VI DI AVVENTO Domenica dell’Incarnazione o della Divina Maternità della beata Vergine Maria - Lc 1, 26-38a


Ascoltando questa pagina di Luca posso immaginare che alle nostre menti si siano affacciate alcune di quelle opere d’arte di cui è pieno il mondo e che hanno cercato e cercano ancora oggi di entrare nel mistero dell’ incontro tra l’angelo e Maria di Nazaret, incontro che ha segnato il corso della storia.

Possiamo pensare anche alla sterminata produzione di poesie e di racconti più o meno spirituali… che potrebbero ispirarci e offrirci spunti di meditazione per vivere con un po’ di consapevolezza in più il mistero del Natale.

Ognuno di noi può farlo a seconda anche delle proprie sensibilità e capacità. Quello che possiamo e dobbiamo fare ora è di lasciarci guidare dall’evangelista Luca e cercare di cogliere come lui ha pensato di trasmetterci il mistero, come lui ha deciso di raccontarcelo. Infatti Luca che conosceva bene la Scrittura ricorre a uno schema, se così possiamo chiamarlo, che ricorre spesso nella Bibbia, si tratta della struttura di racconto di numerose chiamate, come quella di Abramo in Genesi, di Mosè nell’Esodo… una struttura che ha alcuni punti fermi.

  • Si comincia anzitutto con l’iniziativa di Dio: Al sesto mese l’angelo fu mandato…;
  • segue l’annuncio del messaggio: ecco concepirai un figlio…;
  • cui reagisce il destinatario con le sue naturali obiezioni: come avverrà questo?
  • Segue la risposta con l’indicazione di un segno concreto e preciso che conferma che non si tratta di un’autosuggestione: ecco Elisabetta nella sua vecchiaia ha concepito
  • Il racconto si conclude con l’accettazione della missione che nelle parole di Maria si esprime così: ecco la serva del Signore…

Maria dunque secondo il pensiero di Luca si inserisce nella lunga fila di persone che hanno accolto l’iniziativa dell’Eterno che attraversa i secoli e perciò sembra davvero impaziente di noi. È quasi una debolezza quella di Dio: sembra che senza di noi non sappia stare! Però Luca non può dirlo così, ecco allora l’angelo Gabriele, parola di Dio che entra nel cuore di Maria. Ma che voce ha un angelo?

Quella del Battista possiamo facilmente immaginarla come la voce di un tenore o di un baritono, voce di tuono che risuona nelle gole del deserto. Ma quella di un angelo?

Anche qui, senza indugiare in fantasie indebite, potremmo ripercorrere i numerosi episodi della Bibbia in cui la voce di Dio risuona nel cuore dei suoi figli in diversi modi. Con Mosè ad esempio fu voce di tuono, di fuoco e di terremoto… Con il profeta Elia invece fu una «voce di silenzio sottile». Con Maria entrò da lei, scrive Luca, il che ci fa pensare all’attenzione e alla tenerezza di un Dio che non irrompe nella vita di una ragazza con effetti speciali che potevano anche spaventarla, ma si affaccia in lei nell’intimità della sua coscienza, nella bellezza del suo cuore.

Non le chiede: Mettiti in ginocchio, fai un po’ di penitenza, vai a fare un pellegrinaggio, dì le preghiere… fai questo, fai quello. Semplicemente: Rallegrati! Gioisci, sii felice. Non temere.

E già questo è difficile per noi, perché quando si parla o si pensa a Maria di Nazaret la abbiniamo piuttosto al tema del dolore che non a quello della gioia e della felicità. «Ave» infatti diciamo, usando una parola latina rimasta nella nostra lingua come reliquia antica. L’Eterno si rivolge a Maria con il linguaggio della gioia, quasi un imperativo: «Kaire, gioisci»! Questa è la prima parola. Una parola di gioia.

Eppure anche nei capolavori e nelle opere d’arte è difficile trovare un’immagine di Maria che sorrida, che gioisca… un poco anche perché si è smarrito il riferimento evangelico, ma anche perché quando si parla della gioia siamo diffidenti e sospettosi, bisogna davvero parlarne con cautela. Anzi bisogna farlo con intelligenza perché è finito il tempo della gioia che viene dalle cose!

Infatti, come scrive papa Francesco nell’esortazione Evangelii gaudium: «Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio, certo e permanente. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita» (EG, 2).

