V DI PASQUA - Gv 14, 21-24


audio 7 mag 2023

La domanda del Vangelo di oggi non è fatta da Giuda l’Iscariota, lui non sapeva e non poteva fare domande: aveva già chiaro in mente come dovevano andare le cose e cosa avrebbe dovuto fare Gesù. Non aveva domande perché voleva piegare la vita e anche il Nazareno al suo progetto.

Oggi abbiamo ascoltato la domanda posta dall’altro Giuda, ed è una domanda legittima soprattutto se la situiamo dopo la risurrezione, vale a dire: Gesù perché devi manifestarti a noi e non al mondo? Perché risorto non ti riveli a tutti o almeno a quelli che contano? Perché non vai da Pilato e gli schiarisci le idee? Ma anche dai sommi sacerdoti o dai capi dei farisei avresti l’opportunità di prenderti una bella rivincita.

Perché Signore risorto, chiede Giuda, ti sei manifestato a noi e non a tutti? È una domanda generosa. Propria di chi ha un cuore buono e non vuole tenere in esclusiva un dono. Giuda non è geloso di una bella esperienza, anzi se c’è qualcosa che può fare bene ad altri, sarebbe proprio bello condividerla. Come sarebbe diversa la chiesa se fosse più ospitale per le domande che ansiosa di dare risposte.

Ebbene come risponde Gesù? In prima battuta la risposta di Gesù sembra un non risposta: Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Gesù risponde a modo suo, un po’ come faceva Socrate: risponde cambiando la domanda.

Se uno mi ama. Non è scontato, anzi forse non ci passa nemmeno per la mente che si possa amare Gesù. Discutiamo se credere in lui, stiamo a misurare la fede se è più uomo o Dio, passiamo al vaglio dei nostri criteri scientifici i testi dei vangeli…insomma prevale in noi un atteggiamento intellettuale, conoscitivo, come se la nostra relazione con lui debba essere anzitutto una questione di razionalità.

Gesù dice: Se uno mi ama. Oggi posso dire di amare Gesù? La nostra relazione con lui è una relazione d’amore? Amare è un po’ di più del ‘credere in’. Un conto è che il Signore sia nei nostri pensieri, che noi parliamo con lui, che gli diciamo le nostre cose… un conto è volergli bene.

Ed è la domanda indecente che fa a Pietro: Mi ami tu? Mi vuoi bene? Indecente perché non la capiamo come la intende Gesù.

Pensandoci bene, a chi poniamo noi una domanda del genere? Non a uno sconosciuto, ma a qualcuno cui noi vogliamo decisamente bene. E se facciamo la domanda è perché riteniamo necessario costringere l’altro ad uscire allo scoperto se per un qualche motivo non sembra corrisponderci, se ci ha deluso in qualcosa, se ci ha ferito… e ci appare tiepido, se non distante.

Questo è importante perché il ‘se’ non è la condizione perché lui ci ami, il Signore non pone condizioni al suo amore, anzi è il contrario: lui ci vuole bene. Tant’è che i discepoli non chiedono mai a Gesù: Ma tu ci vuoi bene? È evidente che li ami. L’amore di Gesù precede il nostro amore per lui. Siamo amati. Ma non è così evidente che noi lo amiamo, per questo dice: Se uno mi ama.

Il nostro amore è sempre esposto al ‘se ‘, al forse, alla possibilità, alla smentita. La verità è che non sappiamo amare, non siamo amati abbastanza, non sappiamo cos’è amore.

A maggior ragione non sappiamo cosa significhi amare Gesù. Come possiamo amare Gesù? Cosa significa concretamente? In Giovanni Gesù dice: Se uno mi ama osserverà la mia parola, il verbo osservare significa anche custodire, mantenere la parola.

Amare Gesù è custodire la sua parola, è lasciare che la sua parola si depositi in noi, dentro di noi e così ci possa trasformare, come ha fatto con Pietro. È proprio l’esempio che i discepoli hanno sotto gli occhi: se il Vangelo fosse stato un testo di propaganda, avrebbero cancellato il rinnegamento di Pietro, come un episodio da censurare per non infangare la figura del capo nei secoli a venire.

Invece è lì gelosamente custodito e guai a chi la tocca quella pagina: quando Pietro dopo il rinnegamento ricorda la parola di Gesù – questo significa per l’appunto osservare la sua parola – scoppia in pianto e… da quella consapevolezza di essere amato comunque, deciderà di rispondere a Gesù con il suo amore.

Il rimanere nella parola di Gesù rende possibile la trasformazione delle nostre incapacità, la trasformazione dei nostri tradimenti… trasformazione che passa attraverso il dolore.

Ecco la risposta di Gesù a Giuda: Se voi mi amate, dimorate nella mia parola, io e il Padre prenderemo dimora in voi. Non c’è bisogno che io mi manifesti a Pilato e agli altri, tocca a voi. Siete voi la dimora, lo spazio umano in cui abita e fiorisce l’amore di Dio.

Per niente sentimentale e affatto romantico, l’amore che Gesù domanda al discepolo è un amore trafitto dal Vangelo che può trasformare le nostre miserie.

Questo significa una grande responsabilità per noi: la manifestazione che Giuda chiedeva a Gesù in realtà è affidata a noi, a una chiesa che ama così. Oggi la chiesa appare per lo più per la sua organizzazione, le sue strutture, l’istituzione. Potremmo avere tutta l’organizzazione del mondo, ma senza amore… viene da ricordare il testo di Paolo: Se non ho l’amore non sono niente.

Ricorriamo a tante parole belle per parlare di amore, conosciamo film, poesie, canzoni e una letteratura infinita ci ricorda quanto sia bella e misteriosa questa verità della vita.

Gesù non parla d’amore. Osservate nel Vangelo: Cristo è sempre tirato di qua e di là dalla gente, costantemente braccato dagli avvenimenti, eppure non smette mai quello sguardo che mentre smaschera le illusioni e le finzioni, apre nuove possibilità. Per lui non c’è storia che sia banale, è capace di trasfigurare ogni brandello di umanità in vita amata e tutto questo, nonostante l’inconsistenza dei suoi amici e la chiusura ottusa dei nemici.

Gesù non parla d’amore, ma continua a porci la domanda indecente: Mi ami tu?

(Gv 14, 21-24)