DOMENICA NELL’OTTAVA DEL NATALE DEL SIGNORE - Gv 1, 1-14


(Sap 8, 22-31; Col 1, 13.15-20; Gv 1, 1-14)

Abbiamo ascoltato l’inizio del Vangelo di Giovanni, che è come la grande ouverture di quella sinfonia che è il IV vangelo.

Infatti se consideriamo tutti e quattro i Vangeli per come essi raccontano la nascita di Gesù, ci rendiamo conto che Matteo sviluppa la sua narrazione dal punto di vista di Giuseppe, scrivendo dei suoi sogni che tra l’altro gli permettono di sfuggire alla violenza di Erode. Matteo è preoccupato di garantire la discendenza davidica di Gesù secondo il compimento delle Scritture.

Marco addirittura, scrivendo il vangelo per i pagani di Roma, omette qualsiasi racconto della nascita ed esordisce subito con la vita pubblica di Gesù.

Luca, privilegiando la prospettiva di Maria, ci racconta dell’annuncio a Elisabetta e a Zaccaria, dell’annuncio a Maria, del viaggio di Maria e Giuseppe a Betlemme, scrive anche dei pastori e degli angeli che cantano il Gloria…

Giovanni invece non si preoccupa di descrivere i dati storici e il contesto della nascita di Gesù, ma sembra avere in mente la prima lettura, tratta dal libro dei Proverbi di Salomone, dove la Sapienza parla, anzi grida – quasi fosse una persona – il proprio rapporto con Dio: con lui è dall’eternità e l’ha assistito nella creazione del mondo.

Giovanni, che conosceva bene questo testo, lo riscrive in qualità di testimone e di apostolo, annunciando che la Sapienza, il Logos, che era presso Dio venne ad abitare in mezzo a noi. Così come Luca e Matteo scrivono che Dio ha preso casa a Nazaret e con Nazaret ha preso casa nelle nostre case.

Giovanni utilizza un’altra metafora per descrivere come Dio abita con noi e dice: la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta.

Il messaggio è analogo a quello di Luca quando racconta la nascita di Gesù come un evento luminoso che squarcia la notte, una luce che attira gli sguardi dei pastori, o come accade nella narrazione di Matteo: la stella è la luce che guida i Magi.

In questo senso la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Ma che cosa sono queste tenebre? A cosa si riferisce? Giovanni parlando di tenebre in generale, ci coinvolge un po’ tutti, uomini e donne di ogni tempo. È curioso osservare anzitutto i tempi dei verbi: per la luce ricorre al presente (splende), per il rifiuto delle tenebre si ricorre al passato (non l’hanno vinta).

La luce brilla sempre, dice Giovanni, perché è da Dio, il verbo è al presente per dire che appartiene alla sua natura illuminare. Anche nei momenti più oscuri della nostra vita e della storia del mondo, la luce del Cristo continua a brillare.

La luce è una metafora per dire Dio, metafora che Gesù stesso userà per indicare la propria missione: “Io sono la luce del mondo” (Gv 8,12; 9,5)

Per le tenebre invece si ricorre ad un verbo al passato, non l’hanno vinta, questo dice che le tenebre possono rifiutare la luce, ma non possono spegnerla! Si tratta di rifiuti e di opposizioni storiche, un fatto che potrebbe esserci e non esserci, perché dipende dall’uomo e dalla sua libertà.

Le tenebre sono le violenze e le guerre che ci sono nel mondo; tenebre sono le ingiustizie e i fondamentalismi; talvolta anche nelle nostre famiglie scendono le tenebre a causa delle nostre ottusità, delle nostre chiusure … al punto che talvolta le tenebre sembrano dominare e prevalere.

Tuttavia nulla può spegnere questa luce, dice Giovanni.

Ed è questa la nostra speranza: a ogni uomo è data la possibilità di accogliere la luce della Sapienza di Dio. E cosa succede quando uno accoglie questa luce?

Noi pensiamo subito ad alcune caratteristiche morali, che traduciamo con il diventare migliori, più giusti, più diligenti … tutte cose buone e affatto scontate. Ma Giovanni dice qualcosa di più forte: A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio. Quante volte abbiamo usato questa espressione ‘figli di Dio’ è un termine un po’ frusto, come succede alle parole che sono consunte dall’uso.

I Padri della chiesa affermano che Dio è diventato uomo, perché l’uomo in Gesù l’uomo ritrovasse la via per l’unione con Dio, non un unione esterna o sentimentale, ma intima e vera, l’unione dei figli, e quando diciamo figlio nelle nostre relazioni, intendiamo dire che nelle nostre vene scorre anche la vita di chi ce l’ha trasmessa.

Analogamente diventando figli di Dio, come infatti ci viene dato di esserlo per grazia nel battesimo, abbiamo in noi la vita divina, partecipiamo alla vita stessa di Dio, in ognuno abita un frammento di eternità. Come dice Gesù, sempre in Giovanni: chi segue me avrà la luce della vita (8,12).

In questi giorni di Natale contemplando la grandezza del disegno di Dio che si fa uomo per noi, riconosciamo la dignità alla quale siamo chiamati, ovvero quella di essere figli di Dio.

E se la grandezza del disegno di Dio è la via dell’umile incarnazione del Verbo, se questa è la vera Sapienza che governa la storia del mondo, possiamo a ragione considerare che anche la dignità alla quale siamo chiamati passa attraverso la via umile della povertà di cuore, della fede incrollabile in Dio.

Questo chiedo al Signore per me e per ciascuno di noi tutti.