CIRCONCISIONE DEL SIGNORE - Lc 2, 18-21
(Nm 6, 22-27; Lc 2, 18-21)
Sono diversi i motivi che ci vedono riuniti nel celebrare questa eucaristia. Quello più evidente è l’inizio di un nuovo anno. Il primo giorno dell’anno è festa in tutto il mondo perché è l’inizio e anche la paura di un futuro che non si conosce ed è per questo che gli auguri che ci scambiamo sono sempre orientati al benessere, alla felicità, all’assenza del male.
Si tratta ovviamente di una convenzione che ha un suo senso: in fondo come il ritmo del giorno è segnato dalla luce del sole, così quello delle stagioni e degli anni è segnato dalle fasi lunari. Questo ricorda all’uomo distratto e superficiale che siamo dentro un dinamismo che ci precede e che ci accompagna. Non siamo proprio gli artefici di tutto. Anche questo cambiamento d’anno, come tutti i mutamenti legati alla creazione, ci ricorda il nostro posto, ci riconduce alla reale dimensione delle nostre vite.
Celebriamo inoltre gli otto giorni prescritti dalla legge ebraica per la circoncisione e per l’imposizione del nome Gesù al bambino di Betlemme. Una conferma che il Signore nasce in un popolo, ne assume le tradizioni e la storia e ne condivide il destino.
E proprio all’inizio del nuovo anno – ed è il terzo motivo di questa celebrazione – che da un po’ di anni a questa parte, si celebra la giornata mondiale di preghiera per la pace. Nel 1968, in piena guerra fredda e nel perdurare della guerra in Vietnam, Paolo VI celebrò la prima giornata mondiale di preghiera per la pace e così in continuità con quell’iniziativa anche Benedetto XVI ha voluto dedicare la giornata con un messaggio sul tema «Educare i giovani alla giustizia e alla pace».
Ecco insieme a questi motivi ognuno di noi poi aggiunge quelli personali, tutto ciò che ci portiamo nel cuore, i nostri pensieri, le gioie e le preoccupazioni per noi e per le nostre famiglie e per la nostra comunità, per il Paese.
Abbiamo motivi di gioia per ringraziare il Signore dell’anno appena trascorso e motivi di preoccupazione e di speranza per ciò che ci sarà dato di vivere nel corso del nuovo anno.
In tutto questo vogliamo evitare l’atteggiamento ingenuo di chi sarebbe disposto a pagare chissà cosa pur di sapere cosa accadrà e come sarà.
Così come non vogliamo cadere nel ragionare stolto di chi rimpiange il passato e lo idealizza come il meglio che ci potesse essere. C’è un passo di Qoelet che ci illumina in proposito quando dice: «Non domandare: “Come mai i tempi antichi erano migliori del presente?”. Questa domanda non è ispirata a saggezza» (Qo 7, 10).
Se vogliamo guardare con saggezza il futuro che non conosciamo, chiediamo alla parola di Dio di illuminarci, di aiutarci a fare una lettura della storia e del tempo che scorre non semplicemente come successione di numeri e di date, ma per coglierne il senso profondo.
E così, trovo che nelle parole della prima lettura, dove Mosè riceve dal Signore ciò che deve insegnare ad Aronne, ritorni con una certa insistenza la chiave di lettura che può darci la saggezza necessaria, e cioè la benedizione: Così benedirete gli Israeliti: Ti benedica il Signore … e io li benedirò dice il Signore.
Noi avremmo profuso una lunga lista di desideri e di speranze: la salute, il lavoro, gli amici, gli affetti, la concordia … Tutte cose giuste, ma le parole di benedizione che Dio stesso suggerisce ad Aronne vanno all’essenziale, sopra tutto e al di là di tutto: Ti benedica il Signore, faccia brillare per te il suo volto!
