificare la condotta di Dio per liberarlo da ogni accusa di favoritismo e di arbitrarietà… Rimaniamo ai dati del racconto che ci dice anzitutto che Eva partorì prima Caino e poi Abele. Se Caino è il primogenito, Abele nasce come fratello e nascendo fa di Caino un fratello. Attraverso Abele che è il secondogenito, Caino inizia ad essere «fratello», cioè colui che – come dice il greco adelfos– viene dallo stesso grembo, ma al tempo stesso è altro, è diverso. Una differenza che si rende ancor più esplicita nei doni che i due fratelli presentano al Signore: i frutti della terra offerti da Caino e i capretti del gregge offerti da Abele. Ma questa a ben pensare è una differenza che viene da Dio, quindi non c’è motivo di dare a Dio la colpa.

È Caino piuttosto che guarda la differenza non quale dono di Dio, ma come insidia al suo primato! È lo sguardo di Caino che trasforma Abele da fratello a nemico. Una traduzione più letterale dice così: «Il Signore guardò ad Abele e alla sua offerta e guardò meno a Caino e alla sua offerta». Il problema sta nel fatto che il fratello più piccolo riesce meglio nelle sue cose del fratello maggiore, e questo Caino non riesce ad accettarlo. Che il Signore “preferisca” il minore al maggiore è una costante nella Scrittura.

Pensiamo ad esempio a Isacco preferito al primogenito Ismaele.

Giacobbe che ottiene la primogenitura a discapito del fratello Esaù.

Giuseppe che è scelto e preferito tra i dodici figli di Giacobbe; così come Davide l’ottavo e ultimo dei figli di Iesse… che è l’unico a essere incoronato re.

Ma potremmo dire anche il fatto che Dio scelga Israele, uno dei popoli più piccoli, e non l’impero dei faraoni, dai babilonesi o dei romani!

Questo è il modo di fare di Dio di fronte alla differenza: l’Eterno preferisce il più piccolo, il più indifeso, il più fragile. Ed è questo modo di fare che permette di costruire un’umanità che sia una fraternità: solo se partiamo dal più piccolo, dall’ultimo allora iniziamo percorsi virtuosi di relazioni fraterne. Diversamente si scatena la violenza. Lo viviamo ogni giorno: la famiglia si costruisce a partire dal mettere al centro il più piccolo, il più indifeso. E così dovrebbe essere nelle società degli uomini.

Provate a immaginare la storia secondo questa logica di Dio: dovremmo riscriverla a partire da Abele, dalle vittime, dai piccoli, da coloro che sono gli sgabelli dei potenti e che sono coloro attraverso i quali il Signore continua a dare un futuro all’umanità. Non siamo di fronte ai capricci di Dio, che preferisce uno all’altro senza motivo, tutt’altro. Sperimentiamo piuttosto ogni giorno il fallimento dell’umanità quando smette di prendersi cura del più fragile. Ma Dio in tutto questo non sta a guardare, anzi notate come incalza Caino di domande e continua a interrogare il Caino che è dentro di noi. Sentiamole per noi quelle domande: «Perché sei irritato e perché cammini a testa bassa? Se agisci bene non dovresti stare a fronte alta?».

Con queste domande ci rendiamo conto che Dio si prende cura anche di Caino, al punto che Caino è «il primogenito nella preoccupazione di Dio» (Schokel). Il Signore dimostra di non rifiutare Caino, anzi dedica più attenzione a lui che ad Abele. Questa è la cura dell’Eterno: se l’uomo non si interroga, Dio stesso lo interpella. Per sette volte ritorna il termine «fratello» nella pagina di oggi, ma al centro di queste sette ricorrenze c’è la domanda delle domande: Dov’è Abele tuo fratello?

Ed è la domanda che l’Eterno continua a porre oggi a ogni uomo, è la domanda che pone alle grandi multinazionali, ai latifondisti, ai mercanti d’armi, ai politici, alle banche: Dov’è tuo fratello?

È la domanda che pone anche alla sua chiesa, quando è troppo preoccupata delle strutture e dell’organizzazione e dimentica il volto del povero e del piccolo. È la domanda che pone alle comunità cristiane: Dov’è tuo fratello?

È ancora la domanda per ciascuno di noi: Dov’è tuo fratello, dov’è tua sorella, dov’è quello che non sopporti, quello che invidi, quello che ti ha ferito e umiliato?

È una domanda che rimane come sospesa sulla storia. Già nel tardo medioevo Francesco cercò di rispondervi: i suoi discepoli non dovevano essere come monaci, ma fratelli così doveva essere la condizione nuova del cristianesimo. Anche la rivoluzione francese che aveva fatto propri tre principi del tutto cristiani ma ormai dimenticati da tempo: libertà, uguaglianza e fraternità – in fondo gli illuministi non hanno inventato nulla, hanno soltanto ripreso quello che noi abbiamo gettato via –  se possiamo dire ha dato un contributo alla crescita della  libertà e dell’uguaglianza, tuttavia la fraternità rimane ancora oggi una domanda sospesa.

Nei pochi versetti del vangelo di oggi, tratti del discorso della montagna, Gesù ci accompagna a rispondere indicandoci due atteggiamenti: anzitutto a non ridurre l’altro al suo errore. Riducendo tutta la vita di una persona a un suo comportamento sbagliato compiamo un’operazione iniqua: cancelliamo l’immagine di Dio che è in lui. Questo non significa non distinguere più il bene dal male, ma distinguere il peccato dal peccatore e riconoscere che in quella situazione potrei esserci io stesso.

La seconda operazione spirituale che il Signore ci chiede è una sorta di ecologia del cuore. L’interpretazione giuridica e formale dice che solo gli atti e non le intenzioni, sono perseguibili dal tribunale umano, ma se tu non curi il cuore, se non sradichi dall’intimo i sentimenti di cattiveria e non togli dalla bocca parola offensive, in qualche modo ti sei messo già sulla strada dell’omicidio. E questo non vale una messa! Il vero culto è la risposta dell’amore fraterno alla domanda sospesa. La fraternità sarà il futuro del cristianesimo.