NATALE DEL SIGNORE - messa nel giorno - Lc 2, 1-14
La liturgia cristiana ci parla del Natale di Gesù con lo stile del racconto e forse anche il nostro tempo ha bisogno di tornare a raccontare di Dio, più che a spiegarlo, proprio come fa Luca.
Luca non ci racconta una favola, ma dell’Eterno che diventa uomo nella storia di una coppia di sposi che abitano un villaggio oscuro di cui nemmeno la Bibbia parla. Maria e Giuseppe sono costretti a muoversi per un censimento nonostante lei sia incinta e sia ormai prossima al parto.
Un censimento per la gente non lascia mai presagire nulla di buono: più tasse, più controlli, più problemi … Anche nella Bibbia il censimento non è mai visto bene: viene inteso come un atto di orgoglio e di superbia del potente di turno per misurare le proprie forze e per ricordare a tutti che sono parte di un sistema, come quello della pax romana dell’imperatore Cesare Augusto (dal 27 a.C. al 14 d.C.).
Siamo tutti abituati a pensare che Maria e Giuseppe non si fossero organizzati e si immagina così che fossero costretti a rifugiarsi in una grotta di pastori.
Ma sappiamo tutti che in oriente l’ospitalità è sacra, come possiamo pensare che nessun albergatore o nessun privato abbia accolto una coppia in quelle condizioni?
Immaginiamo che Maria e Giuseppe siano partiti da soli e che all’ultimo Giuseppe abbia cercato un posto per far partorire Maria. Ora è impensabile che nel viaggio da Nazareth a Betlemme Maria e Giuseppe non si siano aggregati ad una carovana o comunque non abbiano avuto la compagnia di altri (se davvero erano così tanti da riempire tutti gli alberghi).
E poi, onestamente, Giuseppe era proprio così irresponsabile da affrontare un viaggio da Nazareth a Betlemme , cinque giorni di cammino per fare circa 150 Km, senza poter contare all’arrivo sull’ospitalità di qualche parente?
Non si dovrà piuttosto pensare che egli ancor prima di partire avesse già in mente in quale casa si sarebbe fermato a Betlemme insieme con Maria? Anche perché dopo il parto Maria avrà avuto bisogno di riprendersi e non è che saranno ripartiti subito …
Insomma il modo in cui nasce Gesù è ancor più ordinario di quello che possiamo immaginare. Non abbiamo bisogno di caricare l’evento di drammaticità.
Anche l’insistenza del vangelo nel riferire che il neonato è deposto in una mangiatoia, che è l’indicazione data anche ai pastori, che senso può avere?
Il neonato viene messo nella mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’alloggio, dice Luca. Dove per alloggio si intende l’unica stanza – nelle case normali – destinata alla famiglia. Qui dobbiamo essere attenti, rispettosi per la tradizione ma anche fedeli al testo evangelico. Il termine “alloggio” in greco è lo stesso che incontriamo in Lc 22, 11 quando viene usato per indicare la stanza dell’ultima cena, laddove Gesù celebrerà il dono di sé.
Dovendo cercare in quella stanza un posto che garantisse lo spazio sufficiente e la discrezione necessaria per il parto, allora ci si trasferì nella grotta della stessa casa, che fungeva da magazzino, ma anche da stalla per gli animali domestici (asino, capre, pecore, pollame). Qui si trovava anche una greppia per gli animali dove venne deposto il bambino, dopo essere stato avvolto in fasce.
Come si vede le circostanze della nascita di Gesù non sono straordinarie, al contrario. Però sono sicuramente singolari.
In una greppia il discendente regale di Davide? Ma da che cosa può salvare un Dio così? Un messia che appena nato viene deposto in una mangiatoia? Quale garanzia di sicurezza e di futuro potrà dare?
La narrazione si fa ancora più suggestiva nella seconda parte del vangelo quando si racconta l’annuncio dell’angelo ai pastori, perché c’è un contrasto che non può non sorprendere: il contrasto tra l’annuncio e la notizia.
Quel che si va a vedere è molto diverso da quello che ci si poteva attendere, l’angelo parla di un segno perché quello che risulta sarà paradossale, proprio come sarà paradossale l’annuncio del Risorto.
Un bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia è il Messia, il Signore, il Salvatore. Ricordiamo di essere nella regione di Davide, nel territorio di Betlemme. Davide stesso era stato pastore e scelto per essere re, preferito ai suoi fratelli che erano in battaglia a combattere i Filistei.
La letteratura rabbinica tardiva parlerà male dei pastori, come di persone non troppo per bene, ma stando al Primo testamento, al contrario, dei pastori si parla un gran bene, proprio quei pastori di cui Gesù parlerà nelle sue parabole dove ci racconta che l’essere pastore appartiene al DNA di Dio, il pastore per eccellenza.
Dal racconto possiamo trarre almeno due considerazioni che spero ci aiutino a vivere bene e intensamente il Natale.
C’è qualcosa da salvare oggi? Qualcuno di noi forse è preoccupato di salvare il posto di lavoro, l’impiego; per qualcuno si tratterà di salvare la reputazione … il pianeta stesso attende qualcuno che lo salvi dal disastro ambientale.
La salvezza riguarda poi ciascuno di noi intimamente: chi salverà il giovane dalla noia? Chi salverà l’adulto dall’angoscia? Chi salverà il senso della vita di un anziano malato e stanco? Questo desiderio di salvezza dice che la vita di ognuno di noi è un’attesa, il presente non ci basta, non basta a nessuno.
In un primo momento sembra che ci manchi qualcosa e passiamo gran parte della nostra vita a ricercare le cose che ci possano dare soddisfazione … poi finalmente ci è dato di accorgerci che ci manca qualcuno.
Non ci sono cose che possano soddisfare la nostra attesa, se lo fanno è di breve durata. Chi ci salva? Gesù di Nazareth, nato a Betlemme, la carezza di Dio che resiste alle gomitate di Erode e alle volgarità di Pilato. È lui il bacio dell’Eterno, Figlio e uomo per noi, che ci rende più umani e, per sempre, figli. Vivere come lui ci salva, amare e sperare con lui ci libera dalla tristezza, dalla solitudine, dall’angoscia.
Questo, ed è il secondo pensiero, ci rende pastori della pace per la nostra umanità. Non possiamo cantare gloria a Dio, senza essere consapevoli che la gloria di Dio è la sua umiltà ed è per questa via che possiamo essere pastori di pace per il nostro tempo e per tutti gli uomini.
A noi discepoli di Gesù, forse come non mai nella storia dell’umanità, è chiesto di avere a cuore la costruzione di un mondo più unito, di un’umanità sulla quale riverbera la luce che da Betlemme illumina il volto di ogni uomo, per questo non smetteremo di impegnarci nel dialogo, nell’accoglienza e nell’assunzione delle nostre responsabilità.
(Is 8, 23 – 9,6a; Eb 1, 1-8a; Lc 2, 1-14)