Maria ci insegna che la gioia viene non dall’essere pieni di cose, ma dall’essere piena di grazia come le dice l’angelo Gabriele. E questa è una parola nuova, non era mai stata sentita prima in tutta la Scrittura. Sei piena dell’amore gratuito di Dio. Dio si è dato a te e tu ne sei traboccante. Sei amata. Piena di grazia dice l’angelo. Non è piena di grazia perché ha detto «sì» a Dio, non lo ha ancora pronunciato, ma perché Dio ha detto «sì» a lei prima ancora della sua risposta.

Parole che suonano come una carezza: dalla radice della parola grazia (charis) derivano «caro, cara, carezza…», termini che nella nostra lingua dicono molto dell’affetto e del sentimento: la grazia è la carezza di Dio. Un gesto di tenerezza e di attenzione.

La prima reazione e le prime parole di Maria non sono di gioia e tantomeno di assenso. Il primo sentimento è quello di essere turbata. E così la sua prima parola è un’obiezione che si fa domanda: Come è possibile? Maria sta davanti a Dio con tutta la sua dignità umana, con la sua maturità di donna, con il suo bisogno di capire.

Allora ecco che cosa dice l’angelo a Maria: Il Signore è con te. Lo Spirito Santo scenderà su di te… Chi è il Signore? È uno che sta con, con chi? È con te.

Allora anche nella nostra liturgia smettiamo di dire Il Signore sia con voi, come se ci formulassimo un ipotetico augurio o come se dipendesse da noi il suo esserci o meno! La carezza di Dio ci dice che lui c’è. È notevole che il nome del Signore sia un complemento di compagnia. È davvero il più bel nome di Dio, l’Emmanuele, il Dio con noi. Dio è uno che è con. Dio è relazione, è amore. La gioia viene dalla qualità delle nostre relazioni e questa certezza accompagnerà Maria lungo tutta la sua vita dal Magnificat fino al colle della Croce a Gerusalemme, passando per Cana di Galilea e Nazaret.

Maria ci insegna a riconoscere che dovunque andiamo, in tutti i passi che facciamo, quando ci capita di cadere e di farci del male, quando ci rialziamo… il Signore è lì. È con te colui che non manda via nessuno, colui che mai abbandona. È con te, è vicino a te come ti è vicino il cuore, come ti appartiene il respiro.

Per questo Paolo, scrivendo ai Filippesi, ripete loro lo stesso verbo dell’angelo: Siate felici nel Signore, ve lo ripeto: siate felici! Ma si può comandare la felicità? La si può ordinare a qualcuno?

E ora contempliamo. Questo di oggi Maria è il tuo Natale, silenzioso: non ci sono pastori, né angeli che cantano. L’attesa è tua, come l’attesa di ogni madre. Nel tuo grembo cielo e terra si incontrano. Il tuo grembo è pregno di storia perché va assumendo forma d’uomo Colui che è rimasto invisibile e in te diventa visibile.

Mi pare di cogliere le tue domande: Quale sarà il volto del figlio di Dio? starà bene, sarà sano? A chi rassomiglierà? E poi quelle di Giuseppe, lo sposo che sa sognare, ma anche mantenere la sua famiglia: sarà bravo? Avrà voglia di impegnarsi, di lavorare?

Noi vorremmo o Dio, anche solo per qualche istante conoscere i pensieri di Maria, le preoccupazioni di Giuseppe… e in parte le conosciamo già, sono quelli di ogni coppia di genitori regolari e non, sono gli stessi.

Ma chi siamo noi, ultimi e peccatori, per indagare anche un solo istante la “piena di grazia”, la donna “piena di Dio”? noi a Dio diamo qualcosa, un angolo della mente, uno scorcio del cuore, qualche brandello del nostro tempo… lei era piena di Dio!

Arcabas l’artista che ha dipinto l’annunciazione riproposta sul frontespizio del foglietto, inserisce tra Maria e l’angelo una colomba dorata che si avvicina a Maria spingendo davanti a sé una piccola croce anch’essa d’oro. Un oro che si diffonde sull’abito, sul volto e sulle mani di Maria, quasi trasfigurandola. L’oro della divinità, della gioia, della gloria però nella forma del dolore e della morte.

L’oro della vittoria, anche su quella forma e su quella morte. Perché come scriveva Alda Merini:

Maria era una donna che aveva in animo la poesia:

per lei un angelo poteva essere una visita di tutti i giorni.

Anche il pensiero di Maria era angelico,

e non esitò a dire il suo sì, a manifestare la sua obbedienza.

L’obbedienza non teme la morte né il patimento,

chi obbedisce percorre moltissime strade e non è mai solo.

 

(Is 62,10-63,3b; Fil 4, 4-9; Lc 1, 26-38)