La benedizione non è un gesto magico, non sono parole esoteriche con chissà quale potere, ma la benedizione è il volto di Dio che risplende sull’umanità, sull’uomo. Dicendo così diciamo anzitutto che Dio non è un monarca che governa dall’alto le cose della terra nella sua indifferenza secondo un arbitrio a noi ignoto. Se Dio ha un volto, vuol dire che è un Dio di relazione, un Dio che non basta a se stesso perché cerca il volto dell’altro, dell’uomo. Infatti anche nel salmo abbiamo ripetuto: «Ci benedica Dio con la luce del suo volto». Che è il linguaggio dell’amore, se ci pensate bene. Il volto della persona amata è cercato, desiderato, voluto.
Sappiamo anche che tuttavia nessuno mai ha visto Dio, quindi ci parrebbe questo un controsenso: che volto è quello che non si vede? Non è che Dio giochi a nascondino con noi, pregando dicendo: Che il Signore faccia splendere il suo volto, è come dire: Dammi il senso del divino, dammi questa capacità di sentirti vicino, anche dentro la notte e dentro la più grande sofferenza riuscire a confidare e ad avere la pace nel cuore.
La celebrazione del Natale ci ha annunciato che questa impossibilità si è resa possibile nel volto di Gesù, quel Gesù che i vangeli e la fede della chiesa ci trasmettono con fedeltà da duemila anni, il cui volto è un volto mite, semplice, disarmato, luminoso, affidabile.
Non a caso la liturgia di celebra l’ottavo giorno nel quale il Signore viene circonciso e riceve il nome ‘Gesù’, Jeoshua: ovvero Dio salva. Un nome che indicando un uomo, dice l’azione di Dio. Due sillabe che contengono intero Dio e l’uomo (Turoldo). Il nome è la cosa di noi più essenziale: non ci porteremo nell’al di là neppure il cognome, nessun titolo, nessun distintivo, saremo il nostro nome, il resto è superfluo.
Ecco allora le due cose che ci auguriamo oggi: anzitutto che il Signore ci benedica. Che lungo questo nuovo anno l’Eterno possa dire bene di tutti noi, possa dire bene di me e di ciascuno di voi e che impariamo a vedere il suo volto qualunque cosa accada. Che possiamo avere il senso di Dio nelle cose e nelle nostre relazioni. Che possiamo pregare, leggere e meditare la sua Parola, che possiamo conoscere di più il suo amore. Che è come dire: facciamo in modo che Dio abbia sempre a dire bene di noi.
Inoltre la benedizione che invochiamo comporta anche, ed è la seconda cosa, che noi stessi possiamo essere benedizione gli uni per gli altri, e questo secondo i diversi livelli di appartenenza. Quindi che possiamo essere artigiani di pace anzitutto nelle nostre famiglie, perché, come dice Benedetto XVI, la famiglia è la prima scuola dove si viene educati alla giustizia e alla pace. Chiediamo al Signore di usare parole di benedizione già nelle nostre case e poi anche nella nostra comunità, famiglia di famiglie, cominciamo il nuovo anno dicendoci l’un l’altro: «Ti benedico, nel senso vero che dico bene di te, parlo bene di te e tu sei benedizione di Dio per me».
Vinciamo fin da subito quella tentazione che appartiene alla storia del mondo, di usare parole graffianti e che lasciano ferite a volte insanabili.
Infine credo che anche la Chiesa possa tornare ad essere benedizione per il nostro Paese e per l’Europa che attraversano grandi difficoltà. Alla luce del patrimonio di insegnamenti sulla sobrietà e sulla condivisione che abbiamo nella tradizione spirituale cristiana, possiamo testimoniare che il crollo di uno stile di vita può essere o un’opportunità di giustizia oppure l’anticamera del cannibalismo economico. Dobbiamo essere consapevoli che se crolla questo tentativo di fare dell’Europa un continente unito, non finisce solo l’euro, ma è a rischio anche la pace.
Che cosa ci riserverà l’anno che viene? Non lo so, a nessuno di noi è dato di saperlo, ed è inutile e sciocco spendere soldi per saperlo.
Davanti a questo nuovo anno chiediamo al Signore che ci benedica con la luce del suo volto e che ciascuno di noi possa essere benedizione l’uno per l’altro.